Affida alla sua pagina facebook la fatica delle ultime settimane, ma anche l’orgoglio di sentirsi parte di un gruppo di lavoro competente e coeso. Fabrizio Mazzeo è un giovane medico in servizio al Pronto Soccorso di Riccione e racconta la sua giornata dentro “quelle divise da omino Michelin” in quel luogo diventato sempre più un campo di battaglia. Dedica quanto scritto a tutto il personale sanitario dell’ospedale Ceccarini.

Ore 7.30 scendo di casa, la strada è deserta. I negozi sono chiusi. I bar anche. Non passa un cane… Arrivo in ospedale, posteggio. Parcheggio vuoto. Almeno cento passi ed eccomi davanti all’ingresso dell’ospedale. Comincia il mio turno. Consepevole che mi aspetterò di trovare un campo di battaglia.

Ci sono, sono pronto, io con il mio zainetto. Entro nel corridoio del pronto soccorso e davanti ai miei occhi si presenta una scena surreale, che neanche fossimo in un film di fantascienza. Colleghi, infermieri e oss che fino a qualche settimana fa riconoscevi e ti salutavano con il “buongiorno doc”, adesso appaiono irriconoscibili dentro quelle divise da omino Michelin.

È un via vai di persone nei corridoi. Telefoni che squillano in continuazione. Familiari dei pazienti ricoverati che chiedono informazioni sui loro cari. Li rincuoro. Mi rammarico che non possono vederli. Forse moriranno, forse guariranno. Chi lo sa.

La caposala che non si ferma un attimo. Il nostro primario ci dà le direttive per affrontare un altro giorno di guerra. Gli infermieri e gli Oss corrono da una parte all’altra. Ci diamo forza l’uno con l’altro. Non esistono differenze tra noi, siamo tutti dentro quella divisa omino Michelin.

Entro in ambulatorio. Arrivano pazienti in continuazione. La prima, codice rosso. Donna, 70 anni. Temperatura che scende e che sale, prima vigile e poi in stato confusionale. Il cuore che pulsa, novanta, cento e di più al minuto. Ossigeno e respira, forse non respira, respira male. Aumento l’ossigeno. Pupille dilatate, è spaventata, mi chiede se sopravviverà. Pianti e sorrisi. Parole e silenzi. Dopo poco il quadro peggiora. Chiamiamo il rianimatore. Verrà intubata.

Arrivano altri pazienti. Ognuno con la sua storia. Ognuno con le sue paure. I telefoni continuano a squillare. I corridoi sono ancora pieni. La caposala è ancora lì, il primario pure.

Arriva la fine del turno. Lascio, come in una staffetta, le consegne al mio cambio, sempre vestito da omino Michelin. Entro nello spogliatoio. Abbiamo finito il turno. Ci aiutiamo nella svestizione. Ci guardiamo negli occhi, i visi sono stanchi, provati e segnati dal solco della mascherina. Un sorriso e un… “andrà tutto bene!”.

Indosso la giacca, fuori non c’è tanto freddo o forse non lo sento. Le spalle sono pesanti e rigide. Gli occhi ben aperti. L’adrenalina ancora a mille. Altri cento passi fuori fino alla macchina. Percorro la strada verso casa, i bar sono chiusi, i negozi sono chiusi, non passa un cane. Ripenso alla giornata appena trascorsa.

Apro la porta di casa. Mi preparo la cena. Mi faccio compagnia con la chitarra. Mi metto a letto consapevole che il nostro sia il lavoro più bello del mondo. Domani sarà un altro giorno. E io non vedo l’ora che arrivi… perché sarò di nuovo dentro quella divisa da omino Michelin.