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maxi sequestro della finanza

Gruppo edile fallito, soldi illeciti sul Titano attraverso una banca di Rimini

In foto: Guardia di Finanza, il comando di Rimini
Guardia di Finanza, il comando di Rimini
di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
mar 13 apr 2021 12:24 ~ ultimo agg. 14 apr 16:04
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I finanzieri del Comando Provinciale di Rimini, al termine di un’indagine di polizia economico-finanziaria, dopo avere denunciato 9 persone, hanno dato esecuzione questa mattina ad un decreto di sequestro per equivalente emesso dal Gip del Tribunale di Rimini, Vinicio Cantarini, per oltre 7,6 milioni di euro, ritenuti profitto di illeciti finanziari. Il provvedimento è in corso di esecuzione anche a San Marino a cura delle competenti autorità estere interessate per rogatoria internazionale.

Tutto è partito dal fallimento (sentenza del settembre 2017) del Gruppo Cmv (Cooperativa Muratori di Verucchio), costituto da una galassia di 12 società operanti nel settore dell’edilizia residenziale, le cui costruzioni si trovano principalmente in provincia di Rimini, Bologna, Ferrara, Forlì, Pesaro e Ancona.

Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Paolo Gengarelli e svolte dal Nucleo di polizia economico-finanziaria, attraverso complesse ispezioni contabili, indagini tecniche e rogatoria internazionale nella Repubblica di San Marino, hanno consentito di rilevare che le società avevano sistematicamente sottofatturato la vendita degli immobili ricevendo dai clienti milioni di euro in nero (2006-2010). Per impedirne l’individuazione, i soldi venivano versati ad una banca di Rimini, di cui alcuni funzionari, come gli spalloni del secolo scorso, attraversando  il confine hanno a più riprese portato e consegnato ad una fiduciaria del Titano. Quelle ingenti somme di denaro, secondo la Finanza, sono riconducibili per mandato fiduciario a due degli indagati.

La fiduciaria depositava le somme su un suo conto presso una banca sanmarinese, da dove partivano poi bonifici verso un conto corrente detenuto nella banca riminese e intestato sempre alla fiduciaria estera. Da questo conto i soldi venivano investiti in obbligazioni della stessa banca riminese. Le operazioni erano documentate da ricevute fatte ad hoc per fare schermo e impedire la riconducibilità dei soldi agli illeciti fiscali posti in essere dagli indagati, a capo del fallito gruppo edile.

Il meccanismo consentiva di celare il flusso monetario illecito che appariva del tutto estraneo agli artefici della ingegnosa frode, quale mero trasferimento di fondi della fiduciaria da un conto estero ad un conto italiano. Il coinvolgimento della banca locale ha giocato un ruolo di particolare rilievo: il presidente pro-tempore del Cda della banca ha ricoperto, nel contempo, anche la carica di presidente del Collegio sindacale della principale società fallita, oltre a quella di consulente fiscale di fatto dell’intero Gruppo di imprese, consentendo di fatto all’istituto di credito di beneficiare, tra l’altro, anche dei fondi occulti, investiti prevalentemente in obbligazioni emesse dalla stessa banca e, dunque, direttamente destinati a finanziare l’attività bancaria del medesimo istituto. In buona sostanza, i soldi, così camuffati – le Fiamme gialle hanno accertato un flusso di oltre 20 milioni di euro – sono stati sottratti illecitamente al fallimento del gruppo riminese, decretato nel 2017, determinando così un grave danno sia creditori sia all’Erario.

All’esito delle indagini della Guardia di Finanza, la Procura della Repubblica di Rimini ha richiesto ed ottenuto dal Gip un provvedimento di sequestro preventivo, anche “per equivalente”, nei confronti dei principali indagati, sulle disponibilità finanziarie, detenute anche attraverso intestazione fiduciaria, sui beni mobili ed immobili fino alla concorrenza delle distrazioni fallimentari e delle imposte evase, per 7,6 milioni di euro. Gli indagati (in tutto 9 persone) sono: per la bancarotta fraudolenta il patron del gruppo edile Sauro Nicolini (indagato anche per l’omesso versamento delle imposte), il tesoriere, due membri del collegio sindacale, di cui uno, Fabio Pula (oggi vicepresidente di RivieraBanca), è stato presidente pro-tempore del Cda della banca coinvolta, l’allora Banca di Credito Cooperativo Valmarecchia, nonché il genero del patron. Per riciclaggio sono indagati invece due funzionari di banca e il fratello del patron, mentre per favoreggiamento e per aver ostacolato le indagini risulta indagato il responsabile dell’area controlli dello stesso istituto di credito.