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Storie di quotidiana dedizione

Nel calendario storico dei Carabinieri anche una bella storia da Viserba

In foto: la presentazione a Rimini (Newsrimini.it)
la presentazione a Rimini (Newsrimini.it)
di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
ven 15 nov 2019 13:43 ~ ultimo agg. 14:59
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Questa mattina sono stati presentati il Calendario Storico, all’87° edizione, e l’Agenda Storica 2020 dell’Arma dei Carabinieri. Il calendario racconta storie di dedizione e quotidiano eroismo dei carabinieri, attraverso le tavole realizzate dall’artista Mimmo Paladino, celebre esponente della Transavanguardia, accompagnate da testi di Margaret Mazzantini, scrittrice di fama internazionale.

L’intervista al comandante Sportelli:

A fianco della presentazione nazionale a Roma, il calendario è stato presentato anche nelle sedi provinciali. E a Rimini, dove a presentare il calendario è stato il comandante provinciale Ten Col. Giuseppe Sportelli, c’era un motivo di orgoglio particolare: tra le storie della recente storia dell’Arma che caratterizzano i diversi mesi, per quello di ottobre si parla di un episodio avvenuto a Viserba: il figlio di un uomo allettato, essendo fuori città per lavoro e non riuscendo a comunicare col padre, si è rivolto alla locale Caserma. I militari sono intervenuti nell’abitazione e, non ottenendo risposte dall’interno, hanno abbattuto la porta. Hanno trovato il padre riverso a terra con la flebo staccata. Hanno effettuato i soccorsi in attesa dell’arrivo del 118, subito chiamato. L’anziano se l’è cavata e ha rivolto ai militari intervenuti un paterno ringraziamento. Un ringraziamento toccante in particolare per uno dei due militari, che ha raccontato di non sentirsi figlio da tanto tempo perché cui padre Carabiniere aveva perso la vita in servizio diversi anni prima.

Il testo di Margaret Mazzantini:

Era dicembre, sul lungomare di Rimini erano già state montate le luminarie, oltre trenta chilometri di superficie coperta di luci. Alla Centrale Operativa arriva una chiamata, una voce maschile trafelata: sto provando a chiamare mio padre da diverse ore, ma non risponde, è disabile, fermo in un letto. L’uomo è lontano da Rimini per lavoro, ha un problema alla macchina, sembra disperato. La catena di comando si mette subito in azione, l’intervento è affidato alla nostra pattuglia. Il comandante ci raccomanda di fare in fretta. Il quartiere di Viserba è piuttosto lontano, le strade formicolano di traffico, sono tutti in giro per fare acquisti. Nella nostra pattuglia è sceso quello speciale silenzio, un’allerta interiore che ci tiene concentrati e sospesi: una vita in pericolo, una delle tante, ma per noi in quel momento è l’unica da raggiungere. Suoniamo inutilmente il campanello, dall’interno nessun rumore, usiamo le spalle per buttare giù la porta. Una casa modesta e ordinata, un odore stagnante di sudore e medicinali. Il letto è vuoto, l’uomo è sul pavimento, immobile, il supporto della flebo rovesciato, sanguina dalla testa. Gli prendo una mano, sento il polso vivo, il mio collega si inginocchia accanto a me, gli carezza la schiena, gli sistema il pigiama sollevato su una piaga. Giuseppe siamo qui, ci senti? La testa insanguinata annuisce flebilmente. Lo solleviamo molto lentamente per non procurargli altri traumi. Stai tranquillo Giuseppe, non è niente. Lo stendiamo sul letto. Ecco fatto Giuseppe, tutto a posto. Si vergogna, sembra quasi chiederci scusa con gli occhi. Gli tengo una mano, guardo le vene scure, tribolate. Una mano antica. Sul comò lì davanti, un uomo e una donna giovani nella cornice di un matrimonio lontano. È tua moglie? Che bella coppia. Mi dice che è vedovo da molti anni, gli chiedo qualcosa della sua vita, voglio sentirlo parlare, voglio mantenerlo cosciente in attesa del 118,  trema e il respiro è affannato. Ci ha chiamato tuo figlio, ti vuole tanto bene. Giuseppe ci guarda, cerca conferma nei nostri occhi, annuisce commosso. Arriva il soccorso medico, lo lasciamo ai sanitari. Non vorrebbe più lasciarmi la mano. Grazie figlio mio, sussurra. Fatico a staccarmi da quel letto. Da anni non sono più un figlio, mio padre non l’ho visto invecchiare. Era un uomo grande, allegro, se n’è andato quando ero ancora un bambino, gli hanno sparato a un posto di blocco. Ho preso la sua divisa, la sua impronta, ho preso parte del suo cuore, almeno così dicono.