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Cronaca Riccione

"Staffetta" di animali intercettata dalle Guardie Ecozoofile in A14

In foto: il controllo in A14
il controllo in A14
di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 6 minuti
lun 3 set 2018 19:29 ~ ultimo agg. 4 set 13:37
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Sabato notte presso l’area di servizio Montefeltro est, una pattuglia di Guardie Ecozoofile di Fare Ambiente, si è imbattuta in una “staffetta”, ovvero un furgone che trasporta cani e gatti dalle regioni del sud fino ai privati o i canili del nord Italia che si sono resi disponibili agli affidi.

Un controllo mirato, insieme alla Polizia Autostradale, dopo che da diverse settimane, erano segnalati scambi anomali di animali, specialmente all’interno delle aree di servizio o nei pressi dei caselli autostradali. E a inizio agosto un cane di uno di questi carichi era stato trovato morto.

Nel furgone c’erano oltre quaranta animali tra cani e gatti. Al momento sono al vaglio eventuali sanzioni in merito ai documenti che accompagnavano gli animali durante il trasporto e le autorizzazioni sanitarie sull’omologazione del mezzo.

Dietro ai traffici – avvertono le guardie – si nascondono associazioni, spesso create ad hoc, con pochi scrupoli, che trafficano con animali reperiti in vari modi: rubandoli, prelevandoli da canili compiacenti, che si affidano ad appelli strappalacrime, o da persone che non sono più in grado di occuparsene. Il business, tramite annunci online, sta nel trasporto in regioni lontane invece di affidare i cani a strutture vicine.

[fvplayer src=”https://youtu.be/KLxoqIfWSFs” splash=”https://i.ytimg.com/vi/KLxoqIfWSFs/sddefault.jpg” caption=”icaro Tv. Traffico di cani da nord a sud, l’intervento delle Guardie Ecozoofile”]


L’approfondimento delle Guardie Ecozoofile:

Prendiamo spunto proprio da questo evento, per provare a spiegare cosa si annida in questi “viaggi della speranza”.

Ma partiamo dall’inizio. Paola (nome di fantasia), scorrendo gli annunci sui social network che riguardano le adozioni di cani e gatti, viene colpita dall’immagine di un cane tanto da decidere di voler salvare quel cucciolo da quello che potrebbe sembrare un destino già segnato. Così contatta l’Associazione che si occupa dell’adozione e, dopo una breve intervista telefonica, seguita da un modulo da compilare per l’intestazione, il cane le viene “spedito”. Dopo qualche giorno, in tarda serata, l’animale che, da subito, manifesta un evidente stato di malessere arriva all’area di servizio concordata. Il cucciolo è sporco di vomito, feci, e di conseguenza risulta maleodorante. Purtroppo, come può capitare in questi casi, il giorno dopo il cane muore. Gli esami effettuati dalla clinica veterinaria che si è occupata del povero animale quando ancora era in vita, parlano di “….animale abbattuto, disidratato, con temperatura di 40º, vomito, inappetenza, diarrea con sangue”. Successivi esami riportano che il cane è “…fortemente positivo al parvo virus”, che, in alta percentuale, porta alla morte ed è altamente contagioso. Non si può escludere, infatt, che altri cani, venuti in contatto col cucciolo, abbiano subito la stessa fine.

“Diverse Associazioni con pochi scrupoli – dice Matteo Fangarezzi, responsabile Guardie Ecozoofile della provincia di Rimini – approfittano della buona fede di migliaia di persone che, senza saperlo, alimentano invece un traffico che, anziché risolvere il problema del randagismo al sud, lo sposta semplicemente al nord. Inoltre, per consegnare i cani, vengono chieste “offerte” che si aggirano intorno ai 100 euro. Per non parlare dei mezzi spesso inadeguati, e del fatto che alcuni cani e, praticamente, tutti i gatti viaggiano senza microchip e copertura vaccinale”.

Gli spostamenti spesso riguardano animali facilmente affidabili, ovvero i cuccioli, mettendo così in difficoltà i comuni e i canili virtuosi perché sponsorizzando l’adozione  di cuccioli penalizzano  gli esemplari non più giovanissimi presenti nei canili del nord che in questo modo più difficilmente trovano una famiglia, i canili si riempiono e i comuni continuano a pagare per la permanenza dei cani all’interno degli stessi.

Abbandoni – “Altra eventualità che è capitata a noi circa due anni fa – continuano le Guardie – riguarda il rinvenimento di cuccioli “abbandonati” in zone in cui è facile il ritrovamento. Sono ovviamente cani sprovvisti di microchip, spesso con difficoltà caratteriali, in quanto provenienti da “branchi” di randagi, che vengono presi in carico dal comune nel quale il “ritrovamento” è avvenuto”.
E’ ormai assodato che qualcuno utilizzi questa prassi per spostare, anche in questo caso, i cani da sud a nord, “distribuendoli” in modo organizzato.

Le Associazioni serie, che per fortuna ci sono, si occupano dell’adozione dalla a alla z, sul proprio territorio. Questo vuol dire incontrare il possibile affidatario, verificare se è pronto a prendere un cane in affido, se la casa in cui abita è adatta, ecc. A ciò segue l’affido vero e proprio, al quale succedono le visite post affido per verificare che tutto vada bene, sia per la famiglia adottante che per l’adottato. Non è certo sufficiente una telefonata o uno scambio di foto su whatsapp a portare a termine un affido nel migliore dei modi.

Tra l’altro esiste da ben ventisette anni la legge quadro 281, del 1991 appunto, che prevede, al comma 2 “Il controllo della popolazione dei cani e dei gatti mediante la limitazione delle nascite” a carico di Comuni per mezzo delle AUSL competenti per territorio. Anche in questo caso, a disattendere quello che dovrebbe essere un obbligo di legge, sono più spesso i comuni del sud.

Oltretutto, durante la XVII legislatura, con atto ispettivo n. 3/02545 del 2016, numerosi parlamentari hanno dichiarato che: “negli ultimi anni, il randagismo fuori controllo è in aumento esponenziale, con aggravamento dei costi per i contribuenti, a causa delle mancate sterilizzazioni degli animali vaganti [] Nel Sud Italia sono stimati in circa 700.000 i cani randagi presenti sul territorio e 750.000 sono i cani in attesa di adozione costretti a vivere in canili; negli anni, attorno al randagismo si è creato un vero e proprio giro di affari: nonostante la legge n. 281 del 1991 indichi nelle associazioni di protezione animali i soggetti prioritari cui concedere le convenzioni per la gestione dei canili, in tutta Italia sono sorte strutture esclusivamente private, nelle quali gli animali devono fare numero e rimanere il più a lungo possibile: i gestori dei canili percepiscono, infatti, un contributo che va da 2 a 7 euro al giorno per ogni cane, che, moltiplicato per il numero dei cani detenuti, rappresenta un’ingente cifra”.

Si tratta, spesso, di strutture fatiscenti, dove i cani vivono ammassati in gabbie piccole e in condizioni igienico sanitarie pessime.

Se da un lato dobbiamo prendere in considerazione le condizioni fisiche cui questi animali sono sottoposti, non di meno dobbiamo trascurare quelle psicologiche ed etologiche. Il cane, soprattutto, ha necessità di interazione interspecifiche ed intraspecifiche, ovvero sia con i propri simili che con gli esseri umani, e non possono, come in qualche caso succede, essere lasciati per mesi o anni in box, con poche possibilità di sgambare e avere relazioni. Senza contare che, in alcuni casi, la mortalità nei così detti “canili lager”, purtroppo tristemente diffusi nella nostra penisola, la mortalità può arrivare al 60%. Dove non arriva la morte all’interno dei canili, svariati cani la trovano poiché sono coinvolti in incidenti stradali, con conseguenze tragiche spesso anche per le persone. A proposito di incidenti causati da animali, giova sottolineare che quelli che vedono coinvolti gli animali selvatici, ai quali viene data particolare enfasi, sono infinitamente meno rispetto a quanti vengono provocati dai cani randagi. La classifica delle regioni col maggior numero di animali randagi vede al primo posto la Puglia, seguita da Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. La Puglia e la Campania, da sole, contano quasi 300 tra canili e rifugi, su un totale nazionale di 1051 strutture. ( Fonte Ministero della Salute).

Lo stesso Ministero con la circolare n. 33 del 12 agosto 1993 dichiara fra l’altro: “Continuano a pervenire segnalazioni di affidamento di cani randagi da parte di canili comunali o intercomunali o privati convenzionati a persone che spesso si presentano sotto l’egida di associazioni protezionistiche e che invece fungerebbero da intermediari con organizzazioni straniere che nulla hanno a che vedere con la protezione animali. Cani e gatti che prelevati a cifre irrisorie in Italia verrebbero dirottati e rivenduti a cifre elevate per essere destinati alla sperimentazione. Si raccomanda pertanto di attenersi scrupolosamente alla normativa vigente affinché distrazione o buona fede nell’affido di animali non favoriscano il traffico in argomento”.

A solo scopo esemplificativo prendiamo il Comune di Ragusa che, con determinazione dirigenziale n. 151 di febbraio 2014 approva un protocollo d’intesa della durata di un anno e dell’importo di euro 10.000 per la “gestione” di 100 cani, ovvero “l’incentivazione delle pratiche di adozione anche attraverso il trasferimento dei cani dei canili verso zone del Nord Italia o anche estere” in quanto “il mantenimento in canile dei randagi catturati risulta un grosso onere per l’amministrazione comunale rispetto al numero veramente esiguo di adozioni o affidamenti a privati cittadini”.

In mezzo, tra i canili e gli adottanti, troviamo le “staffette”, ovvero furgoni più o meno omologati, stipati di cani e gatti in cerca di adozioni. Adozioni “del cuore” e, spesso, del portafoglio, poiché tutti i trasporti vengono pagati un tanto ad animale.

Ci sono ovviamente anche Associazioni che agiscono in buona fede e hanno a cuore il problema (che come abbiamo visto non si risolve certo cercando adozioni spesso improvvisate), ma in un business da diverse centinaia di milioni di euro l’anno non possiamo certo pensare che non si inserisca la criminalità organizzata. La LAV, Lega Anti Vivisezione, nel suo rapporto sulle Zoomafie, sostiene che il “mercato”, afferente al randagismo, frutterebbe circa 500 milioni di euro.

Questi trafficanti fanno parte di associazioni, spesso create ad hoc, con pochi scrupoli, che trafficano con animali che vengono reperiti in vari modi: rubandoli, prelevandoli da canili compiacenti, che si affidano ad appelli strappalacrime, o da persone che non sono più in grado di occuparsene e che si fidano di questi criminali che promettono di dare agli animali una migliore condizione di vita.

Potrebbero benissimo prendersi cura degli animali presenti sul loro territorio e occuparsene lì, ma questo non porterebbe loro alcun guadagno. Meglio, molto meglio, spostarli e dar vita ad un circolo vizioso, che porta congrui profitti e fa diventare lo “staffettista” un “lavoro” vero e proprio, anziché servizio di volontariato.