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generazioni a confronto

Il voto raccontato da un giovane segretario di seggio

In foto: repertorio
repertorio
di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
mar 22 set 2020 16:39 ~ ultimo agg. 16:43
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Giovanni Antonini ha 21 anni, è un giovane universitario riminese, studia Economia Mercati e Istituzioni a Bologna, e nel fine settimana, per la prima volta, è stato segretario di un seggio per il referendum. Un’occasione di incontro e relazioni che non lo ha lasciato indifferente e che ha provato a raccontare in una riflessione, scritta sbrigata l’ultima incombenza burocratica. A colpirlo soprattutto sono state le persone anziane, con il loro carico di storia e un grande senso del valore del voto, ma anche i giovani alla prima volta in una cabina elettorale.

La riflessione

Passo claudicante quasi per niente stabile, un volto rugoso, due occhi fieri di aver ancora una volta potuto partecipare. È stato un incontro casuale, ma unico. Una signora che superava l’ottantina che nonostante l’età ha scelto di adempiere le sue funzioni di cittadina. Stavo rientrando nel seggio dopo una corsa a casa per pranzare e lei stava uscendo dalle scuole dove aveva appena votato. Mi sono commosso per la sua presenza. Mi ha testimoniato cosa significa aderire allo Stato, interessarsi al Bene Comune.
Di incontri in questi due giorni da segretario del seggio ne ho fatti numerosi, e ciascuno mi ha donato qualcosa. Lunedi mattina una signora entrata nell’aula con camminata sicura e abbastanza agile, si è fermata al banco del registro maschile (quello più vicino alla porta d’ingresso). Le chiedo gentilmente di avvicinarsi alla mia postazione, quella del registro femminile: lei mi guarda, mi riguarda e non comprende. Capisco che ha dei problemi di udito e quindi mi alzo, la richiamo con l’aggiunta di un cenno di mano e questa volta comprende e si avvicina e come prima cosa mi chiede scusa. Ho impresse bene nella memoria quelle parole di scusa, parole che personalmente uso assai di rado. Ho imparato da questa nonna, la semplicità di un gesto molto comune, ma molto poco usato. Aveva 87 anni e mi ha insegnato tanto con una sola parola.
Un altro incontro speciale è avvenuto con un signore, ottantenne pure lui, che si è inalberato perché non voleva igienizzarsi. Dopo le prime tre urla, vediamo comparire nel corridoio i due finanzieri pronti ad entrare in azione. Con calma chiedo all’anziano signore se potessi io spingere il pulsante del gel sulle sue mani, cosicché lui non toccasse nulla. Mi risponde: “Così va bene!”. Le lamentele non sono finite in quel momento, ma alla fine, è andato tutto bene. Anche da questo incontro ho compreso una cosa: non è tanto la lamentela da sedare, ma la solitudine. Molti anziani si sentono soli e quando hanno un’occasione cercano di parlare raccontando a loro modo chi sono, non per lamentarsi, ma per avere qualcuno con cui parlare. Non serviva creare un caso, serviva solamente cercare una soluzione che potesse andar bene al signore e che potesse farlo sentire sicuro. Anche qui ho imparato che non è l’uomo da fermare, ma la solitudine dell’uomo.
Infine ho incontrato un ragazzo, nato nel 2001, alla sua prima votazione. Entrato, dopo il riconoscimento e l’accertamento della possibilità di voto, gli consegno la scheda elettorale e la matita. Senza pensarci su prende in mano la matita e si appoggia sul banco davanti a me per votare. Io e la presidentessa del seggio immediatamente lo fermiamo e gli diciamo di andare dentro la cabina a votare. Lui tutto emozionato si dirige dentro la cabina, mentre a me e alla presidentessa scappa un sorriso. Anche qui ho imparato la bellezza della prima volta. L’innocenza di un ragazzo che non sapeva come comportarsi, ma comunque era venuto li a votare pronto a rappresentare con la matita le sue idee. Questo incontro è stato simpatico e allo stesso tempo mi ha donato speranza. Un ragazzo pur senza conoscere tutte le procedure, era lì davanti a me volenteroso di essere parte della comunità italiana. Un ragazzo non impaurito dalle procedure che non conosceva, ma coraggioso e gioioso di partecipare da cittadino alla vita della politica italiana. Alla fine in questi giorni penso di aver apprezzato la macchina burocratica come mai prima mi fosse capitato. Non tanto le mille pagine che ho compilato e firmato o tutte le procedure da fare durante lo scrutinio, neppure la sveglia alle 6.10. Ma ho imparato ad apprezzare i volti delle persone che ho incontrato, volti fatti di paure, alle volte di solitudine, altri pieni di gioia, altri ancora erano volti sicuri, consapevoli dell’altezza morale del gesto che stavano compiendo, altri invece erano volti agitati, altri ancora ingenui, altri soddisfatti.
Ho imparato la bellezza delle votazioni: non tanto il risultato, ma la volontà di esprimere un proprio pensiero. Il desiderio di essere cittadini, il desiderio di essere ancora una volta pronti ad aiutare lo stato che ci chiede conto dei nostri pensieri e delle nostre riflessioni.
Ho imparato la gioia di incontrare volti non noti ricercando sempre occhi che potessero donarmi una sensazione, un’emozione, un brivido. Con le mascherine la relazione è più complicata perché mancano i sorrisi e non si vedono le varie espressioni. Con le mascherine credo però che la relazione sia diventata ancora più intima, entrando in contatto non più con le espressioni facciali, ma direttamente con gli occhi. E guardare una persona negli occhi significa guardarla dentro.
Ecco la meraviglia delle votazioni: una comunità variopinta, fatta di tanti occhi diversi, ciascuno pronto a donarci se stesso.
Serve solo l’arte di ascoltare, di osservare e carpire.