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Violenza sulle donne: l'evento violento

In foto: repertorio
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di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 6 minuti
dom 25 giu 2017 07:25 ~ ultimo agg. 28 giu 15:35
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Se non hai letto la prima puntata dell’approfondimento, la puoi trovare qui: http://www.newsrimini.it/2017/06/violenza-sulle-donne-riconoscere-combattere-maltrattamento/

 

Seconda parte:

Sentire le relazioni legate all’evento violento

 

Gli uomini che maltrattano tendono ad isolare, svalorizzare e umiliare le donne vittime della loro violenza.

Questo porta le donne a convincersi di essere inadeguate, colpevoli e di meritarsi il maltrattamento. Inoltre è difficile spezzare un legame in cui hanno creduto ed investito affettivamente, soprattutto se sole e senza appoggio.

Dargli un’altra possibilità diventa un modo per tentare di salvare la relazione e tenere unita la famiglia.

 

Reazioni normali a eventi anormali

• Forse ritieni di essere l’unica ad aver vissuto situazioni di questo genere.

• Probabilmente stai pensando che non ci sono soluzioni.

• Forse cerchi di capirlo e di giustificare la sua violenza, perché lui ha avuto un’infanzia difficile o un padre violento.

• Provi vergogna e temi che nessuno ti possa capire.

• Forse dopo aver accennato alla situazione che stai vivendo, ti sembra che un’amica abbia preso le distanze.

• Forse sei arrabbiata con te stessa.

• Ti senti sola e hai pochi contatti con familiari e amici.

• Forse sei confusa e incapace di concentrarti.

• Spesso ti senti in ansia e hai paura per te e per i tuoi figli.

• Credi che lui abbia l’intero controllo della situazione.

• Probabilmente ritieni che quello che stai vivendo sia normale, faccia parte ormai della tua vita.

• Ti sembra che nessuno prenda una posizione o si schieri dalla tua parte.

• E’ probabile che tu abbia paura di affrontare la vita senza di lui.

• Forse hai paura che i tuoi figli possano soffrire.

• Magari hai paura che lui possa divenire più violento se decidi di lasciarlo.

• E’ possibile che tu sia preoccupata per lui e per quello che gli può succedere.

• Forse ti sei sentita dire da qualcuno che devi sopportare per la famiglia.

 

L’autore della violenza: il suo sentire

• Forse non si rende conto di perdere il controllo e nega la propria responsabilità.

• Quasi sempre, dopo gli episodi di violenza, piange, chiede scusa e promette che non succederà più.

• Forse dice che non vuole farti del male, ma che sei tu a costringerlo perché lo provochi con le tue parole o con i tuoi comportamenti.

• Forse ti ripete che se tu fossi più comprensiva tutto questo non accadrebbe.

• Forse ti convince che la sua violenza è colpa dell’alcool o della sua infanzia ” difficile”.

• Probabilmente lui ha bisogno di aiuto per capire come mai non controlla le proprie reazioni, ma non puoi essere soltanto tu ad aiutarlo.

 

Quali emozioni pervadono l’aggressore? Aggressività, rabbia, odio, rancore… e forse tante altre emozioni dello spettro aggressivo, a seconda delle situazioni…

Tematiche di violenza e aggressione sono oggi di estrema attualità. In realtà, si parla troppo poco di come un’aggressione nasce e si sviluppa, delle motivazioni che portano una persona ad aggredirne un’altra e quest’ultima ad essere nelle condizioni di essere aggredita. Si parla poco (o non si parla) delle emozioni che permeano gli attori dell’aggressione e ancora meno si parla di prevenzione. Si riflette troppo poco su come l’aggressione funziona, da un punto di vista psicologico e relazionale.

Tali emozioni non sono pensate dall’aggressore, sono semplicemente agite. In pratica, l’aggressore non è in grado di comprendere da dove nasca il suo stato di agitazione, di rabbia, né è in grado di gestirlo. Tutto ciò che sente di poter fare è agire, esprimere ciò che ha dentro. Scavando, si può certamente notare come alla base di quelle emozioni aggressive così intense vi siano forti sentimenti di vulnerabilità e di impotenza. Chi abbia provato sentimenti di gelosia, conosce la paura e il dolore che evoca il pensiero di non essere amati dalla persona amata. Chi ha sperimentato quei sentimenti sa quanto si sta male. Provare a “vestire i panni dell’aggressore” è un esercizio importante per capire il funzionamento psicologico di chi aggredisce.

Gli uomini che maltrattano utilizzano la forza per affrontare le discussioni all’interno della coppia. Sentono minacciato il loro potere e temono di perdere il controllo sulla propria famiglia. La violenza, dunque, rappresenta un modo per imporsi e affermare la propria forza nella relazione con la partner e con i figli. Riconoscere la propria violenza e ammettere di avere un disagio, talvolta dovuto ad un’antica e profonda sofferenza è il primo passo per affrontare il problema. Per questo è importante trovare qualcuno con cui parlare per essere aiutato.

 

Varie sono le emozioni che possono bloccare il superamento del trauma:

vergogna (perché la vittima crede che ci sia qualcosa di sbagliato al proprio interno);

senso di colpa costruttivo (cioè quando ci si assume la responsabilità di quanto subito) e generalizzato;

i retaggi culturali.

Truminger nel suo lavoro marital violence, the legal solution ha classificato i motivi che impediscono ad una donna di rompere la relazione: negativo concetto di se; fiducia che il marito possa cambiare; mancanza di sostegni economici tali da garantire una autosufficienza; presenza di bambini bisognosi del sostegno economico offerto dal padre; concezione negativa della separazione e del divorzio; impossibilità di lavorare per la presenza di bambini piccoli da accudire; paura di non poter vivere da sole.

La donna riesce a sopravvivere alla relazione, ma si allontana sempre di più dalla realtà. Non riesce più a vedere la realtà come è, ma la vede distorta, distorta fino al punto da non riuscire a riconoscere l’abuso. Non riconoscendo l’abuso non ha più la forza di chiedere aiuto, perché se lo facesse sarebbe come andare a riscoprire ciò che aveva accuratamente coperto. Quando il negare, il minimizzare, il non ricordare diventano strumenti non adeguati ricorrono alla strategia del ricucire: inizia a pensare, pianificare l’idea di andarsene senza poi mai metterla veramente in pratica. Il proporsi di andarsene, di rompere con il partner violento sembra aiutare la donna a reggere la situazione e ricucire di volta in volta gli strappi prodotti.

Quali sono gli effetti di questa strategia? La distanza che avviene tra il piano delle intenzioni e quello della realtà, tra quello che la donna vorrebbe fare e quello che non riesce a fare, aumenta il suo senso di impotenza e la sua scarsa autostima.

In molti casi è l’amore della madre per il figlio ciò che le da la forza per interrompere la relazioni, ma in altri casi avviene l’esatto contrario. Focalizzarsi sulla sopravvivenza può provocare una grossa confusione rispetto le esigenze dei propri figli. Così le donne non lasciano il marito adducendo la motivazione: lui è un buon padre, ma le cose stanno veramente così? è come se la donna puntasse tutta la sua attenzione sulla protezione del rapporto e, in una sorta di conflitto di interessi, non riuscisse più a proteggere ne se stessa ne figli. In realtà l’immagine del buon padre, più che tutelare i figli, sembra rassicurare lei e realizzare il suo desiderio che il partner sia tale.

Quando la violenza è agita entro le mura domestiche la vittima dispone di una minore capacità di reazione: è più difficile, infatti, vedere come “colpevole da
odiare” colui al quale si è legati affettivamente; è più complesso staccarsi dall’esperienza di violenza quando si hanno contatti continui con l’aggressore; è più laboriosa la scelta di sporgere denuncia quando vi è un legame parentale o amicale.
COSA FARE, COME REAGIRE

Riconoscere di essere una donna che subisce maltrattamenti è il primo passaggio per poter uscire da una relazione violenta. E’ un processo difficile e faticoso, che spesso genera molta sofferenza perché uscire allo scoperto significa anche dichiararlo agli altri e ciò è accompagnato da una profonda vergogna e senso di umiliazione.

Importante è avere un confronto per capire ciò che si sta vivendo, sapere dove trovare aiuto ed evitare di affrontare da sola questa difficile situazione.

 

Questi sono i primi passi che puoi iniziare a fare per te:

• Riconoscere di vivere o aver vissuto una situazione di violenza.

• Riconoscere che la violenza non è mai giustificabile.

• Riconoscere che tu non sei mai responsabile della violenza che subisci.

• Riconoscere che è normale che tu ti senta depressa e triste..

• Parlare di quello che stai vivendo con qualcuno, che ritieni possa capirti e aiutarti.

• Rivolgerti ai centri che si occupano di violenza.

 

Quando si parla di violenza in generale è sempre utile anche affrontare il tema di come ci si possa prevenire o difendere da un’aggressione.

È importante saper riconoscere e consolidare i confini del proprio spazio vitale, quei limiti che non si è disposti a lasciar superare, affinché ci si possa render conto quando si presenta un pericolo. Possiamo evitare che la paura si trasformi in panico sviluppando quelle caratteristiche psicologiche che permettono di affrontare con decisione ogni situazione; è importante inoltre, saper riconoscere i sintomi psichici e fisici della paura, analizzare le reazioni in modo da essere consapevoli delle proprie risposte tipiche di fronte al pericolo, curare la fiducia in se stessi, controllare e modificare i pensieri negativi. Solo così è possibile trasformare la paura in un sentimento positivo, in grado di produrre un effetto opposto alla paralisi fisica e/o mentale, così da non farsi cogliere impreparati.

Per prima cosa però, è necessario assumere l’atteggiamento mentale di avere il diritto di proteggere sé stessi, perchè la vera forza che porta a reagire è la forza mentale, che permetterà poi l’utilizzo della forza fisica.

 

Infine è importante che ogni donna ricordi:

“Tu non sei un problema,

tu hai un problema,

chi non ti rispetta è il problema!”.

 

Dottoressa Erika Zagnini

Servizio di psicologia e psicoterapia Liberamente

Coop sociale Il Millepiedi