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La suora nana era vera. "Il Ponte" continua a raccontare l'infanzia del Maestro

In foto: Federico Fellini
Federico Fellini
di Lucia Renati   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
gio 16 gen 2020 11:57 ~ ultimo agg. 13:20
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Una ricerca ha appurato l’esatto percorso scolastico. L’indagine dello studioso Davide Bagnaresi e altri inediti sull’infanzia e la giovinezza saranno ampliati nel convegno “Fellini e il sacro”. A darne notizia è il settimanale riminese ilPonte: nel numero 3, in edicola da giovedì 16 gennaio 2020, il periodico propone la lunga, accurata ricerca operata da uno studioso riminese, il prof. Davide Bagnaresi.

L’asilo delle suore ‘cappellone’, ammirate anche nella sfilata ecclesiastica di ‘Roma’ non era una fantasia di Federico Fellini. E pure la suora ‘nana’ di ‘Amarcord’ non era un personaggio inventato. A ‘scavare’ nel passato del regista romagnolo, di cui ricorre quest’anno il centenario dalla nascita, è il settimanale riminese ‘il Ponte’ che propone una ricerca di Davide Bagnaresi, docente all’Università di Bologna che da tempo si occupa del Fellini bambino e ragazzo.
Dalle ricerche condotte dallo studioso è emerso come esistesse veramente un asilo gestito dalle suore ‘cappellone’, le Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli, sito a due passi dalla casa della famiglia Fellini. E reale era anche la suora nana di ‘Amarcord’.”Suor Pia, mi pare si chiamasse, era una religiosa molto bassa ed esile – racconta il parroco don Fausto Lanfranchi – non aveva le fattezze da nana ma era decisamente di bassa statura. Operava come infermiera e indossava il tipico cappellone delle suore della San Vincenzo”. (ansa)

L’asilo delle suore “cappellone” non era una fantasia del genio artistico di FF. E anche la suora “nana” non era appena un personaggio inventato per Amarcord.
Le famose suore “cappellone” e le prime scuole frequentate da Federico Fellini: ecco tutta la verità, comprovata da documenti. L’asilo in questione era l’Istituto San Giuseppe, sito in via Bonsi. Lo gestivano le suore di San Vincenzo de’ Paoli, le suore della carità che indossavano i famosi copricapi con le due enormi falde, ammirati nella grande sfilata ecclesiastica del film Roma.

Classe 1977, assegnista di ricerca e docente a contratto in Storia dei consumi e delle imprese turistiche all’Università di Bologna, autore di alcuni saggi e libri di storia del territorio, Bagnaresi si occupa da tempo del Fellini bambino e ragazzo, del quale pubblicherà a breve un saggio, e lo farà in maniera approfondita in occasione del convegno “Ho bisogno di credere. Fellini e il sacro”, organizzato insieme all’Università Pontificia Salesiana, tra Rimini e Roma nel marzo 2020 (il 7 marzo a Rimini, il 21 marzo a Roma).

Sulla frequentazione delle scuole del grande regista esistono diverse versioni, tutte più o meno romanzate, basate su notizie sommarie o su frasi riportate. Conoscendo il legame che Fellini avrà per tutta la vita con le sue radici, l’infanzia e Rimini, Bagnaresi ha iniziato la sua indagine sul giovane Federico. A partire dalla sua abitazione. Da qui lo scoop che ha prodotto nel novembre scorso, quando ha individuato – documenti alla mano – la casa natia di FF, non quella che tutti finora avevano indicato, bensì sempre a Rimini, sempre in viale Dardanelli ma uno stabile diverso, corrispondente al civico n. 60. Ora lo studio di Bagnaresi, pubblicato dal settimanale ilPonte ha preso in esame il Fellini a scuola. Da qui la scoperta che esisteva veramente un asilo delle suore “cappellone”, la cui proprietà era del Pio Istituto San Giuseppe, sito in via Bonsi, a due passi dalla casa della famiglia Fellini in Palazzo Ripa (“la prima casa che ricordo veramente” dirà Federico). Le suore “cappellone” gestivano quell’asilo, al n. 11 di via Bonsi. E secondo la madre nello stesso istituto Federico frequentò anche i primi due anni di scuola elementare, prima di trasferirsi alle “Tonini”, e non alle “Teatini”, dove invece ha studiato il fratello Riccardo (come attestano alcune fotografie, tra l’altro).

Le suore “cappellone”, oltre alla sfilata ecclesiastica romana, compaiono in cameo anche ne Lo sceicco bianco, Le notti di Cabiria, La Dolce Vita, I clown, per non parlare della suora nana di Amarcord. È la figura che – unica – riesce a convincere lo zio matto di Titta a scendere dall’albero dopo aver urlato a pieni polmoni la famosissima: “Voglio una donna”.
Proprio la suora nana, anch’essa relegata nella sfera delle “verosimiglianze” fellliniane, anch’essa era una religiosa in carne ed ossa. Don Fausto Lanfranchi, biografo di Alberto Marvelli, postulatore della causa dell’ingegnere di Dio (di cui FF pare avesse un santino nel portafogli), è noto per la sua memoria di ferro. “Suor Pia (mi pare si chiamasse proprio così) era una religiosa molto bassa ed esile. Non aveva le fattezze da nana, ma era decisamente di bassa statura. Operava come infermiera e in sala operatoria all’Infermi, in via Tonini. Indossava il tipico cappellone delle suore della San Vincenzo”. Ed era conosciuta in tutta la città.

Perché questa ricerca nell’infanzia del regista? “Indagare l’infanzia e la giovinezza di Federico Fellini nella sua Rimini non è un’opera morbosa, o di curiosità malata. – avverte Bagnaresi – Piuttosto, squadernare la vita di FF sin dai primi anni, e i rapporti in essa contenuti e sviluppati, consente di arricchire la conoscenza non solo del regista ma soprattutto dei suoi film in tante sfumature. Si possono così comprendere dettagli altrimenti incomprensibili. Rimini, l’infanzia, la famiglia, l’esperienza religiosa è presente a pieni frame nella maggioranza delle pellicole del regista”.

Bagnaresi riproporrà con dovizia di particolari, fotografie e documenti, l’intera vicenda – e altri curiosi inediti sempre relativi all’infanzia di Fellini – in occasione del convegno “Ho bisogno di credere. Federico Fellini e il sacro”, nel marzo 2020 (centenario della nascita del regista) che si svolgerà tra Rimini e Roma.