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la riforma del perdono

60 anni fa l'apertura del Concilio. Don Battaglia: un evento dello Spirito

In foto: un'istantanea del Concilio Vaticano II
un'istantanea del Concilio Vaticano II
di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
mar 11 ott 2022 11:43 ~ ultimo agg. 11:53
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Esattamente 60 anni fa, l’11 ottobre 1962, papa Giovanni XXIII dava inizio al Concilio Vaticano II. Un evento che ha profondamente rinnovato il cammino della chiesa, “un evento dello Spirito”, lo definisce don Roberto Battaglia che ci offre una riflessione su ciò che ha rappresentato e come sia stringente il legame con il percorso sinodale che la Chiesa sta compiendo su sollecitazione di Papa Francesco. Don Roberto, parroco di San Girolamo a Rimini, insegna teologia sistematica all’ISSR MArvelli di Rimini e sul Concilio ha pubblicato con le edizioni Cantagalli nel 2013 “La Chiesa evento di comunione“.

Il 60° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e l’attuale percorso sinodale.

Esattamente 60 anni fa, l’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII dava inizio al Concilio Vaticano II, esprimendo l’esigenza di un aggiornamento della Chiesa in ordine al «modo» in cui riproporre
l’annuncio cristiano: «la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando» (Discorso di apertura).

Il nesso tra questa esigenza di rinnovamento e la misericordia fu richiamato dall’allora card. Ratzinger nel suo intervento al Meeting di Rimini del 1990, quando disse che l’esperienza del
perdono è «il nucleo di ogni vera riforma», evidenziando come nei vangeli essa sia presentata all’origine della Chiesa, parte dell’autorità conferita a Pietro (Mt 16,19) e fattore costitutivo della nuova comunità nell’Ultima Cena, possibile in virtù del fatto che Gesù versa il suo sangue «per il perdono dei peccati» (Mt 26,28), fino alla facoltà di perdonare conferita a tutti gli Apostoli (Gv 20, 19-23).
Nel “Sì” di Pietro (Gv 21, 15-19), poggiato su Cristo che lo riabbraccia dopo il rinnegamento, riconosciamo che solo chi si lascia generare dal perdono può comunicare questa stessa esperienza in ogni incontro umano, usando «la medicina della misericordia». La «riforma del perdono» di cui parlò Ratzinger fu riproposta dall’attuale pontefice indicendo il Giubileo della misericordia nel 50° anniversario della conclusione dello stesso Vaticano II e guardando al Concilio come un evento in cui la Chiesa stessa si è scoperta costituita da uno sguardo di misericordia (cfr. Misericordiae vultus, 4).

Papa Bergoglio poneva in questo modo la Chiesa innanzitutto di fronte a Dio prima che di fronte al mondo, in quanto bisognosa anch’essa di misericordia come l’intera umanità. Proprio nel superamento di ogni “ecclesiocentrismo” autoreferenziale si realizza un autentico rinnovamento, come aveva detto in precedenza a Firenze: «la riforma della Chiesa – e la Chiesa è semper reformanda – è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito» (10.11.15). Francesco ha poi ribadito che solo in questa direzione si vive un’autentica sinodalità, «la quale presuppone e richiede l’irruzione dello Spirito Santo», vincendo la tentazione del «nuovo pelagianesimo» che produce solamente «riforme puramente strutturali, organiche o burocratiche» (Lettera al Popolo di Dio che è in cammino in Germania, 29.06.19).

Nella medesima direzione Benedetto XVI, in vari interventi nell’ottobre di dieci anni fa, sempre ricordando l’inizio del Vaticano II, definì il Concilio come «evento dello Spirito», precisando che «la Chiesa non comincia con il “fare” nostro ma con il “fare” e il “parlare” di Dio. Così gli Apostoli non hanno detto, dopo alcune assemblee: adesso vogliamo creare una Chiesa; e con la forma di una costituente avrebbero elaborato una costituzione. No, hanno pregato e in preghiera hanno aspettato, perché solo Dio stesso può creare la sua Chiesa» (10.10.12). La Chiesa è un evento generato «dall’irruzione dello Spirito Santo», e, come lo stesso Concilio è stato un «evento dello Spirito», anche il percorso sinodale che stiamo vivendo porterà frutto nell’apertura alla modalità imprevista e imprevedibile in cui accade l’incontro con Gesù. La riforma cui siamo chiamati non è dunque affidata ad attivisti dell’organizzazione ecclesiastica o a strateghi delle «pianificazioni perfette», ma a uomini e donne commossi per l’incontro con «la presenza carnale e fisica di Cristo», che introduce «una nuova luce dentro gli spazi d’ombra abitati fino a quel momento», come ha detto un’amica in un’assemblea della mia comunità parrocchiale. Non una comunità di puri, ma di peccatori perdonati, i quali, come mendicanti tra altri mendicanti, condividono le domande e le ferite di tutti, senza avere altra risorsa se non l’attrattiva che ho riconosciuto in questi giorni nei volti certi e lieti di amici che vivono situazioni di grande dolore con una speranza altrimenti impensabile. Uomini e donne che vivono questa intensità generano luoghi e rapporti in cui l’umanità di chi cerca un senso per vivere può trovare una dimora nella quale essere abbracciata interamente. Solo così l’annuncio cristiano risulta credibile in un tempo in cui la cristianità non esiste più.

Per questo il percorso sinodale può aiutarci a comprendere che il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo è un’occasione per riscoprire l’autentica natura del cristianesimo. Don Luigi Giussani, di cui sabato prossimo sarà celebrato il centenario della nascita nell’Udienza con Papa Francesco alla quale parteciperanno tantissimi riminesi, lo espresse intervenendo al Sinodo sui laici: «L’uomo di oggi attende forse inconsapevolmente l’esperienza dell’incontro con persone per le quali il fatto di Cristo è realtà così presente che la vita loro è cambiata. È un impatto umano che può scuotere l’uomo di oggi: un avvenimento che sia eco dell’avvenimento iniziale, quando Gesù alzò gli occhi e disse: “Zaccheo, scendi subito, vengo a casa tua” (cfr. Lc 19,5)» (09.10.87). Innanzitutto noi, sacerdoti e laici, come tutti coloro che incontriamo, abbiamo bisogno di questo sguardo alla nostra umanità ferita e bisognosa, espresso nella parabola del Samaritano (Lc 10, 25-37) che Paolo VI, a conclusione del Vaticano II, indicò come «il paradigma della spiritualità del Concilio» (07.12.65). Lo mendichiamo, in giorni drammatici che ricordano “la crisi dei missili di Cuba” dell’ottobre di sessant’anni fa, implorando la pace con tutti i nostri fratelli e sorelle, uomini e donne del nostro tempo.

don Roberto Battaglia