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Cultura Rimini

"Dialogo con gli autori". Venerdì Massimo Eusebio presenta "Lo sguardo dello schermo"

In foto: La copertina
La copertina
di Roberto Bonfantini   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
gio 15 mar 2018 15:26 ~ ultimo agg. 15:26
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Venerdì 16 marzo alle 18:30 è in programma alla Feltrinelli di Rimini (largo Giulio Cesare, 4) il terzo incontro del ciclo “Dialogo con gli autori”, realizzato in collaborazione con Lions club Rimini Riccione host e Associazione Itaca.

Massimo Eusebio presenterà il suo libro “Lo sguardo dello schermo. Teorie del Cinema e Psicoanalisi”. Abbiamo posto tre domande all’autore.

Come nasce questo libro?
“Come docente a contratto di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Urbino ho scelto di proporre agli studenti un corso che sviluppasse il tema del rapporto tra due discipline dalla forte valenza culturale e comunicativa: il cinema, in quanto potente dispositivo capace di formare coscienze critiche e di dar vita a una grande varietà di processi identificativi e proiettivi; la psicoanalisi nella sua duplice funzione di strumento ermeneutico interdisciplinare e di tecnica terapeutica basata sull’uso della parola. Il libro parte dunque da un’esigenza didattica interessata ad approfondire il significato psicologico dell’esperienza spettatoriale, anche in relazione sia ai nuovi modi di accesso alla fruizione filmica (televisione digitale, computer, tablet, smartphone, media-façades, devices mobili, ecc.), sia al rovesciamento dei tradizionali linguaggi filmici operato da molti registi della contemporaneità”.

Quale immagine dell’uomo ci restituisce il grande schermo?
“Tra le varie metafore che possono descrivere lo schermo cinematografico una delle più efficaci è quella del cinema come specchio che rimanda al bisogno degli esseri umani di rappresentarsi e di essere rappresentati. Tuttavia l’immagine dell’umanità che nel corso del tempo l’arte cinematografica ci ha restituito non è univoca, ma multiforme e talvolta sfuggente. Si pensi alla profonda trasformazione dallo stile o regime narrativo forte a quello antinarrativo (che non va però pensata come una «evoluzione» in senso assoluto). Dal cinema classico hollywoodiano, popolato di buoni e cattivi e da eroi dalla personalità decisa, dove il bene e il male sono tenuti ben distinti, al cinema della modernità in cui i valori non si distribuiscono più in sistemi contrapposti e antagonisti, ma diventano permeabili. Un cinema dove incominciano a coesistere più punti di vista e dove l’eroe dalla personalità forte e privo di debolezze psicologiche cede il passo all’eroe diviso, portatore di dubbi e conflitti. Un cinema che ha anche sperimentato l’evolversi di vicende in cui si assiste a uno sfaldamento narrativo di segno onirico, come avviene per esempio in Mulholland Drive (2001) di David Lynch che, anziché seguire una successione logica di avvenimenti, porta a condividere il vissuto dei personaggi; o, ancora, un cinema che ha proposto l’eliminazione quasi totale della scenografia per concentrarsi sulla teatralità della parola e del gesto, come avviene nel dramma morale di Dogville (2003) di Lars von Trier”.

Qual è il rapporto tra il cinema e la psicoanalisi?
“Se il cinema esprime il bisogno dell’essere umano di raccontarsi e di riconoscersi lo stesso vale per il paziente in analisi. La storia dell’incontro delle due discipline ha inizio sul finire dell’Ottocento, nel momento stesso della loro nascita o invenzione, il 1895. Si tratta del primo apparire di una nuova arte e di una nuova teoria scientifica che nel corso del secolo successivo contribuiranno entrambe alla profonda trasformazione dell’immagine dell’individuo. Entrambe le discipline attingono poi alla medesima tradizione culturale: il mito e la tragedia greca. Il loro rapporto ha preso forma lentamente, durante la prima metà del Novecento, e ha visto l’impiego della psicoanalisi collocarsi sostanzialmente su tre diversi piani: 1) come fonte di ispirazione per le narrazioni filmiche; 2) come analisi e interpretazione del dispositivo cinematografico, della «macchina» cinema e dei i suoi effetti sullo spettatore; 3) come analisi e interpretazione del testo filmico e delle metafore visive proposte dai cineasti per descrivere e approfondire i meccanismi inconsci della vita psichica. Nella relazione tra cinema e psicoanalisi è stata colta anche un’affinità tra la situazione cinematografica vissuta dallo spettatore e quella che si instaura tra paziente e analista: il flusso associativo che governa sia il cinema sia la psicoanalisi; la condivisione di esperienze; la comune funzione di spazio rappresentazionale; la partecipazione a un vocabolario simile (si pensi ai termini illusione, immaginario, schermo, proiezione, scenario, rappresentazione, comuni a entrambi gli ambiti)”.