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Il luogo della speranza

Prima campanella per una maestra in pensione: la scuola riprende per tutti

In foto: uno scuolabus
uno scuolabus
di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
lun 14 set 2020 08:22 ~ ultimo agg. 15 set 10:02
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Per 42 anni Maria Letizia Lazzari ha fatto l’insegnante nelle scuole riminesi, quest’anno la ripartenza la vive da pensionata, ma nel cuore ha una nuova emozione e una riflessione profonda sul valore della scuola che ha condiviso con noi:

La scuola – scrive – non riprende solo per chi ci va, la scuola riprende per tutti, per noi. La scuola è il luogo in cui viene trasmessa la speranza, perché viene trasmesso il motivo per cui val la pena vivere, per cui è bello alzarsi la mattina e stupirsi del sole che sorge, o del sorriso di un bambino o della zucca enorme cresciuta nell’orto di famiglia“.

la sua lettera

Oggi è un giorno speciale. Si riparte con la scuola. Con la scuola dei piccoli, quella che li accudisce e raccogliendoli dal caldo abbraccio della mamma e del papà li accompagna alla scoperta di sé e del mondo delle cose. Si riparte anche con la scuola che una volta si chiamava elementare e ora primaria, quella scuola in cui, diventati più grandi, si imparava a “leggere, scrivere e far di conto” stupendosi di quante cose da conoscere ci sono nel mondo. Riparte anche la scuola “dei grandi”, il primo grado e il secondo, in cui attraversando la fase più “agitata” della vita può accadere, complice l’incontro con qualche professore “maestro”, di incontrarne il senso in un verso di Dante o in un teorema di matematica e di innamorarsene per sempre.

Oggi è veramente un giorno speciale. Dopo averlo vissuto per 16 anni come alunna e per 42 come insegnante, ora mi ritrovo a viverlo da pensionata. Vedo le colleghe che da mesi cercano di inventarsi un modo entusiasmante di riprendere il lavoro con gli alunni, tra mascherine e misurazioni della temperatura. Vedo i bambini e i ragazzi, entusiasti di riprendere, vedo i genitori timorosi e preoccupati di quel che potrà essere questo anno scolastico. E’ vero: i genitori che vedo sono vicini di casa, parenti, amici, non più i genitori dei miei alunni, delle mie classi, così come le colleghe non sono più appena quelle del mio plesso, ma sono amiche con cui la compagnia, se pur nata in ambito scolastico, non si è fermata lì.

Ecco, questa situazione è un po’ paradossale, ma quest’anno io sono emozionata per questa ripresa come se fossi direttamente coinvolta perché ne percepisco, oggi più di altri anni, la vera natura. La scuola non riprende solo per chi ci va, la scuola riprende per tutti, per noi. La scuola è il luogo in cui viene trasmessa la speranza, perché viene trasmesso il motivo per cui val la pena vivere, per cui è bello alzarsi la mattina e stupirsi del sole che sorge, o del sorriso di un bambino o della zucca enorme cresciuta nell’orto di famiglia.

Mai come quest’anno abbiamo sperimentato tutti che la realtà, anche se può sembrare nemica, non tradisce mai perché costringe sempre, se accolta, a stare di fronte ai desideri grandi del cuore e perciò ad essere uomini veri.

Mai come quest’anno la scuola è educazione cioè introduzione alla realtà, a tutta la realtà. E per questo serve e servirà sempre qualcuno che ci insegni, per dirla con Dante, “come l’uom s’etterna”, perché ci fa fare esperienza nelle lettere e nei numeri, nel filo d’erba osservato o nell’opera d’arte, che “tutte le cose portano scritto ‘ più in là’, direbbe ancora Montale. Che la vita non è consegnata al nulla e alla paura, perché è un’avventura durissima, ma esaltante, di scoperta di sé attraverso la scoperta della realtà. Questa è la scuola di cui bambini, genitori, insegnanti hanno sentito la mancanza in questi mesi. Perché questa è la scuola dell’umano. E questa scuola non termina con la fine delle lezioni. E neanche con la pensione. Perché è la scuola in cui si impara a diventare figli di qualcuno, perché solo accogliendo il dono della vita che continuamente ci viene dato si può diventare grandi. La scuola in cui si impara a nascere di nuovo, come propose Gesù a Nicodemo, in cui si impara a vedere tutto in modo nuovo, grato, dopo averlo dato per scontato tante volte (e più si è in là con gli anni più il conto della scontatezza è lungo…)

Così oggi anch’io mi alzerò presto come se dovessi andare a scuola, e penserò a chi starà varcando quella soglia con timore, con speranza, saluterò dal balcone il figlio del vicino che va in prima classe, chiamerò le colleghe per sapere com’è andata, offrirò ogni possibile aiuto a mamme e insegnanti amiche per alleggerire un po’ il peso delle restrizioni che sembrano a volte fare a botte con il desiderio di comunicare e di imparare, perché quello che accade non è solo affar loro, è affar mio, perché la scuola è lo specchio della speranza che tutti abbiamo da trasmettere.

‘Per educare un figlio ci vuole un villaggio”, ci disse nel 2014 Papa Francesco in una memorabile giornata della scuola. Noi adulti, tutti, siamo questo villaggio in cui la proposta di un maestro può essere percepita credibile e interessante. Perché voglio sentire tanti bambini e ragazzi tornare da scuola come il mio nipotino milanese di 4 anni e dire: “Oggi è il giorno più bello della mia vita!”

Io in questo villaggio ci sono e con me tanti. Buon inizio a tutti!