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Il lavoro in somministrazione e le criticità di genere. Una ricerca Nidil Cgil

repertorio

E’ stata presentata oggi alla sede della Cgil di Rimini la ricerca “Che genere di somministrazione”, che si propone di investigare le condizioni di lavoro e le forme di discriminazione presenti nel lavoro in somministrazione (quello che avviene tramite agenzia autorizzate) in una prospettiva di genere.

La ricerca è promossa da Nidil Cgil di Rimini, Ravenna e Reggio Emilia e le Consigliere di Parità di Rimini, Ravenna e Reggio Emilia ed è curata dall’Università di Urbino e Ires Emilia-Romagna. La ricerca si concluderà nei primi mesi del 2022, si articola su tre direttrici: l’analisi dei dati, un questionario e interviste a testimoni privilegiati per cogliere più in profondità le dinamiche discriminatorie. A presentare i primi dati sono state la consigliera di parità della Provincia di Rimini Adriana Ventura e la segretaria della Nidil Cgil di Rimini Alessandra Gori.


La sintesi delle prime evidenze emerse (a cura della Nidil Cgil)

A Rimini nel 2020 EBITEMP-INAIL stimano una media annuale di 1.456 lavoratori in somministrazione (di cui il 38,5% donne)
Nel 2020, il lavoro in somministrazione cala del -13,4% a Rimini (-13,7% per le sole donne)
La lettura per genere e nazionalità mostra tendenze diverse. A Rimini, l’occupazione straniera in somministrazione (-13,9%) scende nel 2020 in linea con il trend italiano (-13,3%) ma più trainato dalla caduta della componente maschile (-18,3% a fronte del -11,7% per gli italiani) che femminile (-6,8% a fronte del -15,8% per le italiane)
Un contratto di somministrazione solo raramente porta ad un contratto stabile e, nel caso, è più probabile che accada se il lavoratore è maschio. In media nel triennio 2018-2020, entro i 6 mesi successivi al termine di un contratto di somministrazione a Rimini il 76,2% avvia un altro contratto di lavoro, di cui 11,7% a tempo indeterminato (13,3% per gli uomini e 9,6% per le donne)
in media in Emilia-Romagna il 34,4% dei lavoratori in somministrazione nel pre-pandemia era part time con punte più alte per Rimini (49,5%)
Il lavoro part time è principalmente femminile: a Rimini il part time tra le donne in somministrazione raggiunge il 58,7% (a fronte del 43,2% maschile)
In fase pre-pandemia, l’analisi della struttura retributiva tra lavoro dipendente, complessivamente inteso, e lavoro in somministrazione rileva l’insistenza del gender wage gap anche nel lavoro in somministrazione e un divario retributivo sulla giornata retribuita tra lavoro dipendente e lavoro in somministrazione;
A Rimini la retribuzione media annua lorda di chi lavora in somministrazione è il 61,4% in meno della media lavoro dipendente e questo dipende soprattutto per un numero di giornate retribuite medie in meno, che è nella natura del lavoro in somministrazione (-55%) ma anche da una retribuzione lorda giornaliera più bassa del -13,8% che apre a delle riflessioni sul principio di parità di trattamento retributivo. Inoltre, a Rimini le donne in somministrazione, rispetto ai lavoratori maschi in somministrazione, lavorano il -20% delle giornate in meno, hanno una retribuzione lorda annua del -27,8% in meno e una retribuzione giornaliera del -9,1% in meno.

Insieme all’analisi dei dati amministrativi, il percorso di ricerca si arricchisce di una indagine condotta nei territori di Rimini, Ravenna e Reggio Emilia ai lavoratori e lavoratrici in somministrazione: degli oltre 400 accessi all’indagine il 51,4% è rappresentato dalla componente femminile. Alcune letture parziali ci consentono di affermare che:

Oltre il 60,8% degli uomini e il 63% delle donne lavora in somministrazione per impossibilità di trovare un lavoro alle dipendenze della impresa utilizzatrice. Mentre il 26% degli uomini e il 21% delle donne vede nel lavoro in somministrazione una opportunità di accesso al mercato del lavoro;
In chiave contrattuale si rileva come solo raramente ai lavoratori in somministrazione venga proposta la stabilizzazione e ancor più raramente alle le donne: al 22% degli uomini è stata proposta una assunzione a tempo indeterminato a fronte del 13% delle donne;
Nel colloquio con l’agenzia di somministrazione al 48% delle donne sono state poste domande sulla condizione familiare (matrimonio, figli, anziani..) e l’83% sulla disponibilità al lavoro (straordinari, flessibilità), in linea con la componente maschile. Sorprende invece come al 42% degli uomini siano state poste domande sulle prospettive di carriera mentre solamente al 23% delle donne, come se la carriera fosse prerogativa solo maschile;
il 29% delle donne e il 32% degli uomini del nostro campione afferma di essere stato vittima di discriminazioni, violenze, molestie o ricatto sul luogo di lavoro;
se si limita l’analisi a chi si percepisce vittima di discriminazione, notiamo come la percentuale di donne a cui nel colloquio conoscitivo con l’agenzia di lavoro vengono poste domande sulla condizione familiare cresca al 60%, mentre per gli uomini rimanga sostanzialmente invariata al 44%;
considerando le diverse dimensioni della qualità del lavoro, le lavoratrici in somministrazione (38%) risultano più insoddisfatte dei lavoratori in somministrazione (30%). Le regioni della più alta insoddisfazione vanno ricercate dove si rileva il maggior gap di genere ovvero nella mancanza di crescita professionale e la mancanza di programmabilità di vita futura: per entrambe le dimensioni, in una scala da 1 a 10, i maschi danno un voto basso (4,5) ma le donne un voto altamente insufficiente (3,5);
l’insoddisfazione, tuttavia, essendo legata alla percezione dipende anche dalla soggettività del singolo. A tal proposito si rileva nell’analisi della dimensione identitaria, come tra gli uomini la visione strumentale, ovvero chi guarda al lavoro solo in chiave economica e non come modalità di realizzazione della propria persona, sia più alta: 64% per gli uomini e 57% per le donne;