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La storia di Ilir

Andrà tutto bene, con il disegno delle bandiere albanese e italiana

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 5 minuti
mar 31 mar 2020 10:08 ~ ultimo agg. 3 apr 12:06
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“Andrà tutto bene”, è la scritta fatta dai piccoli Davide e Diego, disegnata insieme a due bandiere: quella  albanese e quella  italiana, il paese delle loro origini e quello in cui sono nati. Un semplice foglio colorato contenente lo stesso messaggio di speranza, che in questi giorni sta facendo il giro del mondo, e che i due piccoli studenti, hanno chiesto a papà Ilir di attaccare sul camion della raccolta differenziata che lui guida ogni giorno, anche in questo pesante momento d’emergenza sanitaria.

E’ una delle tante storie che si vive in cooperativa, anche in questi difficili giorni, un racconto di speranza che un operaio specializzato nel settore dell’igiene ambientale,  ha voluto condividere, portando con fierezza il disegno dei suoi bambini in giro per le vie di Rimini. Ilir conosce bene il significato della parola ‘speranza’, perché è la parola che, in un certo senso, lo ha accompagnato per tutta la vita. Il motore del suo grande coraggio.

Quella stessa speranza che una notte di 25 anni fa lo ha mantenuto a galla nelle acque fredde e buie del mare Adriatico. Aveva 16 anni, quando venne scaraventato giù da un gommone, nel mare aperto, a quasi 40 metri dalla costa, insieme ad altre 30 persone. Il drammatico epilogo di un viaggio fatto di onde, paura e speranza, durato tutta una notte; partito dalle coste albanesi e finito drasticamente in mare, a largo della costa brindisina. L’opera criminale di trafficanti d’uomini senza scrupoli, in fuga dalle motovedette della Guardia Costiera.

Ilir ricorda con chiarezza quel viaggio, “Un’esperienza che nessuno dovrebbe mai fare nella vita, tantomeno se hai sedici anni e sei solo. Quella notte ho pensato di morire, ma dopo aver nuotato ed essermi portato in salvo sulla terra ferma, ho provato a rialzarmi e andare avanti. Non avevo niente e non conoscevo nessuno, mi sono diretto in una stazione ferroviaria e sono arrivato a Rimini, che è la prima ed unica città italiana in cui ho vissuto. Ho cercato di ricostruirmi una vita ripartendo da quei 16 anni e pensando alla mia terra, a cui ero legatissimo ma da cui ero scappato perché non c’era niente su cui costruire un futuro”.

Sono ricordi che lo hanno segnato per sempre, momenti drammatici della sua giovinezza che adesso lo fanno sorridere quando sente i ragazzi che parlano di ‘sacrifici’. Non è stato facile neanche in Italia. Per più di un anno Ilir vive di stenti, dormendo dove capita e vivendo con le mance degli automobilisti, a cui fa assistenza nelle manovre di parcheggio; un ‘mestiere’ che gli consente di sopravvivere per oltre un anno nel  parcheggio adiacente all’Arco d’Augusto, prima dei lavori di riqualificazione.

Momenti difficili, in cui però conosce anche tantissime persone accoglienti , capaci di farlo sentire a casa e aiutarlo, una rete di solidarietà, grazia alla quale riesce a superare la dura prova che stava vivendo. Non perde mai di vista il suo unico obiettivo: la speranza di un lavoro regolare, per questo è necessario sistemarsi con tutti i documenti, come prevede la legge. “Come tutti i ragazzi di quell’età, pensavo alla patente di guida, che mi avrebbe aiutato anche a trovare un lavoro vero. Ero disposto a fare qualsiasi sacrificio pur di lavorare e rimanere nella legalità”.

Una determinazione ed un’integrità, che, nonostante la prova d’estrema povertà, consentono al giovane albanese di riuscire a mantenersi vivo e onesto, fino al giorno in cui, avendo i documenti in regola, un amico lo chiama per un lavoro in un vivaio. E’ il momento del riscatto. Coglie al volo quest’opportunità e si fa assumere, mostrando tutta la sua serietà. Il lavoro gli consente di dedicarsi anche alla patente “B” e più tardi, all’età di 21 anni, riesce anche a prendere la patente “C”. Abilitazioni alla guida che lo fanno crescere anche dal punto di vista professionalmente, divenendo in pochi anni, un perno centrale di quell’azienda, con funzioni, oltre che di vivaista, anche di autista di camion con gru e mezzi scavatori.

“Grazie a quel lavoro, e alla generosità di tanti riminesi che ho incontrato, sono riuscito ad avere una seconda possibilità ed una prospettiva di vita, riscattandomi dei sacrifici fatti fino a quel momento. Con il lavoro tutto ha iniziato a girare bene e le cose sono sempre andate meglio. Mi sono trovato a realizzare dei sogni che mai avrei immaginato: mantenere un lavoro per oltre 15 anni, avere una casa,  vedere nascere  i miei figli proprio qui a Rimini, la città dove in un certo senso anch’io sono rinato. La città che ho imparato ad amare, tanto da  riconoscere  l’Italia come una seconda patria, dove ho imparato persino a parlare il dialetto romagnolo”. Un legame forte,  confermato anche dai dati messi a disposizione dall’anagrafe comunale sul 2019, da cui si vede come quella albanese sia la seconda comunità per numero di residenti nel territorio comunale. Sono infatti 3229 i cittadini albanesi residenti che, come Ilir,  lavorano e contribuiscono a far crescere la cultura, l’economia e la ricchezza di una società multietnica come quella riminese.

Sembra filare tutto bene ma, dopo quasi 20 anni in Italia, decide di licenziarsi per tornare in Albania, dove sua madre anziana è rimasta sola e ha bisogno d’assistenza. Si trasferisce con tutta la famiglia, cercando di ricominciare nel suo paese d’origine. Ma la periferia di Tirana non offre le opportunità che Ilir si aspettava, né per sé e neanche per i suoi figli e dopo un po, deve fare i conti anche con una cosa che non immaginava:  la mancanza della  romagna, che in breve tempo diventa insopportabile. E così dopo la morte della mamma, decide di ritornare a Rimini, assecondando il desiderio di quel legame adottivo che lo unisce alla città romagnola.

Con le sue competenze da autista, non fa molta fatica a trovare subito un nuovo lavoro nel settore dell’igiene ambientale, in una cooperativa sociale. Un lavoro che lo tiene impegnato molto, ma che egli svolge con grande fierezza perché gli consente di tenere pulita la città che lo ha accolto. La città a cui adesso, anche i suoi figli, con il cuore diviso fra il tricolore e l’aquila a due teste,  restituiscono con un disegno, quella stessa speranza con cui lui è sempre riuscito ad andare avanti.

Emiliano Violante

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