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Congedo di paternità: 15 i dipendenti del comune che l'hanno usato nel 2017

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
mer 17 gen 2018 18:06
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Nel 2017 sono stati 15 i dipendenti del Comune di Rimini, uomini, ad aver usufruito del congedo di paternità per un totale di 467 giornate; di queste, 181 sono state retribuite al 100% e 277 al 30%, mentre 9 sono state quelle concesse senza alcuna retribuzione. Un mini permesso introdotto nel 2013 da una riforma legislativa, da utilizzare entro i primi cinque mesi dalla nascita, adozione o affidamento del figlio; inizialmente si trattava di un giorno, portato a due giorni nel 2016 e nel 2017 e che nel 2018 sale a quattro giorni.

“Un inizio e un segnale, a cui spero possa seguire presto una nuova stagione di pari opportunità, a partire da un pieno riconoscimento della paternità e delle responsabilità genitoriali condivise in sede normativa a livello nazionale”. Con queste parole il Vicesindaco con delega al personale del Comune di Rimini, Gloria Lisi, commenta i dati relativi all’utilizzo dei congedi parentali da dei dipendenti maschi del Comune di Rimini. “Numeri che seppur ancora troppo limitati – continua la Lisi – indicano un mutato quadro sociale in cui anche i padri cominciano a chiedere più spazio nella rivendicazione dei propri diritti doveri di genitori”.

“Eppure – sottolinea la Lisi – si tratta di un aiuto che, seppur minimo nella sostanza, ha un significato rivoluzionario, visto che in Italia la cura dei figli è ancora perlopiù affidata alle madri. Nel nostro piccolo i numeri che presentiamo testimoniano un attivismo della nostra amministrazione nel promuovere questo importante strumento di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e di pari opportunità, ma resta ancora tanto da fare. La materia è ovviamente di competenza statale ed è a questo livello che l’Italia è paurosamente indietro rispetto altri paesi europei (in Svezia sono riconosciuti 480 giorni ai genitori fino ai nove anni del bambino, e prima le due settimane a entrambi, con retribuzione al 100%; in Norvegia addirittura 54 settimane a compenso pieno, di cui 9 obbligatorie per la madre e 6 per il padre). Si deve e si può fare di più, perchè solo attraverso adeguati e moderni sistemi di welfare si potrà contribuire a porre fine alla discriminazione delle donne in ambito lavorativo e a quella degli uomini in ambito domestico. Una discriminazione che ha effetti molto concreti, visto che incide pesantemente anche sul calo demografico e sull’occupazione femminile, oltre che sulla qualità della vita generale dei genitori italiani. Ha inoltre un grande significato pedagogico; un bimbo che vede il padre prendersi cura del fratellino o del nonno, sarà un adulto di domani naturalmente consapevole della compartecipazione alla via famigliare di padre e madre. Un paese civile non può mettere i suoi giovani di fronte ad una scelta incivile, tra diventare genitori e mantenere il posto di lavoro. La famiglia, aldilà di tanti principi ideali sbandierati regolarmente in ogni campagna elettorale, non si sostiene attraverso gli stereotipi ed i miti, ma anche attraverso interventi piccoli ma necessari come questi”.