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Riflessioni a caldo

Ufficialmente guarito!

In foto: coronavirus
coronavirus
di Andrea Turchini   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
ven 17 apr 2020 09:39 ~ ultimo agg. 16 mar 11:02
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Oggi (16 aprile 2020) è arrivato l’atteso responso: il secondo tampone, effettuato ieri mattina, è negativo. Sono guarito ufficialmente!
La notizia mi è arrivata durante un incontro in video conferenza con una cinquantina di preti della diocesi: abbiamo subito festeggiato insieme, ricordando tutti coloro che ancora sono in situazione di malattia, qualcuno anche molto grave.
La cosa più bella che ho già vissuto è stata pranzare con gli altri preti, dopo più di quaranta giorni che consumavo i miei pasti da solo in camera, in isolamento.

E’ stato un tempo impegnativo, di cui ho già scritto, ma anche un tempo prezioso.
Il Signore ha avuto misericordia di me e non mi ha fatto soffrire troppo – come è capitato ad altri vicini a me -, ma ha voluto accompagnarmi in questo itinerario che ha coinciso con la quaresima e i primi giorni dell’ottava di Pasqua.

Devo dire molti grazie:
– a Dio, prima di tutto, perché non mi ha mai fatto mancare la sua presenza e mi ha concesso di ritornare al punto fermo quando, per qualche motivo, sembrava prevalere lo scoraggiamento (davvero il Signore è una roccia, come dicono i Salmi);
– ai preti di Santarcangelo perché hanno avuto fraternamente cura di me e non mi hanno fatto mancare l’affetto e tutto il necessario in questo lungo periodo di malattia e di isolamento; la fraternità che ci lega nei sacramenti del battesimo e dell’ordine è diventata molto concreta e si è fatta cura e preoccupazione (in senso positivo) nei miei confronti;
– al Vescovo e ai preti della Diocesi, per la loro presenza amica fin dai primi passaggi della mia diagnosi e poi nel tempo della cura; grazie al Vescovo per il tempo ampio che mi ha dedicato, con chiacchierate serene, che mi rendevano partecipe della vita della Diocesi;
– alla mia dottoressa, Barbara Dipietrantonio, presenza fedele ed efficace, che ha tenuto in mano la vicenda della mia malattia, venendo a fino a Santarcangelo per visitarmi e accompagnandomi passo passo fino ad oggi;
– ai medici e al personale dell’ospedale e dell’ufficio d’igiene pubblica per la loro gentilezza e la loro disponibilità; non avevo esperienza di contatti con queste realtà di cura. E’ stata una gradita e consolante sorpresa;
– alle persone della Parrocchia, dagli operatori pastorali, alle famiglie e ai bambini, che mi hanno riempito di messaggi molto affettuosi e inviato disegni molto belli;
– ai tanti amici e alle tante amiche che si sono resi presenti in modo fedele, comunicandomi affetto e vicinanza, preoccupandosi dell’evoluzione della mia vicenda;
– ultima, ma non ultima, alla mia famiglia (genitori, fratelli, sorelle e nipoti), che mi ha accompagnato e, anche questa volta, mi ha fatto sentire un legame che è molto più forte del sangue che condividiamo.

Insomma grazie a tutti!

Cosa ho imparato in questo tempo?
Forse è un po’ presto per dirlo perché, come accade al vino, occorre attendere un po’ di tempo perché maturi, ma come accade nella vendemmia, mentre si attende che la fermentazione compia il suo ciclo, si gustano immediatamente alcuni frutti del raccolto. Provo anche io a fare così.

Ho imparato la pazienza.
Il tempo lungo che ho vissuto in isolamento ha richiesto molta pazienza, perché quasi nulla corrispondeva ai miei tempi; mi tornava spesso in mente quel testo di Isaia che dice “Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza” (Is 30,15). Ho imparato un po’ di più la pazienza accettando che altri decidessero e sapessero cosa si poteva o non si poteva fare; nell’accettare che il mondo non girava intorno a me, e che ero uno di tanti che dovevano essere accuditi secondo  ordini di priorità che altri decidevano; nell’accettare i tempi di una malattia che non ha protocolli e rispetto alla quale i medici cercano di fare il loro meglio.

Ho imparato l’umiltà.
Dell’aver bisogno di essere accudito. Dell’essere fragile e in balia di una malattia che si sviluppa in modo inaspettato. Del dovermi fermare, perché in alcuni giorni le mie forze erano esaurite. Del dover vedere altri che si spendevano generosamente, mentre io ero bloccato in camera.

Ho imparato la fede.
Guidato dai testi della Scrittura del tempo di quaresima, ho sentito che il Signore accompagnava questo cammino di deserto ed era una presenza feconda. Se ne sono accorti anche gli amici e le amiche che seguono i miei blog, che in questo periodo sono stati molto prolifici. Sentivo che quella Parola mi guidava a riconoscere scenari sempre nuovi, dentro i quali anche io dovevo lasciarmi condurre.

Ho imparato ad essere prete in modo diverso.
Questo tempo, nonostante l’isolamento, non è stato il tempo dell’inazione. Ho cercato di esserci per le persone prendendo l’iniziativa, ho cercato di essere disponibile all’ascolto, ho cercato di portare la Parola, ho pregato per le persone che mi venivano affidate, ho celebrato la Liturgia delle ore con sempre maggior consapevolezza, ho celebrato l’Eucaristia con gratitudine, … tutto quello che mi era possibile fare, ho cercato di farlo, anche se era molto diverso da quanto ero abituato a fare.

Ho imparato la fraternità.
Quella che si è manifestata nei gesti che ho ricevuto e quella che ho cercato di alimentare nell’attenzione verso gli altri preti della mia Diocesi. Ma è più quello che ho ricevuto di quello che ho dato. Ho provato ad essere parte attiva, portando l’urgenza di una riflessione, proponendo occasioni di scambio… Ho imparato che la fraternità dipende da noi e da quanto ci mettiamo in gioco per viverla.

Ho imparato la gratitudine per le piccole cose.
Per il sole che entrava dalla finestra al mattino presto quando iniziavo a pregare. Per le neve in qualche giorno a marzo. Per le voci della gente che, passando sotto la mia finestra, si salutava mentre andava a fare la spesa. Per il silenzio surreale di Santarcangelo che mi ha dato pace e tranquillità. Per le telefonate delle persone e per i tantissimi messaggi ricevuti. Per internet, che mi ha permesso di continuare a lavorare e rimanere in contatto. Per la Chiesa, madre e maestra che nella figura del Papa e del Vescovo ha accompagnato e sostenuto il mio deserto. Per la Scrittura, parola sempre nuova che arde nel cuore. Per i pasti preparati per me da qualcuno che si era preso cura. Per la possibilità di riposare la notte …

Ora anche per me la sfida è di non disperdere i doni ricevuti.
Questo tempo rallentato che continua insieme a tutti, mi aiuterà a vivere un rientro graduale e a comprendere meglio le priorità che richiedono attenzione. So che molti mi aiuteranno. So che ci sono alcuni che potrò aiutare.

dal blog Tecnodon