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Cattolica

Al Teatro della Regina 'Erano tutti figli miei'

In foto: Domani sera alle 21 il Teatro della Regina di Cattolica propone “Erano tutti miei figli” di Arthur Miller, con Umberto Orsini e Giulia Lazzarini (nella foto) per la regia di Cesare Lievi. Per informazioni e prenotazioni 0541-833528:
<img src=images/personaggi/umbertoorsini.jpg border=0 align=left width=110>Domani sera alle 21 il Teatro della Regina di Cattolica propone “Erano tutti miei figli” di Arthur Miller, con Umberto Orsini e Giulia Lazzarini (nella foto) per la regia di Cesare Lievi. Per informazioni e prenotazioni 0541-833528:
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lun 4 mar 2002 10:50 ~ ultimo agg. 00:00
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la presentazione dello spettacolo:
Un grande drammaturgo, Arthur Miller, racconta in Erano tutti miei figli la storia di un nucleo familiare che, già privato di un figlio disperso da oltre tre anni, grazie all’intervento della sua giovane fidanzata scopre come il padre industriale, per accrescere i propri profitti, abbia venduto durante la guerra parti d’aereo difettose all’aeronautica militare. Il testo fu il primo grande successo teatrale dell’autore, un copione che nel ’47 (l’anno stesso in cui Miller lo scrisse) gli fece guadagnare il Premio della Critica.
Nel rafforzare la collaborazione con due artisti con cui ha già realizzato alcuni progetti,Emilia Romagna Teatro favorisce qui l’incontro tra il regista Cesare Lievi e le doti di attori straordinari quali Umberto Orsini e Giulia Lazzarini, coproducendo insieme al Centro Teatrale Bresciano e in collaborazione con l’Eliseo di Roma questa riflessione sulla guerra che delinea la ricaduta personale e di coscienza individuale che il conflitto bellico ha generato in una famiglia medioborghese.
Dopo il debutto, un mese fa, al Teatro Bonci di Cesena, il dramma (che ha la traduzione di Masolino d’Amico) ha avuto critiche entusiastiche che si sono accompagnate ad un successo di pubblico fuori dall’ordinario. La scelta di Erano tutti miei figli si deve allo stesso Orsini, grande appassionato di Miller (quattro anni fa propose un’indimenticata edizione di Morte di un commesso viaggiatore, ancora in coppia con la Lazzarini), di cui, dice, “ama il modo di narrare lasciando trasparire, oltre il tessuto umanio una società in cui ognuno di noi può identificarsi”.
Erano tutti miei figli rivela il forte spirito antimilitaristico di Miller attraverso un conflitto generazionale. Ma, anche se sono passati più di cinquant’anni da quando l’autore lo scrisse, si rivela essere di sconvolgente attualità, se si pensa alla recente vicenda di cronaca sul traffico di pezzi di ricambio usurati montati sugli aerei. Un’altra caratteristica della pièce è quella di affiancare ai due mostri sacri del palcoscenico italiano un gruppo di giovani attori, anch’essi voluti da Orsini, tenace fautore del lavoro di gruppo.
Nell’evidenziare la struttura del testo, ovvero lo svelamento di una colpa commessa (prima nascosta e poi svelata e pagata), Lievi, come Miller, si attiene al realismo e all’oggettività della drammaturgia ibseniana, alla sua concretezza filmica precorritrice di telenovelas e sceneggiati seppur costellata di simboli, ma la esaspera per svelare qualcos’altro: un alone di epicità sotteso, qualcosa che richiama più la tragedia che non il dramma borghese. Il nodo è il rapporto tra l’individuo, il suo interesse e il bene sociale, per cui la minuziosa analisi del microcosmo borghese finisce unicamente a dimostrare una colpa – quella di anteporre il profitto all’etica, alla morale, alla giustizia – e due possibili soluzioni, la pazzia o il suicidio.Un lavoro agito sullo sfondo di una scena in cui Maurizio Balò mescola realismo e finzione, concretezza e distacco, palesando le dinamiche realistiche dello svelamento: sotto la vita c’è la morte, la ricchezza e l’agio della famiglia si ergono sopra un cimitero di aerei.
Miller considera questo un testo sociale ed afferma che “la sua ‘socialità’ non consiste nel fatto che tratti del delitto di aver venduto materiale difettoso a una nazione in guerra, è il fatto che il delitto sia visto radicato in certi rapporti dell’individuo con la società, e in una certa mentalità ch’egli impersona, e che, se dominante, può comportare una vita barbarica per tutti noi, indipendentemente dall’altezza dei nostri grattacieli”.