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Attualità Rimini

Gnassi al Sigismondo: "Il processo di trasformazione non si arresta"

In foto: il discorso del sindaco (@Riccardo Gallini)
il discorso del sindaco (@Riccardo Gallini)
di Redazione   
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ven 22 dic 2017 19:25 ~ ultimo agg. 23 dic 09:59
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E’ partito da una frase di Anna Frank il sindaco di Rimini Andrea Gnassi per introdurre il suo discorso nel saluto di fine anno in occasione della cerimonia del Sigismondo d’Oro nella sala Ressi del foyer del teatro Galli. Un discorso dove ha anteposto ancora una volta la necessità del cambiamento a divisioni e resistenze. Limiti ce ne sono, incidenti di percorso vanno messi in conto – ha detto il sindaco – parlando però di un cambiamento così profondo per la città tale da poter dire che “il processo di trasformazione non si arresta”. E sul teatro Galli, destinato all’inaugurazione nel 2018, ha detto “dovrà essere, e sarà, un momento di riconciliazione”.


Il testo del discorso del sindaco Gnassi:

‘Come è meraviglioso che non vi sia nessun bisogno di aspettare un singolo attimo prima di iniziare a migliorare il mondo’.

Migliorare il mondo. Senza perdere un solo secondo. Senza alibi di alcun tipo. Guardare avanti, innovare. Perché il cambiamento è l’unica costante di tutta la storia dell’umanità.

E’ il fatto che le persone cerchino di non cambiare che è innaturale. E’ innaturale il modo in cui ci aggrappiamo solo ai vecchi ricordi invece di farcene anche dei nuovi.

Viviamo un’epoca molto difficile.

Ma in tempi tragici, infinitamente più drammatici dei nostri, è quanto annota sul suo diario una tredicenne, destinata alla morte, a regalarci un soffio di saggezza che faremmo bene a tenere a mente. E’ la meraviglia del quotidiano, sono gli assalti del cuore che cambiano esistenze. Il nome di quell’adolescente è Anna Frank.

Buonasera a tutti e benvenuti. Benvenuto, Manlio Benzi. Benvenuto ‘Max’ Sirena.

Il Sigismondo d’Oro premia vite che hanno lasciato un segno nella vita degli altri. In mille modi diversi: con la cultura, con lo sport, con lo studio, con la quotidiana fatica di misurarsi con un mestiere. Sono vite di riferimento e ispirazione per la nostra comunità. Cominciano, quelle vite, da una passione, grande, immensa, ma poi non finisce tutto lì. Nella musica, nella vela come nell’esistenza, si devono fare i conti con la memoria, con il patrimonio di conoscenze, di esperienza che ci precede. Però la tradizione non può essere una colonna d’Ercole, invalicabile, un filo ad alta tensione con su scritto‘chi tocca muore’.

Cento anni fa un agronomo e genetista italiano, Nazareno Strampelli, creò una semente più resistente e produttiva delle altre. Venne espulso dalla società dei produttori dei ‘grani antichi’ per questa innovazione. Il paradosso è che oggi, a un secolo di distanza, l’invenzione eretica di Strampelli è elemento base di prodotti venduti nei ristoranti e nei negozi bio come ‘agricoltura naturale’. E’ una storia paradossale che contiene una magnifica verità: tutte le tradizioni, prima di diventare tali, sono cambiamenti che poi hanno avuto successo, consolidandosi.

Sylvain Fort, consigliere responsabile ‘dei discorsi e della memoria’ di Emmanuel Macron, spiega così la decisione del presidente francese di aggiungere il termine ‘memoria’ a un titolo consuetudinario. “L’identità non deve diventare un soggetto di divisione. Se vogliamo riconciliare i francesi attorno a un progetto comune, non possiamo assegnare la nazione a un’identità immobile’.

Come vogliamo che siano, allora, le nostre città? Vogliamo che siano comunità spaccate nel nome dell’ideologia? I tradizionalisti contro i modernisti? I benaltristi (quelli del sempre ‘ci vuole ben altro’) contro i manichei? Ci possono, anzi ci devono essere, visioni differenti.

Ma nel riconoscimento comune che le città non sono teche di un museo ma l’esito provvisorio di stratificazioni.

Al limite, questo sì, ben governate o mal governate. Ma in continuo divenire. E costantemente dentro alla Storia. I problemi per la comunità nascono quando un’area storica permane nel degrado e per decenni viene inibita alla sua fruizione da parte dei cittadini. E non quando il recupero di Porta Galliana e la realizzazione di un camminamento ciclopedonale, all’interno di un progetto di riqualificazione che valorizza il porto antico, il Ponte di Tiberio e ridà dignità e vita a un luogo sporco e vuoto, unirà il mare al centro attraverso una via ciclopedonale.

I problemi insorgono quando in nome e per conto di un dibattito di retroguardia ad almeno tre generazioni di riminesi non è stato consentito di vivere e possedere uno dei più bei teatri all’italiana del Paese. Una vergogna culturale che ha segnato simbolicamente e perfino materialmente una sorta di amputazione identitaria, venendo meno non solo un teatro ma un emblema di chi siamo, di chi siamo noi di Rimini.

Ma non è più né luogo né tempo di rancori o rimpianti.

Sappiamo cosa è successo, soprattutto sappiamo cosa si è perso. Non sono uno, 10, 100 spettacoli di lirica ma un pezzo di noi stessi. E non prendiamocela solo con un bombardamento avvenuto 73 anni fa. Ora il ‘Galli’ è rinato, cambiando progetti, superando fallimenti aziendali, persino accrescendo la sua natura. Sotto la platea sarà posto un museo archeologico multimediale; si affaccerà su una piazza d’arti e non su una rassegna di lamiere d’auto; dominerà una piazza che arriverà fino al Cinema Fulgor dedicato a Federico Fellini, abbracciando il castello e i palazzi comunali, Podestà e Arengo, che anch’essi, dopo decenni, verranno riqualificati per ospitare arte.

Nel 2018 il Galli sarà teatro, avvolto in un quadrante urbano che esso stesso sarà teatro.

Rimini si prepara a riaprire questo capitolo della sua storia e del suo domani. In queste sale, tornerà a risuonare la musica che magistralmente dirigono e interpretano maestri come Manlio Benzi.

Il teatro Galli dovrà essere, e sarà, un momento di riconciliazione. Ripeto, di riconciliazione.

Della città con un suo monumento; della comunità con la sua identità; della tradizione con i miglioramenti dovuti alla modernità. Accade tutti i giorni, sotto i nostri occhi, senza accorgersene. Finita questa cerimonia, vi invito a visitare la mostra, allestita qui accanto alla FAR, di uno dei più grandi artisti italiani, Nino Migliori. Migliori applica la più avanzata tecnologia (l’innovazione) per fotografare i dettagli del Tempio Malatestiano (la tradizione), illuminato da una candela. Nessuno, davanti a questa meravigliosa interpretazione artistica, si irrita per l’accostamento tra un capolavoro di 500 anni fa e una tecnologia contemporanea: ne gode e basta. Per questa meraviglia, grazie al sostegno di Antonio Paolucci, verrà avviato il percorso affinché possa essere ascritta a Patrimonio dell’Unesco.

Da un certo punto di vista, potremmo anche pensare che un ritardo di 70 anni sia il giusto prezzo, pagato per quella che può definirsi una conquista culturale di comunità.  Martin Luther King sosteneva che ‘Non puoi andare bene nella vita prima di lasciare andare i tuoi fallimenti passati e i tuoi dolori’.

I processi di elaborazione e di ripensamento sono tortuosi, faticosi. Ma la fatica nel farli è un elemento costitutivo e positivo perché presuppone fasi di lavoro; di ricostruzione morale e intellettuale.

Lo stesso è accaduto riguardo il consumo del suolo.  Il territorio non più oggetto infinito di sfruttamento quantitativo ma patrimonio fragile da tutelare rigenerando l’esistente. Dopo un lungo dibattito, questo è un valore e un patrimonio comune e condiviso.

La nuova direzione di marcia imboccata contro cementificazione e speculazione di Rimini, la consapevolezza che il ‘sotto’ delle fogne valga quanto il ‘sopra’ delle riqualificazioni, sono il farsi largo di un pensiero nuovo, una elaborazione a lunga gestazione che, a diversi gradi di coscienza, ha coinvolto la città intera.

Nel nuovo modello di sviluppo i pilastri di trasparenza e legalità non sono solo principi costituenti ma opportunità di sviluppo per l’intera comunità, per tutti e non per pochi.

Nel 2018 proseguirà a tappe forzate il Piano che consentirà alla città di non riversare acque reflue in mare, che si concluderà tra il 2019 e il 2020. Il Piano strategico è stato ed è straordinario strumento, per dare partecipazione, direzione e visione alla città. La scelta, perché di scelta consapevole si tratta, è stata quella.

E’ la bussola: partecipare, innovare per il futuro, ridando dignità e valore alla ricchezza storica, artistica, ambientale, al senso del limite, proponendoli come leve di sviluppo. Ogni nostro intervento non può prescindere dal chiedersi ‘cosa c’era prima lì’, quali segni, simboli, elementi identitari, in una piazza, in una via, in un quartiere. Per poi portarli, quei segni, nel presente e nel futuro. Alle Celle dove c’era un semaforo, c’è una piazza. Uno snodo della storia. La via Emilia che assiste alla nascita di via Popilia. Una mobilità più funzionale e un quartiere che in una nuova piazza ritrova la storia, che lì si è dipanata per millenni.

Pochi giorni fa il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella alla politica alla vigilia delle elezioni ha detto: ‘si moderino i toni e si usino i contenuti’. E il Corriere della Sera scriveva di una imminente campagna elettorale che sarà portata avanti ‘per conquistare chi teme l’innovazione’. Se ciò sarà, il danno più grave lo subirà il Paese. Perché in questo modo si andrà alla ricerca di un voto in più rincorrendo i mille interessi di parte, di questa e quella corporazione. Soffiando sulle paure, alimentando chiusure, dalla separazione assurda e antieconomica dell’Emilia dalla Romagna, ai muri costruiti in faccia al mondo. In un’idea malsana di protezione.

E’ questo il futuro dell’Italia? Sicuramente non sarà quello di Rimini. Proprio guardando al mondo abbiamo scommesso e vinto con la nostra Fiera, costituendo Italian Exhibition Group, il gruppo fieristico più dinamico e redditizio d’Italia. Cerchiamo connessioni con il mondo: l’anno prossimo Rimini sarà collegata a Milano e Bologna grazie all’alta velocità ferroviaria. In 44 e 108 minuti la nostra città sarà unita agli hub nazionali e internazionali in una stazione rigenerata in servizi e funzioni grazie a un investimento di 15 milioni di euro.

Nell’ultima settimana ho sottoscritto tre documenti che possiamo definire ‘storici’: il patto sulla sicurezza con il Ministro dell’Interno Marco Minniti e la Prefettura, il finanziamento di 18 milioni di euro sul ‘bando periferie’ con il presidente del consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni; la presentazione di Destinazione Romagna, unione dei territori da Ferrara a Cattolica, per concorrere nel mondo come sistema turistico finalmente unito. Tre accordi all’apparenza distanti tra loro ma tutti portatori di ricucitura di ferite, fratture, campanili, distrazioni croniche e specifiche della nostra città. Ma il filo che li unisce risiede altrove: il desiderio di Rimini di rivolgersi agli altri come ha fatto sempre nella sua storia con il suo animo libero, aperto, moderno. Invitando, gli altri, a venire ancora e ancora nei nostri luoghi.

Viviamo, certo, come il resto dei territori italiani, anche i problemi legati alla sicurezza. Il dramma degli stupri di pochi mesi fa ha visto Rimini prima colpita ma subito dopo stretta intorno alle vittime. Sono stati giorni duri e non sono mancati i tentativi di strumentalizzazione e di demonizzazione. Il problema non era Rimini. La violenza verso le donne, una mentalità arcaica che le considera oggetto da dominare, coinvolge drammaticamente, e purtroppo, l’intero nostro Paese. Ma abbiamo reagito. Per continuare ad essere, come è stato scritto, la terra promessa, l’isola bella, di milioni di italiani e europei. Un luogo che mantiene una sua quasi inspiegabile magia: un posto che tutte le volte che ti chiedono di ‘dove sei’ e dici ‘ Rimini’, continui a far sorridere gli altri che ti rispondono ‘beato te!’.

Nel nuovo Patto sulla Sicurezza e nel progetto di riqualificazione dell’area nord, premiati dallo Stato ai massimi livelli, c’è un messaggio al mondo: qui non cediamo alla paura né allo sconforto. Stiamo innovando per rifare il lungomare, per essere finalmente in armonia con chi siamo, con il nostro passato, con le nostre radici. Per non rinchiuderci in casa come pretende chi si iscrive al terrore. Il Parco del Mare contrapporrà la forza della bellezza e della riqualificazione alla blindatura con cancelli e fittoni dei nostri lungomare. E sarà ancora il cammino imboccato verso il cambiamento a esaltare la tradizione. Le acque e le fonti di Viserba, la Miramare storica, “gemma dell’Adriatico” saranno gli elementi identitari che affiancheranno ciclabili, servizi, pedonalizzazione, tecnologie.

E la memoria, la tradizione sono il tempo che ci aiuta a spiegare la complessità della vita. A interpretare il futuro in una società che si nutre di semplificazioni, di velocità e di sentenze brandite sul web. Ecco allora: la storia, la tradizione, tornano ad essere bussole antiche per una navigazione moderna.

‘Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo’.

Lo sosteneva Goethe. Se ne è parlato nell’ultima edizione del Meeting di Rimini. Chi viene dopo può essere discendente o erede. Il discendente si trova in mano qualcosa che non sa e non sente. Questa eredità può essere dilapidata, sciupata. Un erede è consapevole, invece, di essere di passaggio; sa che prima di lui ci sono state storie, vicende, fatiche, dolori, bellezza, secoli. Per questo un erede non dilapida ma protegge ciò che riceve. E lo riconsegna migliorato a chi verrà dopo di lui. Avere un passato non è la stessa cosa di sentire di avere un passato. A pochi mesi dalla riapertura del teatro, dalla riqualificazione di piazza Malatesta, dalla valorizzazione del ponte di Tiberio, siamo a ragionare di una nuova stagione dell’innovazione, della ricerca, della conoscenza, fondata sulla consapevolezza di ciò che siamo. E’ un sogno sterile? Un esercizio di stile? Crede ancora qualcuno che con la cultura non si mangia? I segnali vanno in tutt’altra direzione: anche quelli più banali e ‘invisibili’. Tra le decine di attività nate in centro sulla scorta della rinascita del teatro, ce ne sono diversi, gestiti da under 30, realizzati da giovani falegnami e artigiani riminesi. E’ lavoro, occupazione. Non sono solo servizi per i nuovi turisti che verranno. Tutto il cambiamento attivato, tutto lo slancio, ha come ossessione e scopo il creare lavoro, lavoro e opportunità.

I contesti più evoluti al mondo, dal punto di vista occupazionale e economico, sono quelli in cui più forte è l’investimento nella cultura. Oggi dopo anni, nel silenzio, Rimini si piazza al settimo posto in Italia per numero di start up innovative. Non più fanalino di coda in ricerca e innovazione. All’inizio dell’anno nuovo saranno sottoscritte le prime convenzione con i privati per i progetti di riqualificazione del lungomare. Nell’estate 2018 verrà dato il primo colpo di benna agli interventi per la rigenerazione del waterfront per ciò che riguarda la parte pubblica: niente più una corsia autostradale fronte mare ma palestre, ciclabili, verde.

Il processo di trasformazione non si arresta. Perché, questa volta, è un cambiamento che è cominciato dal chiederci ‘chi siamo’. Per poi proseguire con l’elaborazione in profondità di un’idea di città. Non ci si è fermati all’evocazione del ‘mito del cambiamento’.La cultura, l’ambiente, il mare sono i protagonisti, e il fine ultimo, di una valorizzazione che esalta la vocazione naturale. Profondità, tradizione e innovazione insieme, non in conflitto l’una con l’altra. Non sono mancati e non mancheranno gli incidenti di percorso, la tentazione di tornare indietro, le nostalgie del passato, il ‘si stava meglio una volta’, il ‘non ce la faremo o non ce la faranno mai’.

Don Oreste Benzi, un grande riminese, ricordava spesso che l’uomo non è il suo errore. Gli errori sono importanti. Per non ripeterli. Per crescere. Gli errori non definiscono mai in via esclusiva una persona, una città. Ogni amministrazione, la nostra compresa, ha avuto limiti.

Io credo sia arrivato il momento che questa città, questa comunità si riconcili con se stessa, con la propria storia, con la propria identità, con la propria bellezza. Questo è l’istante esatto per farlo.

Riprendiamo, dunque, da Anna Frank. ‘Come è meraviglioso che non vi sia nessun bisogno di aspettare un singolo attimo prima di iniziare a migliorare il mondo’. Ogni processo di cambiamento parte però dall’individuo, dallo stupore e dai sussulti del suo cuore e dal desiderio di mettersi in gioco per passione. E’ il Max Sirena bambino, figlio di imprenditori del turismo, che passa le sue giornate a guardare il mare di Rimini. E poi di questo desiderio infantile e viscerale verso l’antico mestiere della vela ne fa una professione ad altissima competenza tecnologica, diventando leader mondiale.

Mi colpisce Manlio Benzi, a cui si può guardare e pensare solo come custode della grande tradizione lirica e sinfonica mondiale, e invece interviene pubblicamente con competenza sulla salvaguardia del paesaggio del Montefeltro. Sono i sentimenti che hai dentro e non ti abbandonano mai. Gli assalti al cuore per il mare, per la musica, anche per una città. Che portano a impegnarsi.

Il fattore umano resta sempre la pietra angolare. Viviamo in un mondo ed in momento storico in cui I Comuni sono indifesi ed esposti più di ogni altro livello istituzionale e amministrativo a ondate di emozioni incontrollate, di incertezza amministrativa, mentre esplodono i bisogni. Tutto ciò determina effetti mai visti prima.

E viviamo in un tempo in cui ci sentiamo separati, fra noi e fra le cose che amiamo. Ed è proprio per questo che rivolgo ancora un appello ad amare Rimini, a non far prevalere il disincanto sulla passione, a non soffocare il cuore, a far convivere ragione e sentimento; quando si parla del luogo in cui si è nati e cresciuti. Ognuno di noi ha una responsabilità e una potenzialità in questo senso. L’Università, il Parco del Mare: sono le sfide che attendono la città nel futuro prossimo e sono sfide alle quali gli operatori, le associazioni, il tessuto sociale e economico non possono sottrarsi. Il Comune di Rimini ha come pilastro del suo bilancio e delle sue attività le azioni di protezione sociale e di contrasto alle vecchie e nuove povertà, gestendo oltre 60 milioni di euro all’anno. Ma non basta, lo vediamo. Queste risorse non esauriscono i bisogni, le necessità. Non si guardi solo a cosa fa il Palazzo: non c’è bisogno di aspettare un singolo attimo prima di iniziare a migliorare Rimini. Pochi mesi fa, durante la sua visita in Romagna, Papa Francesco ha inciso parole indelebili: “Bisogna provare ad agire di persona invece di limitarsi a osservare e criticare dal balcone l’operato degli altri”. Credo che nessuno di noi desideri una città, ‘balconata’. Una città in cui si è refrattari a sporcarsi le mani, a metterci la faccia.

Manlio Benzi e Max Sirena, così lontani, così vicini. Guardando al futuro, maneggiano la tradizione. E di questa ne offrono una versione arricchita dalle loro personalità, dalle innovazioni apportate. Amano Rimini, che è sempre il loro ‘buon ritiro’. Esercitano nei rispettivi campi un’azione didattica e educativa, insegnando soprattutto a giovani e ragazzi il valore dello studio, del lavoro, della fantasia, della fatica, dell’amore per le cose che si fanno con impegno.

Benzi e Sirena non sono solo discendenti ma veri eredi che migliorano le cose che hanno trovato e amano. In questo teatro, simbolo di una città che rinasce e chiude riappacificandosi con la propria storia sfibrata, vengono insigniti della più prestigiosa onorificenza civica, il Sigismondo d’Oro. Vogliamo ringraziarli per quanto fatto ma soprattutto per quello che faranno: uno spirito d’avventura li anima allorché si accostano a uno spartito o un’imbarcazione. Si parte. E non si ha la certezza di come si arriva. Ma della direzione di marcia, questo sì. Rimini è adesso su questa rotta certa.

Lascio adesso la parola a Manlio Benzi e a Max Sirena.

Chiudo con un enorme ringraziamento a Rimini e ai riminesi, a tutti voi, i cittadini, le imprese, le associazioni, le parti sociali ed economiche, le autorità civili e religiose, le forze dell’ordine per il lavoro e l’impegno, offerto e donato nel 2017 a favore della comunità. Un pensiero affettuoso anche verso chi ci ha lasciato.  E un abbraccio, il più forte, a coloro che, nel silenzio e senza i riflettori addosso, fanno cose straordinarie, scendendo ogni giorno per sporcarsi le mani dal balcone.

Grazie e buone feste a voi e alle vostre famiglie.