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Scuola o non scuola? Le voci di insegnanti, educatori, genitori e studenti

In foto: repertorio
repertorio
di Silvia Sanchini   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
ven 15 gen 2021 14:48 ~ ultimo agg. 25 gen 11:59
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Scuola o non scuola? È il ritornello incessante, la domanda che in questi mesi si pongono insegnanti, genitori, educatori e studenti e a cui è sempre più difficile dare risposta. In realtà la questione non è così semplice e non si esaurisce nel decidere semplicemente tra la didattica a distanza e quella in presenza. Le ultime notizie posticipano la riapertura delle scuole superiori al 25 gennaio. Ennesimo rinvio che ha spinto alcuni genitori e insegnanti a scendere in piazza Cavour con un simbolico flash mob: zaini vuoti appoggiati a terra, nella speranza di poter tornare presto sulle spalle di ragazzi e ragazze.

Racconta Diletta Bigozzi, insegnante di italiano e educazione civica all’Ente di formazione Ecipar di Rimini: “Io sto facendo video-lezioni da metà novembre con classi di 15-17enni. È dura per loro e per noi docenti. I ragazzi sono disillusi…mentre ad aprile e a maggio vivevano in una sorta di avventura collettiva, di ‘insieme ce la faremo’, di fatica sì, ma per un dopo migliore… ora è un chissà per quanto e un chissà come. Vivono loro (come noi) nell’incertezza, nelle contraddizioni”.

E aggiunge: “La cosa più difficile per me come docente è far trovare loro un senso comunque, e a prescindere, a quello che si fa. Ce la metto tutta a far sì che quelle due ore dietro uno schermo diventino un fatto, un farsi educativo… ma non vedo l’ora che potremo vederci nella stessa aula”.

Conclude l’insegnante: “A mio avviso farli incontrare a scuola vuol dire anche prevenire aggregazioni più a rischio. I ragazzi per loro natura come esseri umani, e per la tipicità dell’età hanno bisogno di stare insieme, quindi se togliamo loro ogni possibilità da quelle formali a quelle non formali e informali è come autorizzarli a vedersi e organizzarsi in modalità che vanno contro alle varie disposizioni…”.

Altrettante perplessità sono espresse anche da alcuni genitori. Francesca Tiberi, ad esempio, ha scritto una lettera aperta alle istituzioni preoccupata per il futuro dei suoi figli ma in generale di tutti i ragazzi: “Sappiamo tutti quanto è importante a questa età la relazione. È per loro nutrimento quotidiano, fondamentale per la crescita personale. La scuola è società. Ed invece ora si ritrovano, di nuovo, a fare solo didattica senza relazione. La scuola è il luogo dove le regole sono state sempre rispettate. I ragazzi, i professori e tutto il personale che vi lavora sono perfettamente consapevoli della criticità del periodo che stiamo vivendo. Quindi, perché ancora una volta l’emergenza sanitaria penalizza i giovani, la scuola ed il loro sacro diritto all’istruzione? Istruzione è stimolo alla conoscenza, curiosità, scambio, relazione, crescita personale. Tutto questo davanti ad uno schermo non c’è. Per favore, non lasciamo che lo sconforto di questo periodo buio rapisca i giovani. Diamo a loro una possibilità. Diamo a loro una mano ed accompagniamoli ad accrescere la consapevolezza che insieme, con rispetto, tutto si può superare”.

Stessa preoccupazione per Erica Lanzoni, psicologa della coop. sociale Il Millepiedi: “Non entro nel merito delle decisioni rispetto la salute di comunità, né voglio creare delle contrapposizioni inutili tra genitori e insegnanti, che stanno facendo un grandissimo lavoro. Mi chiedo però se sia l’unica strada quella di sacrificare completamente la socialità e il diritto a spostarsi fuori dalla propria camera (perché di questo si tratta nella realtà) dei nostri figli adolescenti. Per due interi anni scolastici costretti a passare le loro giornate dentro la loro stanza sperando poi che il clima a casa sia abbastanza sereno, perché altrimenti il disagio aumenta…Chi pensa alle conseguenze psicologiche e sociali? Non ci sono alternative? Qualcuno commenterà che durante la guerra si stava peggio… sicuramente è vero. Ma non è questo il punto”.

Per Elena Guerra, educatrice in un nido per l’infanzia, la questione è però molto più complessa: “Il Covid ha fatto venire a galla problemi atavici nella scuola. Pensare che bambini e ragazzi abbiano il diritto ad andare a scuola senza valutare il come si sta a scuola è superficiale e riduttivo. Se la scuola ha valore per la socializzazione, questa può essere garantita con il Covid? Seduti al banco, con le mascherine, senza contatti… questa non è relazione. La scuola non è solo un luogo fisico. Deve essere il luogo dell’apertura al mondo, della sensibilizzazione e del confronto, anche per riflettere sul tempo che stiamo vivendo. Oggi la scuola è in grado di fare questo?”.

Scrive, ancora, una mamma, Monica Paesani: “Sono mamma di due ragazze di 17 e 12 anni. Le ragazze vivono con difficoltà la situazione in cui ci troviamo soprattutto per il clima di tensione che inevitabilmente si è creato! Tuttavia ritengo che la situazione epidemica che stiamo vivendo richieda da parte dei ragazzi e soprattutto da parte di noi adulti responsabilità e senso civico, ci è chiesto un grande sacrificio per il bene della comunità, i professori e i dirigenti stanno facendo un enorme lavoro per responsabilizzare i ragazzi, per aiutarli a cogliere opportunità anche in una situazione difficile, ritengo non sia compito di noi genitori compromettere tutto questo protestando e lamentandoci , dobbiamo piuttosto supportare I ragazzi e aiutarli a non considerare quest’ultimo come un anno perso , ma un anno di cui fare tesoro. La didattica a distanza non è necessariamente un male”.

E conclude: “Tutti desideriamo si possa tornare a scuola in presenza nel minor tempo possibile, ma ci devono essere tutte le condizioni di sicurezza: dimezzando le classi, mettendo in campo un serio ed efficace tracciamento quotidiano di eventuali positività e se possibile chiedendo per il corpo docente l’accesso prioritario alla vaccinazione!”.

E i ragazzi e le ragazze, in tutto questo, cosa pensano? Ha raccolto alcune loro testimonianze la prof.ssa Chiara Cito, insegnante di italiano presso la Fondazione Enaip S. Zavatta.

“La nostra situazione scolastica è cambiata da un giorno all’altro in modo particolare, come non era mai successo prima” – scrive uno di questi ragazzi. “Io mi ritengo fortunato perché i nostri professori si sono messi tutti a nostra disposizione, in altre scuole non è andata così. A casa faccio più fatica a rimanere concentrato rispetto che a scuola, ma è una cosa gestibile e che si può risolvere. Io sono contento di poter comunque continuare a fare scuola”.

Aggiunge una studentessa: “Fare scuola in questo modo è molto complicato e non tutti hanno le stesse opportunità, anche nella pratica. Dobbiamo cercare di adattarci come possiamo, ma non è la stessa cosa. Per questo io continuo a preferire la scuola in presenza”.

Con semplicità i ragazzi e le ragazze sembrano esprimere i pensieri di tanti di noi: “Siamo costretti a stare in casa, a non vedere gli amici, a non andare a scuola o a fare una passeggiata…Non pensavo che un giorno queste cose mi sarebbero state negate. E così ho imparato che le cose che mi sembravano banali e scontate invece non lo sono e do loro più valore. Spero che presto tutto torni come prima”.

È la speranza di tutti, in fondo. Ma nel frattempo noi adulti non possiamo dimenticarci della nostra responsabilità di educatori e genitori. Prendiamoci cura di bambini e ragazzi con ancora più attenzione.