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40enne a processo

Il marito è al carcere duro e la moglie percepisce indebitamente il Reddito

In foto: repertorio
repertorio
di Lamberto Abbati   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
gio 27 ott 2022 15:57 ~ ultimo agg. 28 ott 14:06
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E’ accusata di aver percepito indebitamente circa 15 mensilità del reddito di cittadinanza perché il marito (oggi ex) è detenuto in regime di “carcere duro” dopo una pesante condanna per reati di droga nell’ambito dell’associazione di stampo mafioso. Per aver omesso questo “dettaglio” nella compilazione della domanda di richiesta del sussidio statale, un 40enne residente a Rimini, madre di due bambini, rischia una condanna che va dai 2 ai 6 anni di reclusione.

La donna nel 2018 sposò l’uomo nonostante fosse già detenuto in carcere. Lui le aveva promesso che sarebbe uscito presto e lei, innamorata, gli aveva creduto senza fare troppe domande. Vivendo in un casa popolare ed essendo senza lavoro, con due figli da mantenere e un marito in carcere, nel 2019 presentò la domanda per ottenere il reddito di cittadinanza. Nella compilazione dei vari moduli, barrò la casella relativa alla detenzione del marito, ma non specificò erroneamente il titolo del reato, ovvero il 416 bis, l’associazione di stampo mafioso, che però figura tra gli elementi ostativi del reddito.

L’anomalia è venuta alla luce circa un anno dopo, nel 2020, quando da un controllo sullo stato di famiglia dei detenuti del carcere dove si trova attualmente anche l’allora marito della donna, è emerso che la 40enne percepiva il reddito pur essendo il coniuge stato condannato per reati legati alla criminalità organizzata. E’ stato allora che alla 40enne è caduto il mondo addosso. Non solo perché ha scoperto di essere indagata, ma anche perché è venuta a conoscenza della reale situazione detentiva del marito, il quale avrebbe dovuto scontare almeno una quindicina di anni di carcere. Da qui l’avvio della pratiche di divorzio, nel frattempo ottenuto, e la nomina a suo difensore dell’avvocato Cristian Brighi per il procedimento penale in corso.

Il legale punta a dimostrare che quello commesso dalla sua assistita è stato un errore in buona fede, dovuto alla scarsa conoscenza della materia. Per questo ha chiesto il rito abbreviato condizionato alla produzione documentale e all’esame dell’imputata. L’udienza davanti al gup del tribunale di Rimini è fissata il prossimo 20 aprile.