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Operazione Fiamme Gialle

Vendita piramidale nel settore integratori. 13 indagati e 7,3 milioni sequestrati

di Andrea Polazzi   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
mar 10 mag 2022 09:06 ~ ultimo agg. 11 mag 12:29
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Un maxi sequestro preventivo da 7,3 milioni di euro è stato effettuato nell’ambito di una indagine del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Rimini su un sistema di vendita piramidale nell’ambito degli integratori alimentari. L’operazione è stata denominata “Cheope”. Gli accertamenti delle fiamme gialle sono stati svolti nei confronti della VI ITALIA Srl, società avente formalmente sede legale a Milano, operante nel settore delle vendite porta a porta, e facente parte all’epoca del gruppo nazionale Vi, al cui apice è posizionata la capogruppo statunitense ViSalus Inc..

A disporre il sequestro di attività finanziarie, beni immobili e beni mobili un decreto emesso dal gip del Tribunale di Rimini, Benedetta Vitolo. I 7,3 milioni corrispondono al profitto del reato commesso dai tredici soggetti indagati. Proprio i 13 sarebbero stati dediti alla promozione e realizzazione, sull’intero territorio nazionale, di una struttura di vendita, fondata sul network marketing, ma – in concreto – fondata sul mero reclutamento di nuovi soggetti e, pertanto, vietata dalla Legge 173/2005 in quanto conforme al sistema illegale delle “vendite piramidali”.

Quattro, secondo le indagini della Finanza, coordinate dal sostituto procuratore Luca Bertuzzi, i leader fondatori di Vi Italia. Al vertice un sammarinese di 39 anni, poi sotto di lui quelle che in gergo vengono definite le prime “tre gambe”: un romano (residente a San Marino) di 44 anni, un riccionese di 56 anni e un comasco di 52. Tra i 13 indagati colpiti dai sequestri figurano anche due riminesi di 24 e 51 anni.

L’attività, che si trova nella fase delle indagini preliminari, è stata diretta e coordinata dalla Procura di Rimini e ha permesso di individuare nel territorio riminese l’apice della rete di vendita della VI ITALIA, avente formalmente sede a Milano e operante nel settore delle vendite “porta a porta”, la quale commercializzava i prodotti del proprio gruppo multinazionale (integratori alimentari) in tutta Italia. I 13 soggetti coinvolti sono ritenuti le figure apicali della struttura di vendita piramidale. Nei loro confronti è stato quindi proposto il sequestro preventivo ai fini della confisca, del profitto illecito quantificato in oltre 7,3 milioni di euro. Degli indagati, tutti incensurati, due sono cittadini sammarinesi, uno romano, uno foggiano e gli altri romagnoli (Rimini, Pesaro, Cesena). Il GIP riminese ha avvallato la proposta della Procura e disposto il sequestro mediante l’aggressione patrimoniale di immobili e disponibilità finanziarie.

Le indagini hanno appurato che la società commercializzava nel territorio italiano i prodotti della capogruppo statunitense, acquistandoli – come predeterminato nella pianificazione fiscale per l’area EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa) – dalla sua diretta controllante olandese. Le vendite ai consumatori finali nazionali, visto il precedente acquisto intracomunitario, generavano un ingente debito IVA, mai versato nelle casse dell’Erario. Una condotta, ripetuta negli anni, in considerazione del superamento del limite oggettivo previsto dall’art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000, ha integrato almeno allo stato delle indagini, un quadro di gravità indiziaria del delitto di Omesso versamento di IVA nei confronti del rappresentante legale.
Dal 2015, nella provincia di Rimini si era instaurato il primo nucleo di incaricati alle vendite (promoter) dell’impresa. Nel riminese, infatti, i leader fondatori della rete di vendita hanno cominciato l’attività di affiliazione e reclutamento che li ha portati a gestire, nel complesso, una struttura piramidale composta da oltre 10.000 persone. Tra queste  figuravano sia persone in cerca di prima occupazione, e che hanno investito i propri risparmi per inseguire il sogno di scalare la gerarchia della struttura di vendite, sia persone che, illuse dal progetto, hanno addirittura abbandonato la precedente attività lavorativa; sono loro le reali parti offese del sodalizio criminale, spesso anche inconsapevolmente.
Il reclutamento avveniva sui social network, attraverso piattaforme digitali, ma principalmente nel corso di eventi in presenza e in grande stile presso strutture molto appariscenti e famose come palasport e aree meeting di grandi alberghi, ubicati nei principali capoluoghi e della capitale. Nel corso di tali incontri i vertici descrivevano il proprio successo e quello degli “ambassador”, soggetti che da zero e in poco tempo erano riusciti a scalare la struttura arrivandone all’apice, delineando e descrivendo le metodologie di ricerca di nuovi “adepti” e i risultati economici cui, di conseguenza, era possibile giungere.
Centrale per le indagini è stata la decodificazione del “piano incentivi”, che delineava tutte le varie tipologie di provvigioni riconosciute. L’approfondita analisi della documentazione acquisita e le informazioni raccolte hanno permesso scoprire le connotazioni, allo stato valutate illecite, sottese al complesso piano di incentivi con il quale venivano calcolate le provvigioni, che si sono dimostrate principalmente interconnesse all’attività di affiliazione di nuovi adepti, rispetto a quanto riconosciuto per la vendita di prodotti, che risultavano essere secondari o ininfluenti.
La pericolosità sociale della condotta è emersa anche con riguardo alla gestione che i promoter sponsorizzatori («enroller»), in qualità di uplink leader, avevano dei soggetti arruolati nella propria “down line”; in conseguenza di ciò i primi determinavano le fortune dei propri iniziati decidendone le sorti nella scalata nel ranking aziendale e, conseguentemente, determinandone quelle finanziarie.
La società non aveva strutture operative in Italia, il suo core business – ossia le vendite di prodotti – veniva realizzato esclusivamente dagli incaricati alle vendite che erano, nel contempo, essi stessi clienti.
La connotazione illecita della struttura di vendita promossa e realizzata dagli indagati fa sì che questi siano stati indagati per la contravvenzione in argomento. Conseguentemente, le provvigioni percepite sono state considerate dal GIP profitto del reato per il quale è stato emesso il provvedimento.
Le operazioni sono in corso con la collaborazione di altri 5 reparti del Corpo che stanno operando simultaneamente su parte del territorio nazionale.
La commercializzazione dei prodotti da parte della società indagata è stata anche oggetto di servizi giornalistici da parte di noti programmi televisivi trasmessi su network nazionali.

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