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Il futuro incerto di Aboubacar e dello Sprar

In foto: accoglienza migranti, Sprar
accoglienza migranti, Sprar
di Stefano Rossini   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
mer 28 nov 2018 15:57 ~ ultimo agg. 30 nov 16:49
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Anticipiamo le prime righe dell’articolo sul futuro dello Sprar e la storia di Aboubacar (nome di fantasia) che uscirà domani, giovedì 29 novembre, sul settimanale Il Ponte.

 

Aboubacar (nome di fantasia), non ha ancora vent’anni. E’ arrivato in Italia due anni fa. E’ entrato nello Sprar con un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Nei due anni in cui ha beneficiato dell’accoglienza ha studiato l’italiano, ha fatto corsi di formazione al centro Zavatta di Rimini e alcuni stage aziendali. Ha preso tutte le opportunità che gli sono state date per integrarsi e alla fine è diventato meccanico. L’estate l’ha spesa per cercare lavoro. Un’impresa non facile, ma a ottobre, grazie anche all’intervento del Fondo per il lavoro è stato assunto come tirocinante per sei mesi in un’azienda di Savignano al Rubicone.

“L’azienda cercava proprio un profilo professionale come quello di Aboubacar – racconta Sabrina, operatrice Sprar – è stato un incontro felice”.

Grazie al lavoro e all’integrazione economica del fondo per il lavoro, Aboubacar prende 850 euro al mese, cifra che gli permette di cominciare a costruirsi un po’ di autonomia. Ha affittato una stanza in un appartamento insieme ad altri tre ragazzi e ora costruisce il suo futuro.

Una storia a lieto fine? No. Perché l’iter di Aboubacar con buone probabilità si interromperà nei primi mesi del 2019 quando il suo permesso di soggiorno per motivi umanitari scadrà. Con le novità introdotte dal nuovo Decreto Sicurezza firmato Salvini non sarà più possibile rinnovare il permesso, né tantomeno convertirlo.

“Con il nuovo decreto – ci spiega Sabrina – il permesso di soggiorno per motivi umanitari non esisterà più, quindi non è possibile chiedere il rinnovo. Stiamo cercando di aiutare questi ragazzi convertendo questi permessi in permessi di lavoro subordinato, una pratica possibile”.

Una pratica che ne salva alcuni, ma non tutti. Aboubacar non rientra nei parametri. Perché?

“Per avere il permesso di lavoro subordinato il contratto deve essere almeno di un anno, e non un contratto di tirocinio come nel caso di Aboubacar. Ma nessuna azienda assume direttamente, tutte chiedono un tirocinio, è un modo per conoscere i futuri dipendenti”.

Ormai nessuno sfugge più a questa logica. Neppure i lavoratori italiani, figurarsi quelli di origine straniera.

Il problema del tipo di contratto, però, non è l’unico che ostacola il permesso di Aboubacar. Oltre a quello, serve anche il passaporto del proprio paese di origine, che, come ci racconta Sabrina, fino a poco tempo fa veniva chiesto all’ambasciata. Ma ora non funziona più così.

“Le ambasciate di alcuni paesi africani, in particolare la Guinea e la Costa d’Avorio, non rilasciano più il passaporto. Quando facciamo richiesta ci inviano un figlio che specifica che i guineani in Italia con permesso di soggiorno, per ottenere il passaporto devono tornare nel proprio paese e richiederlo”.

Una strada sicuramente complicata, ma ancora percorribile, o no? No, perché sempre secondo le nuove regole del Decreto Salvini, quando una persona con permesso di soggiorno per motivi umanitari torna nel proprio paese, il permesso decade, e la persona non ne usufruisce più.

Ed ecco che il nostro Aboubacar è finito in un incubo kafkiano di burocrazia che ti costringe a girare come una trottola finendo ogni volta in un vicolo cieco diverso. Non puoi rinnovare il permesso qui, e non puoi tornare nel tuo paese a prendere il passaporto – che ti serve per convertire il permesso – perché altrimenti perdi il permesso. Come ti muovi, fai male. Ricorda la scena delle dodici fatiche di Asterix in cui i due eroi Galli correvano da uno sportello all’altro nella vana ricerca di un lasciapassare (A 38) con cui avrebbero potuto proseguire oltre. Ogni tentativo naufragava contro il Moloch della burocrazia senza senso: una volta mancava lo sportello, una volta serviva un documento di cui nessuno aveva mai parlato, un’altra volta la persona che avrebbe dovuto fornire il servizio era fuori in pausa, etc.

Qui però è diverso. Qui non ci si perde nei dedali della pratiche e dei codicilli, qui si fronteggia un progetto studiato e calibrato a questo scopo: impedire alle persone che sono arrivare in questo paese dal sud del mondo e dai paesi che ancora ci ostiniamo a definire terzo mondo (in pratica tutti tranne pochi europei, nord americani e qualche asiatico), di potersi integrare e vivere stabilmente qui.

“La decisione di non accogliere nello Sprar (che non si chiamerà più sprar ma sistema protezione internazionale e minori o qualcosa del genere) è eminentemente politica e propagandistica – precisa Gloria Lisi, Vicesindaco di Rimini e Assessore ai servizi sociali – Si basa sull’assunto che lo Stato darà misure di accoglienza solo a chi ne ha diritto e cioè a chi scappa dalle guerre. E’ dunque fondata sull’assunto della distinzione tra migranti economici e profughi di guerra, proprio mentre negli altri Stati di Europa si sta lavorando per parlare di migranti forzati tout court e della loro accoglienza”.

“Attualmente a Rimini sono circa 38 gli adulti inseriti nei programmi Sprar e 16 i minori, che vanno sostanzialmente ad occupare quasi la totalità dei posti disponibili nel nostro Comune (40 per gli adulti e 18 per i minori) – continua Gloria Lisi – Per quanto riguarda i Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria), invece, nel 2016 erano quasi 700 le persone accolte, nel 2017 si erano ridotte a 500, oggi saranno all’incirca 300.Il provvedimento colpisce soprattutto l’istituto dello Sprar, il sistema pubblico per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, basata non solo sull’accoglienza ma anche e soprattutto sull’integrazione”.