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Yacuba e il coraggio di essere umani. Al Novelli un convegno dell'Apg23

In foto: Elisabetta Garutti, Gloria Lisi, Primo Lazzari, Yacuba
Elisabetta Garutti, Gloria Lisi, Primo Lazzari, Yacuba
di Simona Mulazzani   
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mer 28 ott 2015 15:10 ~ ultimo agg. 30 ott 13:25
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C’è un grande coraggio in coloro che abbandonano la propria terra dilaniata da guerra e povertà e ci deve essere coraggio nelle persone che li vedono arrivare alle frontiere, il coraggio di abbandonare la paura e andare incontro a questa umanità in fuga. Da questa consapevolezza parte il convegno “Il coraggio di essere umani” promosso dalla comunità Papa Giovanni XXIII venerdì e sabato al teatro Novelli di Rimini. “Siamo chiamati a rimuovere le cause dell’ingiustizia – spiega Primo Lazzari, vice resp. generale Apg23 – non solo ad offrire aiuto. Come comunità condividiamo, ci giochiamo fino in fondo  con questi fratelli ma anche con l’ambizione e la responsabilità di creare un mondo nuovo, più umano, più giusto. La nostra è una proposta educativa, politica“.

La comunità opera a fianco dei rifugiati ad Atene, in Libano, a Reggio Calabria. Lo spirito di condivisione è lo stesso di trent’anni fa quando il fondatore don Oreste Benzi inviò un primo gruppo di missionari in Zambia. Tra loro c’era anche Elisabetta. “Dopo trent’anni, tristemente siamo ancora a parlare di questi temi, ma nel mondo c’è stato un profondo cambiamento – dice Elisabetta Garuti, responsabile Ong Condivisione tra i Popoli –. Oggi i poveri non stanno più a guardare, sanno che una vita più dignitosa, più giusta è possibile. Tutta questa gente che arriva ci fa paura, ma non chiede altro che andare a scuola, medicine, il rispetto della dignità che nei loro paesi è calpestata. Almeno da parte nostra ci sia il coraggio di essere umani, di non farci prendere dalla paura spesso creata ad arte da malfattori che si prendono ogni ribalta televisiva“.

In provincia sono 446 i migranti accolti, 265 a Rimini, comprese 4 famiglie con bimbi. “Quanta amarezza – ammette il vice sindaco Gloria Lisinei giorni scorsi quando una persona mi si è avvicinata e mi ha detto “così non va bene”. Si riferiva alla casa dove abbiamo accolto le famiglie migranti, uno dei bimbi ospitati è nato su un barcone. Si lamentava perché l’abitazione è di fronte ad una scuola. Le parole di quella persona mi hanno fatto male, perché questa non è la Rimini accogliente che vorrei. Spero davvero che convegni come quello della Papa Giovanni ci aiutino a prendere consapevolezza di cosa possiamo fare per cambiare ed essere più umani”.

Del coraggio di essere umani durante il convegno si parlerà con il fondatore della comunità di Sant’Egidio Riccardi, con l’economista Zamagni, con rappresentanti del mondo dei media come Quirico e Tarquinio, con membri di Ong e con i volontari che operano sul campo (il programma completo).

C’è anche Yacuba tra i 446 accolti in provincia di Rimini. Non un numero ma una persona con una storia di grande sofferenza. Gli occhi che si perdono quando parla della sua famiglia, tornano a sorridere quando racconta di chi ha trovato nella comunità Papa Giovanni. Nel 2008, a 17 anni, è partito dal Mali, un paese stremato dalla povertà, scosso da un grave lutto che lo ha fatto ribellare: “Una sera ero a cena con la mia famiglia, la mamma, sei sorelle e il mio fratellino di un anno e mezzo. Lui si è sentito male, è diventato rigido, non si muoveva. Non sapevamo cosa fare, nel paese dove vivevo non c’è un ospedale. Ho inforcato la bici e con la mamma abbiamo portato il mio fratellino per 40 chilometri fino all’ospedale più vicino, ma il giorno dopo è morto. Ero disperato, come tutta la mia famiglia e ho deciso di partire: non è giusto morire così

Yacuba ha viaggiato per mesi, ha attraversato il deserto, facendo piccoli lavoretti che gli permettessero di continuare il viaggio, fino ad arrivare in Libia. Nel 2011 una nuova fuga causata dalla guerra, i ribelli sono andati nel posto dove lavorava e hanno portato via tutto. Il barcone per l’Italia, 1160 persone a bordo, 4 morte prima di arrivare in Sicilia. Un unico desiderio in quei 4 giorni di viaggio disperato: bere. E dalla Sicilia il viaggio verso Rimini: la scuola, la patente, il lavoro in un’azienda che produce biologico e il servizio in una casa famiglia della comunità Papa Giovanni XXIII. “Quando in Libia è iniziata la guerra, molti miei amici hanno deciso di tornare indietro, al loro paese, ma io non volevo, avevo nel cuore il desiderio di andare avanti per aiutare la mia famiglia, il mio paese. Dalla Sicilia, una volta sbarcato, mi hanno portato a Rimini, sono stato accolto in una casa famiglia della Papa Giovanni, mi sono sentito a casa. Non so cosa dire, semplicemente Grazie!