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Droga, estorsioni e rapine

Blitz antimafia a Taranto, un arresto anche a Rimini

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
lun 25 feb 2019 12:39 ~ ultimo agg. 22:02
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Questa mattina, a seguito di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, i carabinieri del Comando provinciale di Taranto, hanno dato esecuzione, nei comuni di Lizzano, Faggiano, Torricella, Sava, Maruggio, Prato, Rimini, Caltagirone e Milano, a 31 misure cautelari (di cui 22 ordinanze di custodia in carcere e 5 misure di sottoposizione all’obbligo di dimora nel Comune di residenza e di presentazione alla polizia giudiziaria). Tra i quattro agli arresti domiciliari c’è un 39enne originario di Lizzano domiciliato a Rimini e attualmente detenuto nel carcere riminese dei Casetti per altri reati, accusato di rapina aggravata, estorsione e lesioni personali. 

Le accuse a vario titolo sono associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata al traffico di stupefacenti, alla spendita di banconote false nonché alla commissione di estorsioni con metodi mafiosi fra cui atti incendiari ai danni di stabilimenti balneari e di altre attività commerciali. Ma anche detenzione e porto di armi comuni da sparo e armi clandestine, rapina e lesioni personali.

L’attività d’indagine, denominata Mercurio, ha consentito di certificare l’esistenza di un sodalizio criminoso organizzato, inquadrato nella più nota associazione mafiosa della Sacra Corona Unita. L’organizzazione – prevalentemente dedita al traffico di stupefacenti e all’imposizione del “pizzo” in danno di esercizi commerciali di Lizzano con metodi tipicamente mafiosi, fra cui atti incendiari commessi con bottiglie molotov – era capeggiata da Giovanni Giuliano Cagnazzo, rinchiuso nel carcere di Prato, il quale sovrintendeva alle attività delittuose del gruppo impartendo ordini e direttive ai sodali in libertà con la tecnica dei cosiddetti pizzini, che faceva recapitare all’esterno della struttura carceraria attraverso dei complici fidati. Il boss, in tal modo, vigilava sugli equilibri interni ed esterni al gruppo dando il proprio consenso all’affiliazione di nuovi adepti e percepiva e amministrava regolarmente i guadagni derivanti dallo svolgimento delle attività delittuose.

All’interno dell’organizzazione criminale ognuno ricopriva un ruolo ben preciso. C’era chi gestiva il traffico di banconote false, il cui profitto andava a sostenere economicamente il mantenimento in vita del gruppo criminale stesso, chi organizzava e coordinava tutte le squadre di pusher, e chi  si occupava dell’approvvigionamento dello stupefacente all’ingrosso. Il ricavato illecito veniva in parte destinato alle spese di giustizia sostenute dagli affiliati ristretti, in parte destinato al mantenimento delle loro famiglie e in parte utilizzato per retribuire i pusher, alcuni dei quali letteralmente assunti “a libro paga” con un contributo mensile pari a circa 6-700 Euro.