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Housing first: da sperimentazione a realtà strutturata

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
mer 19 ott 2016 19:27 ~ ultimo agg. 24 ott 09:56
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Nato nel 2012 come progetto sperimentale, l’Housing First del Comune di Rimini ha rappresentato per molte persone una grande opportunità, un appoggio, un aiuto in un momento difficile. In questi anni l’Housing first è stato un nuovo modello di intervento per il contrasto alla marginalità grave, che inverte i canoni formali dell’assistenza, partendo da dove solitamente si termina, dando cioè abitazione ai senza fissa dimora stanziali sul territorio.

La casa come punto d ipartenza, in estrema sintesi, di un percorso individuale verso l’autonomia. Tra la decina di senza fissa dimora transitati nel progetto, c’è chi ha riscattato il proprio stato di salute, chi si è disintossicato, chi ha trovato la forza di riallacciare rapporti famigliari e chi ha potuto per la prima volta ottenere assistenza sociale e interventi sanitari. Il presupposto è che le persone, anche in situazione di disagio forte, abbiano le risposte per sviluppare un progetto di vita sano. Con un giusto aiuto possono ritrovare la fiducia in se stessi e responsabilizzarsi.

Anno dopo anno il progetto ha assunto sempre più un ruolo centrale tra i progetti sociali del comune, tanto che la Giunta del Comune di Rimini ha approvato in maniera strutturata per il prossimo triennio 2017-2019 con uno stanziamento di settantamila euro.

 

Ed è il comune a lanciare questa notizia, e lo fa raccontando la storia di due persone che proprio grazie all’Housing First sono riusciti a trovare un punto da cui ricominciare.

Eugenio, ora alle soglie dei sessanta anni, era un padre di famiglia come tanti, sposato e con un figlio. Poi i litigi sempre più frequenti e la separazione, nel 1996; da allora una graduale e terribile discesa negli abissi dell’emarginazione che per lui assume le sembianze di Rimini, un posto come un altro in cui scappare dalla Calabria, in cui continuano a vivere moglie e figlio. Venti anni ai margini, da disperato, con l’alcol che brucia stomaco e futuro, creando una dipendenza alleviata solo dai sempre più frequenti ricoveri ospedalieri. Quando lo dimettono lui si ferma fuori dalla porta di ingresso e dorme lì o poco più in là, cercando qualche spiccio da chi si ferma a parcheggiare. I volontari dell’Associazione Papa Giovanni XXIII lo hanno trovato, accolto e infine inserito in una abitazione, assistendolo ma lavorando anche e soprattutto sulla sua autonomia. Eugenio prende fiducia, si cura, inizia un percorso sanitario per disintossicarsi, ed ora gestisce in autonomia la casa, cucinando anche per i volontari. Ora il suo sogno è quello di poter incontrare suo nipote appena nato, anche perché con il figlio, con grande pazienza, si sono gradualmente riallacciati i rapporti.

 

 

L’altra storia è quella di Anna, una badante dell’est anche lei poco meno che sessantenne. In poco tempo perde marito, diventando vedova, e lavoro, precipitando velocemente in una spirale di solitudine e alcol; dilapida i pochi soldi che era riuscita a tenere da parte e si ritrova a vivere per strada. Si ammala e non si cura, una patologia importante alla gola, unita agli abusi alcolici la debilita e compromette gravemente. Imbocca un tunnel che vede la luce negli occhi dei volontari che la trovano a vagabondare, e le propongono di accoglierla alla “Capanna di Betlemme”. Lei diffida e non accetta, ma poi la tenacia dei volontari ha la meglio. Anna viene accolta, assistita, ascoltata, fatta sentire in una grande famiglia. Gli viene offerta la possibilità di una abitazione autonoma, accetta, inizia a disintossicarsi, e riprende a lavorare saltuariamente. Riprende i contatti con i figli lontani con cui aveva interrotto ogni rapporto. Grazie al progetto “housing firts” inizia un percorso di autonomia, riesce a prendere la residenza e soprattutto affrontare le sue difficili condizioni sanitarie; si opera alla gola all’ospedale di Forlì. Non tutto è risolto, ma oggi Anna riesce a lavorare e sogna un giorno di rivedere i suoi figli diventati grandi, riprendendo la vita dove l’aveva lasciata andare diversi anni fa.

 

Quelle di Anna ed Eugenio – commenta Gloria Lisi, Vice Sindaco con delega alla protezione sociale del Comune di Rimini – sono storie che testimoniano come anche sul lavoro di strada, con l’emarginazione grave, vi sia sempre una possibilità di riscatto. Housing first è partito come una scommessa, ora sta dando i primi risultati concreti, che ci spingono a continuare e rendere più strutturato negli anni questo percorso. Dietro aqueste storie c’è un impegno quotidiano di volontari, assistenti sociali, personale amministrativo e sanitario che si prende a cuore le persone e le accompagna gradualmente ad una autonomia possibile. Un percorso fuori dallaribalta, ma dentro una città che anche grazie a queste storie si sta scoprendo più aperta, accogliente e solidale”.