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Rimini Vita della Chiesa

Cristiani "sale e luce". L'omelia del vescovo alla celebrazione per Marvelli

In foto: la celebrazione (Newsrimini.it)
la celebrazione (Newsrimini.it)
di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
ven 5 ott 2018 19:45 ~ ultimo agg. 7 ott 09:10
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Nell’anno del centenario della nascita del Beato Alberto Marvelli, alle 19 nella chiesa di Sant’Agostino, gremita, il vescovo ha presieduto la celebrazione eucaristica in occasione della sua festa liturigica. La sua morte era avvenuta il 5 ottobre del 1946, quando aveva solo 28 anni. Fu investito da un autocarro mentre si stava recando ad un comizio politico.

Si intitola “Cristiani, sale e luce” l’omelia del vescovo, che parte dalla domanda sul senso della vita, citando anche un particolare graffito riminese, per arrivare alla “santità della porta accanto” di Alberto Marvelli.


L’omelia del vescovo:

1. Si può vivere solo per morire? No, non si può. Ho letto di una ragazzina di 13 anni che, di ritorno da una visita al nonno moribondo, ha chiesto alla mamma: “Perché dover andare a scuola, perché lavorare, se poi si deve morire?”. La domanda di Cristina è la madre di tutte le domande di significato. Perché coltivare un’amicizia, amare una persona, se poi la morte viene a spezzare ogni legame? A che serve sfiancarsi, sudare, patire per conquistare una meta, se poi, una volta in vetta, ci si spalanca sotto gli occhi la buia voragine del nulla? Che senso ha reagire davanti a sconfitte e delusioni, se prima o poi veniamo messi sotto scacco matto da una grave malattia, da un incidente fatale, e infine veniamo falciati dalla gelida signora, la morte? Tempo fa lessi pure di un’altra ragazzina, suicidatasi in un bagno della stazione Ostiense a Roma per un insuccesso scolastico. In tasca ai jeans fu trovato un suo biglietto arrotolato, indirizzato alla famiglia e alla scuola: “Mi avete dato il necessario e anche il superfluo. Mi è mancato l’indispensabile”.

2. Noi umani siamo fatti così: veniamo al mondo con una sete bruciante di felicità assoluta, piena, incontaminata. Al momento del decollo per il pianeta Terra ci viene dato tanto, anzi tutto: vitamine, integratori, giochi, svaghi, piaceri. Tutto, tranne il senso di tutto. Ma il senso della vita – si sa – è il sale della vita: quando il senso non è colto, la vita rischia di apparire insapore, incolore, inodore. Nascono allora i drammi dell’alienazione e della noia del vivere. Il più delle volte si è tentati di uscirne stordendosi con la droga, il sesso, i soldi, il gioco d’azzardo, il bullismo…

Purtroppo, però, la domanda di senso viene censurata dalla cultura dominante. Invece del significato dell’esistenza, ci vengono offerti miti ideologici, affermazioni ingiustificate, slogan indiscutibili. Per esempio, il mito della sessualità fine a se stessa, senza ragione e senza scopo che non sia il suo stesso esercizio. Oppure l’egocentrismo individualistico: “Io faccio quello che voglio. E voglio quello che mi pare e piace”. Ancora: “Io sono mio/mia”. Oppure: “Vietato vietare”. Inoltre veniamo abbagliati dal miraggio della felicità garantita: “Se sei bravo avrai successo. E se avrai successo, sarai felice”. Il senso della vita è forse quello espresso amaramente da un graffito inciso su un muro della nostra università: “Produci. Consuma. Crepa”.

Il nocciolo della questione umana è dunque la questione del ‘senso’. Con gli adulti questo è un discorso difficile da fare: se non l’hanno capito prima di diventare dei ‘grandi’ e ‘arrivati’, non lo capiscono più. Per voi giovani invece c’è ancora speranza. Quando tirate fuori il coraggio di riflettere autonomamente, al riparo da slogan e frasi fatte, arrivate a capire che proprio qui sta il problema. E’ il problema del ‘perché’: il perché di ciò che si fa, di ciò che avviene, di ciò che si deve cambiare e sopportare. Quando non si sa il perché, a lungo andare diventa insopportabile anche il piacere.

3. Ma cosa c’entra Cristo con il senso della vita? Non c’entra niente se uno lo relega tra i ‘grandi’ della storia ormai morti e sepolti. O tra i dotti maestri del pensiero, dei quali però nessuno è sopravvissuto al proprio grandioso funerale. O se uno lo piazza in fila con Buddha, Confucio, Maometto, Gandhi o Nelson Mandela. Se uno invece lo riconosce come crocifisso per amore nostro e risorto per salvarci dall’universale naufragio, allora si arriva a concludere che con Cristo o senza Cristo cambia tutto. Cambia la vita, l’attività, il dolore, il lavoro, l’amore, la morte. Cambia proprio tutto. Solo uno che è risorto, ossia ha vinto la morte e dunque è vivo qui oggi può salvarci dal buio e dal freddo del non-senso. “Coloro che si lasciano salvare da Gesù sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento” (EvG 1). Pertanto la risposta non si trova in una enciclopedia, ma si scopre in una storia: quella di Gesù di Nazaret. E’ la storia di un amore immenso, incondizionato. Gesù è stato fatto oggetto di una violenza totalmente ingiustificata a cui ha reagito con una dedizione totalmente incondizionata. Ed è risorto. Solo uno che ha vinto la morte può aiutare anche noi a vincere la morte. “No, non una formula ci salverà, ma una persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.

4. Cosa significa essere giovani cristiani oggi? Ci ha risposto Gesù stesso dal vangelo di oggi, in cui ci ricorda: “Voi siete il sale della terra. Voi siete la luce del mondo”. Sono le due famose immagini, con cui Gesù vuole scolpire il profilo di noi suoi discepoli e il senso della nostra missione e testimonianza. Per Gesù missione e testimonianza non vivono solo di grandi gesti. Al contrario vivono in primo luogo e soprattutto nelle piccole azioni quotidiane, secondo un ritmo che comincia la mattina, quando ci si sveglia, e termina la sera, quando si va a dormire. Vivere come il sale che non insaporisce se stesso, ma è indispensabile per dare sapore alle vivande, così la luce non illumina se stessa, ma squarcia il buio che ci avvolge. Dunque siamo cristiani per gli altri, per la missione. Siamo cristiani testimoni, non cristiani anonimi. Ma ricordando sempre che la buona notizia è pubblica, va gridata sui tetti. E così deve essere la missione: pubblica, non pubblicitaria. Pertanto, niente ostentazione, niente trionfalismi, niente ‘crociate’. Il ‘mondo’ e la ‘terra’ non sono nemici da combattere, ma realtà da amare, da trasformare, da aprire alla vita del regno di Dio. E niente autoesaltazione: “vedano le vostre opere buone e glorifichino (non voi), ma il Padre vostro che è nei cieli”. Ma le opere buone ci devono stare. Non parole al vento, non teorie e discussioni interminabili. Ma opere, specialmente le opere di carità. Ricordando che la carità evangelica si distingue per la ‘condivisione’, ma prima di tutto e soprattutto per l’efficienza.

Questa è “la santità della porta accanto”, la santità di tutti i giorni, per la quale non è necessario essere preti, vescovi, frati e suore. Basta essere battezzati e discepoli innamorati di Gesù. Come il beato Alberto Marvelli.