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L'esodo degli invisibili

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
lun 27 apr 2015 15:56 ~ ultimo agg. 28 apr 20:48
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“Sono arrivato qui…senza niente in tasca. Non volevo venire in Italia ma i miei genitori mi hanno chiesto di partire…Oggi qui ho tutto. I sacrifici e la fatica vengono sempre ricompensati”.

Non è facile raccontarsi, soprattutto se hai 20 anni o giù di lì e un passato molto più impegnativo della maggioranza dei tuoi coetanei.

Non è facile ammettere di avere avuto paura, di esserti sentito solo, di sentire nostalgia dei tuoi genitori…quando sei immerso in una cultura che tende a promuovere solo modelli competitivi, improntati al successo.

 

Ahmed, Mahmoud e Blerin hanno scelto di provarci e di scommettere che fosse possibile raccontare storie di immigrazione senza cadere nella retorica o nei luoghi comuni, ma a partire dalla loro esperienza concreta.

Lo hanno fatto davanti a 240 studenti della Scuola Media “T. Franchini” di Santarcangelo e ai loro insegnanti.

Un incontro dal titolo: “L’esodo degli invisibili. Immigrazione, diritti negati, solidarietà, integrazione” ospitato dal Supercinema di Santarcangelo venerdì 10 Aprile.

Spiega la prof.ssa Paola Affronte, coordinatrice del progetto e responsabile dell’evento: “Il progetto ‘Per un pugno di libri’ che coordino è nato in collaborazione con la Biblioteca A. Baldini di Santarcangelo e con il Festival Mare di Libri. Durante l’anno ci prepariamo alle gare di lettura promosse nell’ambito del Festival leggendo libri su tematiche di attualità e promuovendo incontri con l’autore, testimonianze, approfondimenti. Quest’anno abbiamo scelto per le classi seconde il libro ‘Viki che voleva andare a scuola’ di Fabrizio Gatti. Nel leggere di questo ragazzino e della sua famiglia che abbandonano la loro terra, l’Albania, in cerca di una vita nuova, non abbiamo potuto fare a meno di chiederci: cosa prova chi lascia tutto per inseguire un sogno e si ritrova solo in un paese straniero? I nostri ragazzi si rendono conto di essere davvero dei privilegiati rispetto a chi vive esperienze come questa? Abbiamo chiesto all’Associazione Agevolando e alla Fondazione San Giuseppe per l’Aiuto Materno e Inantile di Rimini di aiutarci a trovare delle risposte, a partire dalle storie dei ragazzi che quotidianamente accolgono e incontrano”.

 

Ad accompagnare i ragazzi anche Manuel Mussoni, educatore ed insegnante, volontario dell’Associazione Agevolando e segretario della sezione riminese: “Siamo bombardati di immagini degli sbarchi, scene che sembrano così lontane da noi. Da quelle immagini dei barconi con cui anche tanti minorenni arrivano nel nostro paese poi però questi ragazzi sembrano improvvisamente diventare invisibili…nessuno vuole più occuparsene. Invece sono qui, abitano le nostre città, la loro presenza non può fare a meno di interrogarci. Io ho lavorato in una struttura di pronta accoglienza – la Casa per le emergenze “Amarkord” di Rimini – e l’incontro con questi ragazzi ha lasciato un segno forte nella mia vita”.

 

Blerin è il più grande dei tre, ha 24 anni, ma è il più emozionato. Per i ragazzi è un po’ come un fratello maggiore, per la sua sensibilità e generosità. Ecco la sua storia: “Sono partito dall’Albania quando avevo 16 anni, provenivo da una famiglia e da una città molto povera, dove non avevo nessuna possibilità di trovare un lavoro. Ho lasciato il mio paese in cerca di una vita migliore. Sono arrivato a Rimini un po’ per caso e sono stato accolto prima dalla Casa per le Emergenze e poi dal Gruppo Appartamento per neomaggiorenni della Fondazione San Giuseppe. Non conoscevo l’italiano, non avevo studiato, mi guardavo intorno e pensavo di essere solo…per fortuna non è stato così perché ho avuto la fortuna di incontrare delle persone che mi hanno voluto veramente bene e che mi hanno aiutato. Ho concluso la scuola, ho trovato un lavoro come idraulico grazie al Centro Zavatta. Tra qualche anno non escludo che mi piacerebbe tornare in Albania se potessi trovare un lavoro nel mio paese, per tornare a vivere vicino ai miei genitori, che mi mancano molto”.

 

Mahmoud e Ahmed sono entrambi egiziani, hanno 20 anni. Si sono conosciuti qui in Italia e da quel momento hanno un legame intenso e speciale, oggi vivono insieme in un appartamento in affitto insieme al loro amico Julian.

Racconta Mahmoud: “Sono partito da casa mia in fretta, senza salutare nessuno, non volevo vedere la mia mamma piangere. Sono testardo e determinato, sapevo che cosa volevo e ho fatto di tutto per raggiungere i miei obiettivi. Mi sono impegnato al massimo e oggi ho un lavoro che mi piace e una bella vita”.

Sembra forte e quasi un po’strafottente Mahmoud, ma in realtà nasconde tutta la tenerezza e la fragilità tipiche della sua età. E le parole di questa sua poesia che ha scritto appena arrivato in Italia, in un momento di nostalgia, lo lasciano intuire: “Non riesco a trovare la fortuna, vorrei lasciare tutto e scappare, ma non posso. Io non so chi essere, non so chi sono. Piango per il passato e per ciò che verrà. Perché ho innaffiato l’amore con la tristezza, perché costruisco la speranza e trovo la fatica e perché non trovo una risposta ai miei perché?”. Domande che, come lui, molti ragazzi si pongono.

 

Ahmed apre il suo racconto con le parole di una canzone: “Come hanno fatto tutti” di Rocco Hunt.

E spiega: “Anche io non avevo niente in tasca…e la strada mi ha insegnato tanto. Il mio viaggio per raggiungere l’Italia è stato molto duro. Ho trascorso due mesi nel deserto, con mio fratello che aveva solo 12 anni. Mangiavamo una volta al giorno, ci picchiavano. Sulla nave che ci ha portati in Italia abbiamo avuto un indigestione per del pesce andato a male che ci hanno dato da mangiare. Ho avuto tante volte paura di morire o che potesse succedere qualcosa di brutto a mio fratello. Non posso dimenticare quello che ho vissuto, ma ora guardo avanti…perché sono sicuro che anche grazie a questi sacrifici riuscirò a costruire il mio futuro”.

 

I tre ragazzi hanno in comune un percorso di accoglienza nelle comunità del territorio e sono da due anni soci e volontari attivi di Agevolando, un’associazione che intende supportare i giovani che vivono “fuori famiglia” anche dopo il 18esimo anno di età e promuovere la loro partecipazione.

Spiega, ancora, Manuel Mussoni: “Per questi ragazzi l’incontro con Agevolando e con il nostro ‘Sportello del Neomaggiorenne’ è stato fondamentale: per non sentirsi soli, per orientarsi nel territorio, per creare una rete di amicizie e di contatti. Non solo: all’interno dell’Associazione i ragazzi si rendono utili a vicenda, si attivano processi di auto-mutuo-aiuto di vitale importanza per questi giovani che, una volta usciti dalle comunità, trovano casa insieme, si sostengono, si danno consigli. Così facendo diventano loro stessi una risorsa. Noi educatori e volontari cerchiamo soprattutto di farci loro compagni di strada, di camminare al loro fianco”.

E conclude: “Incontri come questi hanno il merito di far conoscere storie che rimangono spesso sconosciute o che ci sembrano così lontane da noi. Vedere oltre 200 ragazzi di 12/13 anni prendere appunti, ascoltare con attenzione, fare domande a questi ragazzi è sicuramente la miglior risposta a tutte le derive razziste ed ideologiche alle quali spesso, tristemente, assistiamo”.

Silvia Sanchini

Il racconto completo della storia di Ahmed e la poesia di Mahmoud sono a disposizione sul blog: https://sportelloneomaggiorennerimini.wordpress.com/