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Cronaca Rimini

Omicidio Macka Niang. C'è un responsabile ma non un movente

In foto: la conferenza stampa in Procura
la conferenza stampa in Procura
di Simona Mulazzani   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
mar 9 ott 2018 14:22 ~ ultimo agg. 10 ott 11:10
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Una morte violenta, drammatica, ancora più tragica, se si pensa che all’origine dei colpi di pistola che il 18 aprile scorso hanno spezzato la giovane vita di Makha Niang sul ponte di via Coletti, non c’è nessun movente. Dopo indagini serrate fatte in collaborazione da Polizia e Carabinieri è stata notificata questa mattina in carcere l’ordinanza di custodia cautelare per l’omicidio a un 28enne albanese, che, insieme ad un connazionale, era già stato arrestato dai carabinieri lo stesso giorno dell’omicidio per le detenzione di un’arma da fuoco usata per sparare alcuni colpi contro un’abitazione. Dovrà rispondere dell’accusa dell’omicidio del giovane cuoco senegalese.

[fvplayer src=”https://youtu.be/Po_SMlMjCmU” splash=”https://i.ytimg.com/vi/Po_SMlMjCmU/sddefault.jpg” caption=”Icaro Tv. Omicidio di via Coletti. C’è un responsabile ma non un movente”]

Le indagini degli investigatori hanno appurato che l’altro, un 22enne anche lui albanese, non c’entra nulla con l’omicidio. Non era nel suv nero nel momento in cui sono partiti i colpi, ci sarebbe salito solo una mezz’ora dopo. E quindi dovrà rispondere solo per il possesso della pistola rubata e per gli spari contro la palazzina di Sant’Ermete.

 

I risultati dell’inchiesta sono stati resi noti questa mattina in una conferenza stampa dal Procuratore della Repubblica Elisabetta Melotti e dal pm Paolo Gengarelli. Presenti anche il comandante provinciale dei carabinieri Sportelli e funzionari della Questura. Fondamentali le informazioni riportate dai testimoni che hanno permesso di ricostruire il quadro indiziario, con modalità e orari dell’omicidio del 18 aprile. I testi si sono presentati spontaneamente, compresa la signora in bici, le cui immagini erano state rese pubbliche proprio perché si potesse riconoscere e potesse cosi portare il suo contributo alle indagini. Oltre alle testimonianze importanti elementi sono arrivati anche dalla simulazione, con cui, con lo stesso mezzo e alla stessa ora, è stato ricostruito dagli inquirenti il percorso fatto dal Suv nero, dall’uscita dall’albergo dove alloggiava l’albanese fino al luogo dell’omicidio. Si è appurato che l’ultimo tratto è stato percorso a velocità bassissima: questo ha dato la possibilità al killer di prendere la mira e sparare. Il tragitto è stato ripreso da otto telecamere. Prezioso il lavoro della Polizia scientifica di Padova che ha trovato nell’auto residui di polvere da sparo compatibili con i colpi sparati dal sedile del guidatore attraverso il finestrino abbassato lato passeggero. Utile anche la ricostruzione dei movimenti del presunto killer, prima e dopo l’omicidio, così come l’analisi dei tabulati telefonici. L’arma trovata nel suv e sequestrata è compatibile con quella usata per l’omicidio ed è la stessa utilizzata a Sant’Ermete.

L’aspetto più drammatico è la mancanza di un movente: non c’è alcun collegamento tra il presunto omicida e la vittima. L’unica motivazione dell’efferato gesto, secondo gli inquirenti, va cercata nella personalità del soggetto che già nel caso di sant’Ermete non si era fatto scrupoli a sparare ad altezza d’uomo.  Makha, quella tragica notte, sarebbe stato il bersaglio solamente della sua volontà omicida.

Il presunto killer si trovava in Italia senza regolare permesso e già in passato era stato coinvolto in vicende giudiziarie legate allo spaccio di droga. Aveva avuto due condanne nel 2014 e nel 2015.