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Come capire se il gioco diventa malattia?

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: < 1 minuto
gio 26 nov 2015 15:56 ~ ultimo agg. 27 nov 10:52
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Il problema del gioco d’azzardo non investe esclusivamente la sfera economica, ma intacca anche quella emotiva e relazionale del giocatore compulsivo, con effetti negativi su tutti coloro che hanno a che fare con chi soffre di questa malattia. Giovedì 19 novembre, il Centro Elisabetta Renzi di Riccione ha ospitato il secondo incontro del percorso informativo Il gioco d’azzardo non è un gioco: mi metto in gioco. Questa volta a parlare è Emma Pegli, coordinatrice del progetto Gioco d’azzardo patologico dell’AUSL Romagna e membro dell’U.O. Dipendenze Patologiche, che riprende il discorso iniziato la settimana precedente, occupandosi prevalentemente degli aspetti comportamentali del giocatore e delle ripercussioni di questa malattia sulle relazioni sociali.

Per quale motivo un giocatore è spinto a giocare perdendo la cognizione di spazio e tempo?
“Un giocatore patologico continua a giocare sia che stia vincendo, sia che stia perdendo. Tra le principali cause c’è il voler coprire i debiti che si hanno in famiglia, un mutuo, oppure perché ci si vuole rifare delle partite perse fino a quel momento. Ma vi sono altri fattori che spesso sono i peggiori. Quando si vince infatti, si è portati a continuare a giocare per non perdere l’ondata vincente. È un problema che si nota in tutti i giocatori, la credenza in una sorta di fortuna o scaramanzia che possa in qualche modo aiutare a vincere. Non a caso, chi invece perde di continuo, crede che continuare a giocare sia necessario perché non si può sempre perdere e quindi sto per vincere. Gli esiti delle partite alle VLT e Slot invece, sono prettamente casuali”.

 

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