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1.600 km in bici per sostenere l’ospedale di Mutoko

In foto: Giovanni durante il suo viaggio
Giovanni durante il suo viaggio
di Simona Mulazzani   
Tempo di lettura 4 min
Gio 10 Set 2015 14:37 ~ ultimo agg. 18 Mag 23:59
Tempo di lettura 4 min

Un paio di forature, una ruota sostituita, il vento nelle prime tappe e il caldo dalla Puglia alla Sicilia. Piccoli e grandi problemi che però non hanno scoraggiato Giovanni Arcangeli, l’architetto riminese partito lo scorso 23 agosto, in bicicletta in solitaria, dal Rifugio Berti sulle Dolomiti del Comelico, in direzione Sicilia. Un viaggio per sensibilizzare sulla missione di Marilena Pesaresi a Mutoko, in Zimbabwe e  raccogliere fondi per i progetti dell’ospedale dove Giovanni opera anche come volontario.  L’arrivo di “I ride for Africa” il 5 settembre, un giorno prima di quanto stabilito inizialmente nel programma. e per raccogliere fondi per i progetti dell’ospedale dove Giovanni opera anche come volontario.

Il viaggio è stato anche l’occasione per verificare lo stato del paesaggio italiano e i sistemi di mobilità “lenta”.

L’intervista di Riccardo Belotti

Giovanni, il viaggio è terminato: qual è stato il primo pensiero, una volta in vetta?

Sicuramente l’emozione di avercela fatta e avere dato risposte alle tante persone che mi hanno sostenuto e un pensiero intenso per mio padre che credo mi abbia affiancato per tutto il viaggio.

Ora è a casa da qualche giorno: come è stato rientrare nella routine dopo questa esperienza?

Sapevo che si sarebbe rientrati nella quotidianità e che la pedalata era una parentesi aperta (ma non chiusa). Poi un’esperienza come questa davvero può cambiarti, soprattutto nell’approccio alle situazioni di tutti i giorni, apre scenari diversi, prospettive e stimoli che vanno colti.

Quali sono stati gli incontri che hanno segnato questo viaggio?

Tanti incontri: da Fausto, un ciclista abruzzese che mi ha offerto un caffè, alla famiglia Giannico che mi ha ospitato a Laterza in Basilicata, a Francesco che andava in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo, alle semplici persone che incontravo ogni giorno e si entusiasmavano per la mia iniziativa e per i racconti sull’ospedale di Mutoko, alla Lila di Catania, un’associazione che segue persone in difficoltà, al CAI di Catania.

Qual è stato il momento più bello e quale quello più difficile?

Molti i momenti belli: dallo scollinamento della Sila Calabrese quando all’improvviso dopo aver pedalato 200 km ti si apre davanti il Tirreno e poi intravedi le coste sicule a quando con la ruota tocchi il gradino di ingresso del Rifugio Sapienza e capisci che è finita. Momenti difficili tanti, ma forse il peggiore quando mi hanno indicato una strada per raggiungere Manfredonia e all’inizio della strada un cartello diceva “strada interrotta”. Dopo 30 km di nulla, con un caldo atroce e senza più acqua, la strada non si era ancora interrotta e ho avuto il timore di dovere tornare indietro o di trovarmi come Benigni e Troisi nel film “non ci resta che piangere” in un’altra epoca.

Hai pensato mai di mollare tutto?

No mai. Come in montagna, bisogna capire i propri limiti, ma non mollare mai.

Ritieni che lo scopo iniziale – far conoscere la Fondazione, e raccogliere fondi per l’Ospedale – sia stato raggiunto?

In piccola parte, ma si può fare e farò ancora tantissimo. Il lavoro vero comincia adesso, informare le persone coinvolte dei progetti in corso a Mutoko. Tenerle aggiornate, renderle partecipi perché mentre la mia pedalata è finita, Massimo e Lucia, i due ragazzi che sono laggiù a Mutoko, si alzano ogni giorno e pedalano ogni giorno e ogni notte. Li ho visti alzarsi alle due di notte per andare a cercare sacche di sangue per un cesareo, o stare vicino ai parenti quando un bambino stava morendo. Sono loro i veri atleti. La raccolta fondi deve essere costante e continua, per questo è ora di unire gli sforzi e lavorare meglio insieme alla Fondazione, insieme a Giorgio Casadei di “Rimini for Mutoko” perché non siano iniziative estemporanee e singole.

E ora, cosa succederà? Hai altre iniziative in mente?

La mia fantasia purtroppo è molto fervida. Un paio sono già nella fase di progettazione, ma preferisco verificarne prima la fattibilità.

C’è qualcuno in particolare che vuoi ringraziare?

Tantissime persone, ma sicuramente Claudia, mia moglie che ha una pazienza infinita e i mie figli Alessandro, Alice, Valentina e Viola che mi sorridono sempre.

Quando tornerai in Africa?

Appena Massimo e la Lucia avranno bisogno di me.

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