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alla veglia del I maggio

Il Vescovo Lambiasi: il lavoro deve essere libero, creativo, solidale

In foto: chiesa Villaggio I maggio
chiesa Villaggio I maggio
di Simona Mulazzani   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
sab 1 mag 2021 16:16 ~ ultimo agg. 2 mag 11:58
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La fatica nei giorni più difficili durante il lavoro in corsia, il dolore per non vedere i frutti di un impegno che non aveva mai fine perché tante persone non ce la facevano, la paura di portare a casa il covid. Sono state due racconti molto toccanti quelli dell’infermiera e del medico, rimasto anche contagiato, ieri sera testimoni dalla veglia per il lavoro per la festa del I Maggio, che aveva come tema “Il lavoro al tempo della pandemia“. A presiedere il momento di preghiera, organizzato dalla Pastorale Sociale, che si è svolto nella chiesa del Villaggio I Maggio a Rimini, il Vescovo Francesco Lambiasi. Insieme ai sanitari, il dottor Fabio Mascella medico del reparto di Medicina dell’Infermi e Anna Forlani, capo sala nella stessa unità operativa, anche la testimonianza di Eugenio Amadio, un imprenditore agricolo con 50 ettari di terreno, che ha continuato il lavoro durante i mesi della pandemia, con la libertà di stare all’aperto nei suoi campi ma con la paura di contagiare l’anziana madre di 103 anni e di Mauro Vanni bagnino, che è anche diacono, che ha raccontato quanto sia stata preziosa la preghiera quotidiana, certo che la forza dell’accoglienza propria dei riminesi sia una grande opportunità per rialzarsi in questo momento difficile.

Nella sua omelia il Vescovo, ha parlato del vangelo del lavoro. A 130 anni dall’inizio della dottrina sociale della chiesa, con la Rerum Novarum del 1891 di Leone XIII ha tracciato dieci punti che sintetizzano l’impegno di questi decenni.

Noi cristiani crediamo che:

  1. Il lavoro non è un castigo, ma un compito. E’ la risposta dell’uomo con-creatore all’incarico affidatogli da Dio, che non vuole fare da sè, ma ci vuole coinvolgere nella creazione
  2. Il lavoro non blocca l’uomo ad una condizione di miserabile inferiorità come avveniva nella Grecia antica, dove erano gli schiavi a lavorare e i ricchi non si sporcavano le mani. La Bibbia ci presenta Dio come vasaio, agricoltore, pastore. Lavorare è verbo divino-umano. Gesù ha lavorato con mani d’uomo.
  3. Il lavoro è affidato all’uomo e alla donna per “soggiogare la terra e dominare suoi pesci e uccelli” come dice la Genesi, ma dominare non è depredare, soggiogare non è saccheggiare
  4. Il lavoro dopo il peccato delle origini resta realtà ambivalente. E’ dono, ma anche fatica, benedizione ma anche tentazione di ridurlo all’unico scopo del profitto. Il lavoratore deve restare libero, mai schiavo, uomo integralmente umano e mai ridotto a forza lavoro.
  5. Non si vive per lavorare, ma si lavora per vivere. Persona e lavoro o insieme stanno o insieme cadono. Il lavoro senza persona diventa disumano, la persona senza lavoro resta solo individuo non pienamente sbocciato e fiorito.
  6. non lavoriamo solo per fare soldi, ma soprattutto per vivere umanamente. E il lavoro è umano quando non è dominato dalla smania di profitto, ansia di produrre, dall’avidità del possedere che accecano il cuore e portano a sfruttare i più deboli.
  7. Il lavoro deve essere libero dove siano bandite tutte le forme di schiavitù, illegalità, sfruttamento e dove ogni persona sia messa nelle condizione di poter dare il meglio di se senza essere schiacciata da burocrazia e procedure
  8. Il lavoro deve essere creativo, occasione per esprimere la propria umanità, dentro una idea di innovazione che non è riducibile al solo aspetto produttivo.
  9. Il lavoro deve essere partecipativo, nella consapevolezza che non c’è economia che possa prescindere dal contributo delle persona umana.
  10. Il lavoro deve essere solidale. Capace di non dimenticare che relazioni di reciproca alleanza sono alla base di ogni vero sviluppo.