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Violenza sessuale. Rompi il silenzio: impegni verbali vuoti non servono

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di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
gio 30 ago 2018 17:03 ~ ultimo agg. 17:06
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Dopo il nuovo caso di violenza sessuale a Rimini, ad opera di un uomo già denunciato più volte per reati simili (vedi notizia), interviene con un commento l’associazione “Rompi il silenzio” che da anni sostiene le donne vittime di violenza. Gli impegni presi dalla politica sull’inasprimento delle pene, come all’indomani della vicenda di Gessica Notaro, non devono restare vacue parole, sottolinea l’associazione. La responsabilizzazione deve coinvolgere tutti, nei rispettivi ruoli.


Violenza sessuale: alle parole seguano i fatti, i fatti non siano preceduti dalle parole

Espressione comune recita ‘che alle parole seguano i fatti’. Si stabilisce così una correlazione tra i due elementi, che non devono essere né antagonisti né distanti. Ciò avviene nei casi che raccontano episodi di violenza sessuale nei confronti di donne? No.

All’indomani della drammatica aggressione a Gessica Notaro da parte dell’ex fidanzato, la politica italiana a qualsiasi livello si era spesa a schermi unificati circa l’inasprimento di pene e di controlli nei confronti di chi vede nell’altro un oggetto da distruggere, sia nel corpo che nell’identità. La violenza esercitata sulle donne è sempre preceduta da segnali, che vanno colti perchè spesso è più difficile ignorarli che vederli. Registriamo che, su questo fronte, alle parole non sono seguiti i fatti. Il lavoro quotidiano delle istituzioni regionali e locali, dei centri antiviolenza, dell’associazionismo diffuso, non è ancora affiancato da una corrispondente attività e sensibilità della componente a cui spetta il compito di legiferare e disporre reti di controllo e monitoraggio adeguate. Nessuno oggi, anno 2018, può ancora pensare di rifugiarsi nel ‘abbiamo sottovalutato i segnali’. Persone che hanno più di un precedente in ordine a un crimine orrendo e vigliacco come la violenza sessuale, lo stalking, le molestie continuate, le botte in famiglia sono cronaca a cui devono seguire leggi e controlli, non solo impegni verbali vuoti.

Ma è altrettanto vero che i fatti non debbano seguire le parole. E’ un tema altrettanto doloroso e delicato quello della ‘narrazione’ della violenza sulle donne. Lo abbiamo purtroppo imparato lo scorso anno quando il drammatico episodio accaduto a Miramare ha scatenato un patologico voyeurismo dell’informazione, che ha esercitato una seconda violenza sulle stesse vittime. Nei mesi successivi, in diversi convegni e pubblici incontri, si approfondì con esperti il problema della parola che descrive la violenza, dei suoi tempi, della cronaca che non può ‘passare avanti’ il dolore delle vittime e la necessaria attività di accertamento dei fatti. Tutti abbiamo condiviso la pratica e la teoria della responsabilizzazione, ognuno nei propri ruoli, che tuteli il corpo e l’anima ferite della donna.

Rilanciamo oggi con forza quella parola ‘responsabilità’ a tutte le componenti che in qualche modo contribuiscono alla formazione del ‘racconto’. Le istituzioni, la magistratura inquirente, le forze dell’ordine, gli organi d’informazione. Solo esercitando responsabilità per propria competenza e ruolo si avrà un briciolo di possibilità in più per intaccare una cultura atavica e tentacolare che si alimenta anche di irrazionalità e di parole usate senza coincidere con i fatti. La razionalità e i sentimenti sono armi più potenti delle semplici emozioni. Ha detto Renzo Piano qualche giorno fa, sul disastro del ponte Morandi, che ‘abbiamo bisogno di una Giustizia che accerti i fatti, e non che sia solo veloce’. Anche nel caso della violenza sulle donne abbiamo bisogno di fatti e non solo di parole vuote che li seguano o che li precedano per altri fini che non siano quelli del rispetto di persone già ferite e offese nella parte più intima e profonda di sè.

Le Donne di Rompi il silenzio