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Con le comunità immigrate

Il vescovo alla Messa dei Popoli: Dio non scarta nessuno

In foto: le bandiere pronte ad entrare in Duomo
le bandiere pronte ad entrare in Duomo
di Simona Mulazzani   
Tempo di lettura lettura: 7 minuti
dom 6 gen 2019 18:39 ~ ultimo agg. 10 gen 16:21
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Le bandiere di tanti popoli diversi sfilano in Basilica Cattedrale a Rimini.

Oggi, come duemila anni fa, arrivano da tante parti della terra coloro che vengono ad adorare il bambino Gesù. Ognuno con un percorso diverso e qualcosa da offrire delle sue tradizioni, della sua cultura e bellezza. Nel giorno dell’Epifania si rinnova una tradizione molto bella: la messa dei popoli. Canti, coreografie, preghiere hanno lingue diverse ma solo una è l’intenzione: sentirsi parte della storia di salvezza che Dio, che si è fatto uomo, ha preparato per gli uomini. La messa è preparata, come ogni anno, dalle comunità di immgrati cattolici presenti in Diocesi, in collaborazione con la Caritas.

In un duomo gremito sono intense le parole del Vescovo Lambiasi, e si caricano di un significato speciale: “Dio ama tutti. Dio sceglie tutti. Dio non scarta nessuno. “Non fa preferenza di persone” (At 10,34). Di più: la sua unica preferenza è proprio per le persone scartate.

 

Il vescovo ha proposto una riflessione sul tema dell’immigrazione:

“Oggi l’immigrazione è diventata nel nostro Paese un fenomeno sorprendente nel suo incremento, anche se negli ultimi anni il fenomeno si è fermato. All’inizio del 2016 il numero aveva superato i 5 milioni, con una incidenza sulla popolazione totale pari all’8,3%. La percentuale degli stranieri sul totale della popolazione del Comune di Rimini è del 12,8%. In pari data la percentuale era del 10,8% sul totale della popolazione della Provincia. Sono numeri di volti, di persone, di storie, di vite.

Di fronte a questa situazione non possiamo limitarci a risposte prefabbricate, ma dobbiamo affrontarla con realismo e intelligenza, con creatività e audacia, e, al tempo stesso, con prudenza, evitando soluzioni semplicistiche. Riconosciamo che esistono dei limiti nell’accoglienza. Al di là di quelli dettati purtroppo dall’egoismo, dall’individualismo di chi si rinchiude nel proprio benessere, da una economia e da una politica che non riconosce la persona nella sua integralità, esistono limiti imposti da una reale possibilità di offrire condizioni abitative, di lavoro e di vita dignitose.

Occorre progettare un percorso praticabile che permetta di non lasciarsi vincere dalle nostre paure e dai nostri pregiudizi, perché non sia la paura a condizionare le scelte, a compromettere il rispetto e la generosità, ad alimentare l’odio e il rifiuto. Un percorso possibile si potrebbe strutturare in tre passaggi.

       Il primo è il passaggio dalla paura all’incontro. Le paure si possono vincere solo nell’incontro con l’altro e nell’intrecciare una relazione. Si tratta di riconoscere l’altro nella sua singolarità, dignità, valore umano inestimabile, di accettarne la libertà; significa riconoscere la sua peculiarità (di sesso, di età, di religione, di cultura,…) e desiderare di fargli posto, di accettarlo.

Il secondo passaggio va dall’incontro alla relazione. Non basta la conoscenza dell’altro: occorre un dialogo per modificare i pregiudizi, per riflettere sui nostri condizionamenti culturali, storici, psicologici, sociologici.

Il terzo è il passaggio dalla relazione all’integrazione. è questo il passaggio più difficile. L’integrazione è un processo che non assimila, non omologa, ma riconosce e valorizza le differenze; che ha come obiettivo la formazione di società plurali in cui vi è riconoscimento dei diritti, in cui è permessa la partecipazione attiva di tutti alla vita economica, produttiva, sociale, culturale e politica, avviando processi di cittadinanza e non soltanto di mera ospitalità.

La civiltà ha fatto il passo decisivo il giorno in cui lo straniero, da nemico (hostis) è divenuto ospite (hospes), per passare dall’ostilità all’ospitalità”.

 

 

L’omelia del vescovo:

L’inimmaginabile fortuna di essere cristiani

Omelia del Vescovo per la Messa dei Popoli

Rimini, Basilica Cattedrale – Epifania 2019

Dio ama tutti. Dio sceglie tutti. Dio non scarta nessuno. “Non fa preferenza di persone” (At 10,34). Di più: la sua unica preferenza è proprio per le persone scartate. Abbiamo ascoltato le parole ardenti dal profeta per invitare Gerusalemme ad alzare gli occhi, a lasciarsi invadere dalla luce dilagante che viene dall’alto e a contemplare con sguardo ammirato e giubilante l’incedere in pellegrinaggio verso la città santa, di tutte le nazioni. Tutte, nessuna esclusa. Noi abbiamo fatto eco al profeta con il salmo: “Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra”. Tutti i popoli, senza alcuna eccezione.

1. Nella seconda lettura san Paolo ci squaderna il mistero (= progetto segreto) di Dio. Nella sua misteriosa e misericordiosa sapienza il Signore offre la salvezza a tutti – proprio tutti, senza se e senza ma – perfino i pagani, che invece venivano ritenuti estranei e lontani. Ma con Gesù la strategia di Dio registra una drammatica impennata. I vicini si allontanano. I lontani si avvicinano. Vedi i capi dei sacerdoti e gli scribi di Gerusalemme. Vedi Erode. Sono quasi ‘a km zero’ da Betlemme, ma rimangono allineati sul fronte del ‘no’ al Messia bambino. Mentre sul fronte del ‘sì’ si schierano i magi: non appartengono al popolo d’Israele, eppure vengono da lontano. La profezia di Isaia ora si compie in maniera paradossale: nasce un nuovo popolo di credenti, al posto dell’antico, e diventa luce del mondo. Si enuncia il disegno di salvezza di Dio Padre. Si annuncia la strategia del giovane Messia, il quale dirà di sé: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13).

Già da questa rapida ripresa dei brani appena proclamati e ascoltati, possiamo approdare alla certezza di tre verità originarie e fondanti, incontestabili e del tutto indiscutibili. La prima: Cristo è l’unico Salvatore di tutti. Infatti “(Dio Padre) vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4). Concretamente questa “salvezza universale” trova il suo caposaldo esistenziale in Gesù Cristo: “Gesù Cristo, e nessun altro, può darci la salvezza. Non esiste altro uomo al mondo al quale Dio abbia dato il potere di salvarci” (At 4,12, TILC). Nessun dialogo – pur necessario e doveroso con le religioni non cristiane – può attentare a questa prerogativa di Gesù, di essere l’unico, assoluto, indispensabile “salvatore del mondo” (Gv 4,42).

A questa verità se ne salda una seconda, strettamente agganciata alla prima: non c’è Chiesa senza Cristo e non c’è Cristo senza Chiesa. Pertanto non ci è dato di pensare, ma neppure lontanamente di nominare la Chiesa senza chiamare in causa Cristo, il Capo del Corpo che è la Chiesa. Senza il Capo il Corpo è morto. Senza il Corpo il Capo è monco.

Ed ecco la terza verità: “la Chiesa è il sacramento universale di salvezza” (LG 48). Parlare di Chiesa-sacramento significa dire che la Chiesa, rispetto alla salvezza, non è solo un segno, come lo può essere un segnale stradale: ti segnala la strada che porta al traguardo, ma quel cartello non ti porta al traguardo. Il segno che è la Chiesa invece è anche strumento: la Chiesa è il segno attivo e lo strumento efficace della salvezza. E’ il segno che opera effettivamente la salvezza indicata. E’ l’immagine che attua realmente la salvezza rappresentata. Ecco la terza verità: la salvezza operata da Dio Padre attraverso lo Spirito del Figlio suo Gesù Cristo, raggiunge effettivamente ed efficacemente tutti e singoli i membri della famiglia umana attraverso la sua Chiesa. L’unica via di salvezza per tutti è Cristo mediante la Chiesa.

Ma qui dobbiamo fare spazio a un grappolo di domande scottanti: e quelli che senza la loro colpa non conoscono né Cristo né la Chiesa, come possono salvarsi? Tra parentesi: stiamo sereni. Attenzione a non volerci mettere al posto di Dio! A non pretendere di voler insegnare a Dio come si fa a salvare l’umanità! Ad ogni modo, ecco la rassicurante risposta del concilio Vaticano II: “(Se essi: i non-cristiani) cercano sinceramente Dio, e sotto l’influsso della sua grazia si sforzano di compiere fattivamente la volontà di Dio conosciuta attraverso il dettame della coscienza, costoro possono conseguire la salvezza” (LG 16). Pertanto anche ai non cristiani – primi fra tutti gli ebrei e i musulmani, come pure i non credenti – viene riconosciuta una dignità derivante dal fatto che anch’essi rientrano nel piano salvifico di Dio. A ciascuno di loro viene misteriosamente offerto un aiuto interiore dalla grazia, capace di orientare la loro esistenza verso la salvezza. Quella salvezza operata – per tutto il genere umano – dalla morte e risurrezione di Cristo.

Ma allora – è un’altra domanda – perché la missione? Perché Cristo è il Salvatore di tutti gli uomini, anche di quelli che non lo conoscono. E se è vero che i non cristiani di buona volontà sono già aperti al suo amore, in modo da poter ricevere la salvezza, questo è un motivo in più perché siano aiutati a conoscere il suo nome e il suo volto, e vivano consapevolmente e pienamente il rapporto con lui. Se io avessi più coraggio, se noi tutti avessimo l’ardore di Paolo e non ci vergognassimo del Vangelo,potremmo condividere la sua automaledizione: “Guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1Cor 9,16).

Siamo all’ultima domanda: qual è il valore aggiunto dell’appartenenza ecclesiale? In parole più spicce: che vantaggio c’è ad appartenere alla Chiesa? Il vantaggio è che nella Chiesa posso scoprire il ‘tesoro’ più favoloso e pregiato che ci sia al mondo: il Cristo vero e intero. E in quello scrigno posso trovare tre gioielli di incalcolabile valore: lo smeraldo della parola di Dio, la sacra Scrittura. Il rubino dei sacramenti, a cominciare dal battesimo fino al top dell’eucaristia. La perla della comunità cristiana, con la guida dei suoi pastori e la compagnia dei fratelli nella fede. Cosa vogliamo di più?

Ma ora mi verrebbe da gridare: Warning! Facciamo attenzione: poveri noi se crediamo di salvarci solo perché siamo incorporati alla Chiesa! Se noi non perseveriamo nella carità, allora rimaniamo nella Chiesa “soltanto con il corpo, ma non con il cuore” (S. Agostino). Se non corrispondiamo alla grazia della fede “con il pensiero, con le parole e con le opere, anziché essere salvati, saremo giudicati molto più severamente” (LG 15).

Preghiamo allora così: “In questa festa dell’Epifania, ridesta in noi, Signore, il desiderio di incontrarti, la voglia di cercarti, la gioia di trovarti, l’ardore di annunciarti, crocifisso-risorto- vivente, ai miei fratelli e alle mie sorelle. Amen”.

+ Francesco Lambiasi