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In 400 alla Marcia della Pace. Lambiasi: facciamo diventare le città laboratori di pace

In foto: marcia della pace 2018
marcia della pace 2018
di Simona Mulazzani   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
mar 2 gen 2018 11:41 ~ ultimo agg. 5 gen 15:46
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Hanno dovuto accorciare un po’ il tragitto a causa della pioggia ma non hanno rinunciato a sfilare in corteo per le vie del centro di Rimini per dire che un mondo in pace possibile, se lo si invoca nella preghiera, se lo si prova a costruire insieme. Circa 400 persone ieri, 1 gennaio, hanno partecipato alla Marcia della Pace, che per questasettima edizione aveva come tema alcune parole del messaggio di Papa Francesco per la 51esima giornata mondiale della pace: “Migranti, rifugiati, uomini e donne in cerca della Pace“. L’iniziativa è stata organizzata dalla Diocesi di Rimini, in collaborazione con l’associazione musulmana della Valconca. Il corteo è partito dalla chiesa di San Nicolò per giungere in sala Manzoni dove si sono susseguite alcune testimonianze.

Tra i partecipanti anche alcune famiglie sinti, che vivono nel campo nomadi di Via Islanda, diverse famiglie musulmane. Tra queste anche papà mamma e tre figli siriani accolti da alcuni mesi a Coriano che hanno portato la loro testimonianza in Sala Manzoni. Arrivati grazie al corridoio umanitario, con l’aiuto dell’Operazione Colomba della Papa Giovanni XXIII, oggi vivono nel piccolo comune, hanno iniziato il loro percorso di integrazione, i bimbi frequentano la scuola. “Siamo persone che amano la pace – dice papà Akmed -. Abbiamo sempre desiderato vivere in pace. Mentre oggi camminavo con voi ho pensato che una marcia di questo tipo in Siria non sarebbe stata possibile, ci avrebbero uccisi. In Siria le persone vivono sotto le bombe, spesso vengono imprigionate per quello che pensano. La mia prima moglie è morta durante un bombardamento. Ho deciso di fuggire perché in Siria la vita era impossibile, mi sono rifugiato con la famiglia in un campo profughi in Libano, ma anche qui la vita era da reclusi. Oggi vedo una nuova possibilità per me e i miei figli“. “Vado a scuola – dice il figlio maggiore – sono contento di vivere in Italia, perché qui non c’è la guerra. Sono molto contento“.

“Ogni giorno siamo chiamati a gesti di pace – ha detto il vescovo Francesco Lambiasi – La guerra non è solo quella fatta con le armi, ma anche quella fatta con le parole, i gesti, gli atteggiamenti. Se vogliamo che le nostre città diventino laboratori di pace dobbiamo imboccare una direzione nuova”.

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