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L’editoriale de ilPonte

Il giorno dopo su di lui, come su molti altri ragazzi, vittime del terrore e della violenza, è calato il silenzio. È sempre stato così ed è a volte difficile pensare ad un giorno in cui sarà diverso.
Nell’attesa si chiede ai bambini di disegnare, di raccontare, di scrivere le impressioni sugli attacchi alle torri gemelle, sulla guerra, sulla violenza… Si chiamano, giustamente, gli psicologi per interpretare i pensieri e, per quanto possibile, curare le ferite nella mente dei piccoli. Si stanno formando competenze specialistiche da mettere a disposizione di prossime piccole vittime perché, dice il mondo degli adulti, è inutile illudersi ed illudere: la violenza ed il terrore non cesseranno.
Ma è davvero questa la risposta per Ahmad, i bambini degli Usa, i bambini dell’Afghanistan, quelli dell’Algeria e della Sierra Leone, i bambini della Palestina e di Israele, quelli di Belfast, i bambini del mondo?
Sappiamo bene che le domande non risolvono i problemi. E neppure è corretto giocare sulle emozioni, ignorando la complessità e la gravità delle questioni che si stanno vivendo nel mondo. Ma a questi bambini, a questi nostri figli può il mondo degli adulti promettere un futuro diverso? È possibile un supplemento di coraggio per cercare vie nuove rispetto all’odio, alla disuguaglianza, alle armi, alla violenza?
È forse un sogno di bambini. Era il sogno di Ahmad che guardava suo padre sperando di vederlo un giorno senza fucile. Purtroppo così non è stato, ma il piccolo afghano ha detto che “la morte non è l’ultima parola”.