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Bilancio Acer: nuovi sgravi per assegnatari. Fabbri: sperimentiamo nuove strade

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di Redazione   
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ven 15 dic 2017 15:02
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Conti in ordine per l’Acer di Rimini il cui bilancio ha ottenuto parere positivo dalla Conferenza degli Enti con la sola astensione del comune di Riccione. Previsto, spiega nella propria relazione il presidente Riccardo Fabbri, anche un attivo di esercizio che consente di far fronte a possibili esigenze straordinarie. Nel documento, il primo dei nuovi vertici dell’Azienda Casa, per venire incontro alla fase di difficoltà che vivono tante famiglie si è deciso di adottare alcuni accorgimenti per alleggerire alcuni costi che si aggiungono a quelli dell’affitto. In particolare Acer ha deciso di cancellare tutti gli oneri e i costi di amministrazione e manutenzione addebitati agli assegnatari. Un provvedimento che dovrebbe anche consentire anche un contenimento dei livelli di morosità che si attestano mediamente sul 12%.
Nella sua relazione, Fabbri ha sottolineato la necessità di un consolidamento della rete tra Acer, comuni e servizi socio-sanitari a tutti i livelli, per poter affrontare in maniera efficace l’impatto di una domanda sociale che cresce in quantità e problematicità, ricordando alcuni interventi positivi legati a Rimini e Santarcangelo.
Il presidente ha anche auspicato, in collaborazione con i comuni, strade nuove nell’ambito delle politiche abitative come, ad esempio, la pratica della coabitazione. “Prendendoci, consapevolmente – ha detto – qualche rischio in più”.


La relazione del presidente Acer Riccardo Fabbri

Questo bilancio è il primo che rientra pienamente nella responsabilità del cda nominato dalla Conferenza degli Enti nel novembre 2016.

Per prima cosa ci è sembrato utile fornire ai soci un documento che, pur contenendo tutti gli elementi di conoscenza necessari, fosse un po’ meno ridondante di quelli che l’hanno preceduto.

Così come ci è sembrato aggiungere leggibilità suddividere in maniera netta la relazione tecnica da quella di carattere programmatico che viene predisposta dal Presidente di Acer.

E’ questo un elemento di linearità che corrisponde ad una cultura societaria che l’attuale cda ha voluto perseguire fin dall’inizio del proprio insediamento: la netta distinzione, che non significa separazione, tra la direzione tecnica dell’Azienda e quella più propriamente istituzionale e di indirizzo che compete al cda.

Non nascondo che questa attenzione puntigliosa a non confondere i ruoli discende anche dalla consapevolezza di una storia locale dove la separazione di ruoli e responsabilità ha prodotto modelli gestionali confusi, talora concausa di gravi problemi finanziari e, non da ultimo, di una difficoltà ad esercitare la pienezza dei diritti, a partire da quelli di controllo, da parte dei soci pubblici.

Voi sapete che la particolare natura societaria di Acer che non è giuridicamente una società partecipata rende teoricamente meno lineare il rapporto tra i Comuni soci e l’azienda, ma da questo punto di vista è opinione ferma dell’attuale cda considerare nei fatti pienamente proprietari, con i diritti che ne conseguono, gli Enti soci.

Distinzione dei ruoli e delle responsabilità rappresentano un elemento di chiarezza e trasparenza che rende più semplice e lineare la piena collaborazione istituzionale.

I bilanci sono composti da numeri e accompagnati da parole.

E’ luogo comune ritenere che i numeri siano inequivocabili, dati fissi, e le parole, anche quando sono scritte, possano essere volatili se non ingannatrici.

La stessa parola retorica, un tempo considerata primaria disciplina universitaria (e che oggi conta cattedre in pochissime università europee), ha assunto un significato comune perlopiù negativo.

Ma la storia recente ci ha insegnato che i numeri possono essere volatili e storpiati quanto le parole.

Con questo bilancio vorremmo accompagnare numeri esatti con parole il più possibile chiare ed esatte.

In un film che assumeva come bersaglio l’involuzione culturale della sinistra, il regista e attore Nanni Moretti pronuncia la frase : “Chi parla male pensa male”.

Le parole rappresentano qualcosa di più di uno strumento di comunicazione ma costituiscono, a tutti gli effetti, uno strumento di costruzione della realtà.

Per portare solo un esempio di qualche anno fa, l’utilizzo della definizione “cambiamento climatico” piuttosto che “riscaldamento globale” ha attenuato in pochi mesi i livelli di preoccupazione dei cittadini statunitensi sulle condizioni della biosfera e la necessità di politiche di riduzione del danno.

Ed è sempre più difficile affrontare la corruzione di significato, l’ambiguità e la vaghezza di termini che un tempo assumevano significati più netti e precisi.

Eppure accompagnare con delle parole il bilancio di un’Azienda che si occupa di un bene primario come quello della casa, rende alcune parole più rilevanti ed impegnative di altre.

La prima che ci sentiamo di proporre si chiama velocità.

E’ una parola che è per alcuni aspetti in controtendenza, richiama l’idea logorata di progresso, la rivoluzione industriale, il futurismo che ne ha cantato le lodi e ne ha ricercato il segno nella produzione pittorica e nelle stesse forme impresse alle sculture.

Negli ultimi anni abbiamo sentito decantare l’elogio della lentezza, lo stile slow ha spaziato dal cibo alla mobilità.

Ma la lentezza, insieme alla farraginosità burocratica e all’intrico normativo, è, ahinoi, una caratteristica strutturale della stessa pubblica amministrazione italiana.

Una patologia che si è aggravata e infranta su tutti i tentativi di riforma.

Un esempio plastico: siamo passati in pochi anni dal tentativo di Bassanini di stabilire il primato della responsabilità del dirigente alla nostalgia del Co.Re.Co (dichiarazioni di un sottosegretario in carica dell’attuale Governo).

E’ una regola: quando fallisce la “rivoluzione” torna l’Ancient Regime”.

Eppure i bisogni con cui chi ha la responsabilità di governo locale si misura quotidianamente, reclamano a viva voce velocità e tempestività.

A ricordarcelo, sono le liste lunghe di persone e famiglie (nel solo comune di Rimini oltre mille) che vantano il diritto di accedere ad una casa non potendo affrontare i costi del libero mercato dell’abitazione ma, ancora di più, i tanti cittadini che bussano alla porta dei servizi sociali dei nostri comuni, che cercano un sostegno dalle parrocchie e dalle diverse organizzazioni di volontariato laiche o religiose (tra le quali va reso ogni giorno merito e un ringraziamento doveroso alla Caritas che svolge una funzione davvero preziosa e insostituibile) e, non da ultimo, coloro che non sanno a chi chiedere aiuto.

Esiste una povertà sommersa, dove il bisogno si accompagna all’assenza di una rete sociale su cui poter contare e, molto spesso, alla presenza di patologie croniche, invalidanti e importanti.

Il rapporto annuale sulle povertà della Caritas diocesana mette in primo piano proprio questa dimensione, adottando il titolo “Poveri, soli e malati”.

Su questo punto è bene non essere ipocriti e interrogare i limiti della nostra azione complessiva: i poveri soli e malati, li troviamo molto spesso nelle stesse case popolari gestite da ACER.

Il diario giornaliero dei nostri ispettori ci riporta una quotidianità dove cresce il disagio, si alimentano i conflitti e diventa sempre più problematica la stessa convivenza tra i diversi nuclei familiari.

Qualche settimana fa ho ricevuto una garbatissima mail di una famiglia residente in un alloggio ERP a Rimini, in via Acquario, che rimpiangeva i tempi in cui vigeva il rispetto per le persone, per gli spazi condivisi e per la cura di quanto si era ricevuto in uso da parte del pubblico.

Una lettera che, nei fatti, fotografava la trasformazione sociale che abbiamo conosciuto in questi anni, passando da uno IACP che aveva come utenza prevalente famiglie di lavoratori a una gestione che deve fare i conti con povertà , disagio ed anche differenze culturali che si presentano in forme decisamente più complicate ed estreme.

Elementi che cozzano con la stessa idea, tanto corretta quanto ottimista, di un pubblico che mette a disposizione l’alloggio per far fronte ad un bisogno temporaneo ed in attesa di un’emancipazione da difficoltà economiche transitorie.

Un’emancipazione che rischia di non avvenire mai e che, molto spesso, pare agire al contrario, trasmettendo in via ereditaria i problemi ai propri successori.

E’ questa la faccia concreta di un mondo dove aumenta la diseguaglianza e assume i connotati di un’esclusione sociale che va oltre la stessa dimensione economica.

Per tornare al rapporto Caritas si potrebbe quasi affermare che la solitudine è in sé una malattia.

Per come funzionano le nostre società non c’è dubbio che non possedere reti familiari o sociali salde rende improbabile l’attivare qualsivoglia ascensore sociale e finisca per amplificare il disagio, per abbruttire le persone e per alimentare quella ampia gamma di patologie della psiche che caratterizzano i nostri tempi.

Una ricerca del 2003 della Duke University di Durham, Carolina del Nord, ha indagato i problemi di salute mentale tra i poveri arrivando alla conclusione che le ragioni siano sia naturali che culturali “in quanto lo stress della povertà espone a forti rischi chi è geneticamente predisposto a sviluppare una malattia o un disturbo di questo tipo”.

Ed il rapporto di ricerca conclude così: “i geni non si possono cancellare, la povertà sì”.

Ma qualunque sia la diagnosi, le soluzioni non sono davvero semplici.

Vi sono dinamiche generali rispetto alle quali si è, oggettivamente, spettatori impotenti; vi è una difficoltà da parte dell’intero sistema pubblico di reggere un urto che pare decisamente superiore rispetto alle risorse che è possibile mettere in campo.

E’ significativo, peraltro, che la Corte costituzionale abbia consolidato una dottrina giuridica che considera i diritti sociali quali “diritti finanziariamente condizionati”.

La stessa attività generosa del privato sociale, peraltro, sconta il limite delle risorse disponibili.

La nostra opinione è che due sono le chiavi più importanti da utilizzare per provare a produrre un miglioramento: la comunità e l’inclusione.

Sono queste altre due parole su cui è interessante soffermarsi.

La prima è una parola fortemente abusata: fa parte dell’ampio repertorio di ricostruzione fantastica del passato a cui ricorrono le classi dirigenti (ma non sono da meno i media e gli stessi “social”) che non riescono a fare i conti con le difficoltà del presente e la costruzione del futuro.

Quella patologia contemporanea che il da poco scomparso sociologo Zygmunt Bauman ha chiamato “retrotopia”, contrapponendo l’idea della ricostruzione di un passato felice, vagheggiato e perlopiù inesistente, come luogo privilegiato in cui rifugiarsi all’impossibilità di immaginare e costruire l’utopia di una società migliore.

Qui interessa, in primo luogo, registrare un dato oggettivo: anche in un’area sostanzialmente compatta come quella rappresentata dalla provincia di Rimini, non c’è dubbio che la dove è più robusto il reticolato delle relazioni sociali, dove è meno evidente l’anonimato (che appare la condizione moderna diffusa a cui siamo destinati), i problemi sociali e la stessa conflittualità sono più ridotti.

Ed è altrettanto oggettivo che le punte maggiori di difficoltà le riscontriamo nell’area metropolitana riminese e, in particolare, dove le opportunità urbanistiche di individuare insediamenti abitativi capaci dare risposta ai soggetti più deboli si sono concentrate in luoghi periferici e anonimi.

Qui l’isolamento tende a combinarsi con l’abbondanza di tempo vuoto e a generare conflitti che riguardano i comportamenti individuali, l’uso degli spazi comuni e, sempre più spesso, il gioco dei bambini.

Le norme, i regolamenti sottoscritti all’atto dell’assegnazione dell’alloggio, i codici di comportamento … possono davvero poco.

Ed è altrettanto velleitaria l’idea di un’azione educativa fondata sull’informazione, la dissuasione o le prediche.

La verità è che a fare la differenza è l’interiorizzazione delle norme sociali, un processo che avviene attraverso la socializzazione e che non può essere sostituito con il (necessario) rigore delle norme o con pistolotti pseudo educativi.

Non è realistico che Acer o i servizi sociali dei comuni riescano a sostituirsi a carenze che traggono origine dalla socializzazione familiare e, più complessivamente, dai valori che trasmette la nostra società.

Chi opera con coscienza in ambito scolastico tocca quotidianamente con mano la difficoltà di fare i conti con comportamenti (in primo luogo delle stesse famiglie) problematici e caratterizzati da un individualismo che disconosce sia l’autorità del ruolo educativo che la consapevolezza di calarsi in un contesto di comunità scolastica.

Se le cose stanno così, una risposta possibile risiede nella capacità di mettere in campo opportunità educative concrete, tali da tradursi in esperienze vive e di raccogliere la stessa sfida di accrescere la consapevolezza che una comunità è fatta anche di regole condivise, di rispetto per l’altro, di legami in cui occorre trovare equilibri per raggiungere i quali è necessario cedere qualcosa del proprio ego.

Le poche esperienze fino a qui promosse hanno dato risultati controversi e generatori di contraddizioni che hanno finito talora per persuadere che forse non valeva la pena proseguire.

Il laboratorio più significativo di cui disponiamo riguarda il complesso abitativo realizzato a Tomba Nuova (nome di per sé già infausto) di Rimini.

Qui, a seguito di un conflitto tra nuclei familiari degenerato fino al coinvolgimento della forza pubblica, è stata attivata la mediazione sociale e, in collaborazione con il Comune, è stato costituito un gruppo di CI.VI.VO aperto anche ai vicini residenti delle abitazioni private.

Accanto ad un processo partecipativo positivo, che si è tradotto in una cura condivisa degli spazi esterni e nella promozione di appuntamenti ricreativi e sociali, è contestualmente emerso il tentativo di utilizzare ambiti di autogestione condominiale (avallati da Acer e riguardanti, in particolare, le piccole manutenzioni ) come opportunità da parte di alcuni inquilini di acquisire una dimensione da “capetti” che impongono ad altri regole e ruoli non negoziati.

In questo stesso contesto, tuttavia, piace ricordare la raccolta di firme a favore della permanenza della famiglia sinti coinvolta, in maniera incolpevole, nel conflitto di cui sopra.

Io non credo, tuttavia, che quando si manifestano contraddizioni e problemi nei processi di coinvolgimento attivo delle famiglie ospitate nelle case popolari, la soluzione sia quella di arretrare e attenersi ad un atteggiamento freddamente normativo.

Tenacia e apertura mentale debbono viaggiare assieme ad un necessario rigore.

Quello che è certo è che di queste problematiche Acer non può che essere attore non protagonista di una progettazione sociale che venda coinvolti i comuni e i servizi socio-sanitari a tutti i livelli.

La parola inclusione, in questa dimensione, assume un doppio significato: come inclusione di persone che spesso sono collocate ai margini della società; come messa in rete effettiva delle politiche e di tutti i soggetti istituzionali coinvolti.

L’abitare si connota come aspetto imprescindibile per l’inclusione sociale e come fattore complementare alle politiche di contrasto alla povertà e di sostegno alla fragilità, avendo, tra l’altro, funzione di sostegno concreto alla realizzazione di interventi sociali e sanitari fuori dai contesti istituzionalizzati” (Piano socio sanitario 2017, Regione Emilia Romagna).

Ancora: “Il tema del disagio abitativo va pertanto affrontato in maniera organica e strutturata al di là di logiche puramente emergenziali, e, per quanto attiene lo specifico delle persone fragili, inserito nel più ampio paradigma della promozione dell’autonomia della persona. L’intervento pubblico, da questo punto di vista, non può che configurarsi a termine e sussidiario rispetto all’iniziativa degli individui” (Piano socio sanitario 2017, Regione Emilia Romagna).

La promozione dell’autonomia personale, quindi, come obiettivo che richiede l’attivazione sinergica delle risorse pubbliche e che ha come inevitabile pilastro la necessità di “metterci del proprio”.

Va però detto che la cosiddetta rete dei servizi non sempre è tale e, comprensibilmente, fatica a reggere l’impatto di una domanda sociale che cresce in quantità e problematicità.

Lo specchio di queste difficoltà lo misuriamo, in particolare, con l’isolamento delle persone che soffrono di patologie psichiche alle quali, con tutta evidenza, non è sufficiente offrire un tetto sopra la testa.

Anche in questo caso, tuttavia, è utile ricordare le situazioni in cui l’impegno della rete ha prodotto risultati importanti.

Tra i tanti, fa piacere ricordare l’esempio del Comune di Santarcangelo che ha affrontato il disagio di quattro clochard che dormivano alla stazione del paese attivando un progetto di cohousing (coabitazione)e creando condizioni che oggi consentono alle persone interessate di fare fronte all’affitto ed alle spese dell’alloggio.

Ma quello che più di altro preme sottolineare è che le considerazioni fino a qui sviluppate, sottendono una scelta strategica e di profilo dell’azienda che il cda di Acer intende perseguire con grande nettezza: quella di integrare il più possibile le proprie peculiarità con quelle dei comuni soci.

Intendiamo dire che le nostre competenze specialistiche e la nostra specificità societaria vanno messe al servizio dei comuni perseguendo la massima integrazione con le politiche sociali.

Non è un’affermazione scontata.

Utilizziamo come spunto di riflessione una tesi di dottorato in Sociologia e Scienze Sociali Applicate, Università Sapienza di Roma, a cura della dott.ssa Teresa Baldi.

E’ un rarissimo e accurato lavoro di ricerca, focalizzato sull’area di Firenze, che analizza il tema dell’incidenza delle disuguaglianze nella ricerca di autonomia da parte delle giovani generazioni.

Qui viene evidenziato come nella realtà fiorentina stia affermandosi una separazione sempre più netta tra sociale ed abitativo e si rileva come questo sia “indicativo di un approccio al problema dell’abitazione che veicola una certa rappresentazione dei problemi della persona”.

E come questo sia l’esito di “un processo che in corso che ha radici lontane , ovvero quello del progressivo svuotamento delle politiche abitative del loro contenuto sociale. Questa stessa prospettiva infatti tende a contingentare il sociale ai casi di marginalità estrema, ai quali si preferisce fornire soluzioni ad hoc, piuttosto che provare ad immettere quei casi nel circuito di politiche abitative e sociali di più ampio raggio”.

Frammentare politiche e disperdere le risorse, del resto, pare appartenere ad una “tradizione italiana” che rischia di generare sprechi, inefficacia e per privilegiare il tamponare le situazioni piuttosto che favorire la formazione di un contesto evolutivo.

E, come si è già ricordato, talora l’integrazione delle politiche rischia di essere più formale che effettivo.

In questo senso parlare di giovani è emblematico.

Ed anche in questo caso l’uso generico della parola rischia di generare equivoci e non tanto e non solo perché nel tempo si sono quantomeno scombinati, fino ad essere inutilizzabili come riferimento, quelli che si ritenevano i riti di passaggio alla condizione adulta.

Proprio lo studio citato di Teresa Baldi ci ricorda, infatti, un dato tanto scontato quanto trascurato: non ci riferiamo ad una galassia sociale uniforme ma ad un’epoca della vita in cui le condizioni sociali di partenza sono spesso predittive delle possibilità future.

I giovani sono il vero rimosso, al di là delle evocazioni verbali, delle nostre società.

Ed è una rimozione politica che viaggia assieme, e non casualmente, alla sfiducia verso il futuro e verso il progresso.

Intere generazioni sono, nei fatti, condannate alla navigazione a vista e nell’impossibilità di dare basi minimamente definite alle proprie traiettorie di vita.

Il dato diventa macroscopico se parliamo di politiche abitative.

Per giovani, single o coppie che siano, le possibilità di accedere, attraverso le graduatorie pubbliche, ad un alloggio Erp o Ers sono oggi vicine allo zero.

L’eccezione positiva, per quanto inevitabilmente non risolutiva, è rappresentata dalla linea di finanziamento attivata dalla Regione Emilia Romagna per sostenere l’acquisto della prima casa alle giovani coppie.

Un programma che, dal 2009 ad oggi, ha consentito di finanziare l’acquisto di 2160 alloggi.

Ma non c’è dubbio che la spesa o l’investimento necessari per iniziare a costruirsi un percorso di vita autonoma, uscendo dalla casa genitoriale, rappresenti uno scoglio che per la grande parte delle nuove generazioni rischia di essere insormontabile.

Riuscire ad individuare soluzioni che consentano di sottrarre all’incubo di una vita precaria ragazzi e ragazze che, nella gran parte dei casi, vivono l’incertezza esistenziale del dover fare i conti con un lavoro precario o intermittente o assente, dovrebbe rappresentare un’assoluta priorità a tutti i livelli di governo.

La possibilità di fare in modo che la spesa per un affitto sostenibile si trasformi nell’acquisto differito di un alloggio, è certamente una di queste.

In assenza di politiche nazionali che rimettano in moto l’edilizia pubblica, è maturata la sensibilità di diversi enti locali del nostro territorio nel ricercare la possibilità di impiegare in questa direzione aree destinate dai propri strumenti urbanistici all’edilizia sociale.

In questi ultimi mesi sono stati aperti ragionamenti concreti con i Comuni di Cattolica, Morciano, Rimini e Santarcangelo.

Da parte nostra è massima la disponibilità a collaborare in termini di progettazione, verifica di fattibilità e a fungere da facilitatore e struttura di servizio per gli enti interessati.

Rimane, tuttavia, avventuroso mettere in campo soluzioni di portata adeguata in un contesto (pressoché unico in Europa) in cui è assente una politica di finanziamento pubblico destinato stabilmente ad incrementare il patrimonio di edilizia sociale.

Eurostat, l’istituto statistico dell’Unione Europea, colloca l’Italia al 27° posto su 27 per quanto riguarda la spesa per l’edilizia sociale e per la lotta all’esclusione.

Questo, peraltro, contrasta con la deliberazione della stessa Commissione Europea che nell’emanare il 26 aprile 2017 il “Pilastro dei diritti sociali in Europa” (nelle intenzioni, una bussola condivisa per sostenere il buon funzionamento e l’equità dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale) afferma:

Le persone in stato di bisogno e prive di risorse sufficienti hanno diritto di avere accesso ad alloggi sociali o all’assistenza abitativa di qualità; le persone vulnerabili hanno diritto ad un’assistenza ed a una protezione adeguate contro lo sfratto; ai senzatetto sono forniti alloggi e servizi adeguati al fine di promuoverne l’inclusione sociale”.

Ma contrasta ancor di più con l’evidenza che un investimento in edilizia popolare, orientato al recupero di un patrimonio edilizio fortemente invecchiato e deteriorato come quello italiano, garantirebbe la possibilità di tenere assieme obiettivi economici (dando fiato all’industria a più alto indotto occupazionale quale quella delle costruzioni e del suo indotto), sociali e ambientali.

Manca, in definitiva, una strategia che consenta di affrontare in una chiave evolutiva e lungimirante, non puramente assistenziale, il tema della riduzione del disagio sociale.

Rigenerazione urbana, risanamento sociale e sviluppo economico possono e debbono convivere.

La riprova indiretta di una difficoltà del nostro Paese nell’avviare riforme efficaci nel ridurre strutturalmente i livelli di povertà, sta nella stessa adozione recente da parte del Governo di una misura condivisibile quale quella rappresentata dall’introduzione del cosiddetto reddito d’inclusione.

Un intervento disegnato sul riconoscimento di un contributo economico accompagnato a politiche attive di promozione sociale, queste ultime, tuttavia, affidate ad una rete territoriale non messa nelle condizioni di poter svolgere con credibilità ed efficienza i compiti assegnati dall’alto.

La stessa dinamica che ha svilito il progetto di alternanza scuola e lavoro che in altri contesti europei (la Germania in primo luogo) rappresenta un veicolo privilegiato di ingresso nel mondo del lavoro.

Ma se questo è parte del contesto problematico in cui calare l’azione di Acer e dei Comuni, si tratta di capire come coprire al meglio le responsabilità che ci competono ed operare per produrre dei passi in avanti.

Alcuni non c’è dubbio che siano stati compiuti e credo che il merito sia principalmente da attribuire al consolidarsi, mai scontato, di una cultura comune nell’affrontare le politiche abitative e le stesse emergenze sociali.

La Conferenza degli Enti di oggi ha il compito di dare attuazione ad alcuni di questi avanzamenti condivisi e tradurli in scelte che non sono ordinarie.

La base di partenza è avere la chiarezza che ci porta a dire che il bilancio di Acer è, da molti punti di vista, un bilancio che va costruito è interpretato a tre livelli: fotografa l’andamento gestionale, le scelte compiute e la tenuta, anche in prospettiva, del conto economico dell’Azienda; fotografa i bilanci relativi ai singoli Comuni soci a partire dal patrimonio conferito e dal monte canoni disponibile per la necessaria manutenzione degli alloggi; è, in senso letterale e non accademico, un bilancio sociale che tiene conto della capacità o meno di fare fronte ad una componente essenziale del welfare locale.

E sono tre livelli che debbono stare assieme: dobbiamo garantire il buon andamento della società di gestione; deve essere il più possibile adeguata la tenuta dei singoli bilanci comunali; dobbiamo garantire la risposta più efficiente possibile (pur nel quadro di risorse scarse richiamato) alle esigenze abitative del nostro territorio.

Una rete territoriale degna di questo nome non può che partire da questi presupposti.

La sfida che oggi raccogliamo nasce dal lavoro di confronto e riflessione portato avanti dal Tavolo territoriale di concertazione delle politiche abitative.

E’ la consapevolezza della fase di difficoltà che vivono oggi tante famiglie e persone che ha spinto a percorrere una strada che tenta di alleggerire, per quanto possibile, alcuni costi che finiscono per aggiungersi a quelli necessari per pagare l’affitto dell’alloggio.

Tema reso ancora più urgente a seguito dell’entrata in vigore delle nuove modalità di calcolo e applicazione dei canoni Erp in attuazione della delibera della Giunta Regionale del 13 giugno 2016 e del 31/05/2017.

Una legge che abbiamo condiviso, in primo luogo per i principi di equità sociale a cui si ispira, ma che non poteva che produrre risultati modesti (per quanto giusti) nel favorire un turn over degli inquilini dell’Erp.

Nella fase di confronto con la Regione è stata riconosciuta la necessaria flessibilità dei parametri territoriali (indispensabile per rispondere alle reali peculiarità del nostro contesto ) e, tuttavia, non è mancato il determinarsi di situazioni anomale in cui si verifica un balzo di livello del canone determinato da variazioni modeste dei requisiti economici e patrimoniali della propria attestazione Isee.

Cancellare tutti gli oneri ed i costi di amministrazione e manutenzione addebitati agli assegnatari, con riguardo alle specifiche situazioni gestionali e contrattuali, produce un alleggerimento dei costi sugli inquilini e, per altri versi, aiuta a contenere la morosità che, pur rimanendo entro soglie ancora accettabili (è, ad oggi, pari al 12%), permane uno dei fattori con i quali dobbiamo certamente continuare a fare i conti nei tempi a venire.

Peraltro va sottolineato come le scelte compiute recentemente dai comuni di Morciano e Riccione contribuiscano a determinare una situazione di sostanziale omogeneità a livello provinciale circa l’importo dei canoni.

La necessità di riequilibrare il bilancio di Acer a seguito della riduzione significativa degli introiti di carattere amministrativo (che, peraltro, implica un costo del lavoro non marginale a carico dell’Azienda) viene garantita recuperando gli importi determinati dalla delibera della Giunta regionale n. 391 del 2002 (52 euro ad alloggio per i parametri di Acer Rimini, contro i 47 euro fissati dalla Concessione in vigore).

Per questa via è possibile migliorare le prestazioni sociali e rendere più efficiente l’azienda Acer (nel 2018, in particolare, è prevista l’attivazione del servizio di reperibilità durante i giorni festivi e l’avvio di uno sforzo per la digitalizzazione dei dati che semplifica la stessa attività di controllo dei comuni soci) salvaguardando gli equilibri di bilancio.

Contestualmente si è condivisa la necessità di rivisitare, da parte del Tavolo territoriale di concertazione delle politiche abitative, l’insieme dei regolamenti che riguardano l’Erp e l’Ers con particolare riferimento al regolamento d’uso degli alloggi e delle parti comuni e delle relative sanzioni, al regolamento di ripartizione degli oneri manutentivi tra Comune/Ente gestore ed assegnatari, nonché al regolamento di assegnazione e gestione degli alloggi di Ers.

Si è determinato così un contesto di profonda innovazione che ci ha portati a condividere con il Tavolo territoriale di concertazione delle politiche abitative, l’opportunità di anticipare il rinnovo della Concessione che è in scadenza il dicembre 2018.

I conti di Acer sono in ordine, a partire dalla previsione di un attivo di esercizio che consente di far fronte a possibili esigenze straordinarie.

E, tuttavia, è un bilancio che richiede una costante prudenza gestionale nella consapevolezza, per portare un unico esempio, che la struttura organizzativa (la cui incidenza economica aumenta a seguito del rinnovo contrattuale che verrà chiuso formalmente in sede nazionale entro questo mese) non consente di immaginare ampliamenti che pur si renderebbero necessari a seguito della stessa aumentata complessità del lavoro a cui siamo chiamati.

L’invecchiamento progressivo di una parte non marginale del patrimonio edilizio Erp reclama un’attenzione crescente all’attività di manutenzione; la gestione della conflittualità e delle problematiche di disagio che caratterizzano in maniera ben più rilevante rispetto al passato i nuclei assegnatari richiederebbero un numero più adeguato di ispettori dedicati ai controlli; Acer Rimini, a differenza di quasi tutte le altre, ha scelto di non dotarsi nella propria pianta organica della funzione di mediazione sociale; e così via.

Ma, va pur detto, che tutti i parametri disponibili ci dicono di una struttura che svolge con buona efficienza i propri compiti.

Io qui, più che citare customers satisfaction o certificazione di qualità, vorrei evidenziare un parametro di successo raro e che appartiene all’intero sistema territoriale: noi, ad oggi, non abbiamo in essere alcuna occupazione abusiva.

Per quanto ci riguarda la legalità è una componente indissolubile da equità e rispetto dei diritti dei più deboli.

Ribadiamo che chi nasconde redditi o ricchezze per ottenere benefici pubblici non dovuti o chi utilizza scorciatoie di altro tipo occupando abusivamente un alloggio nel diritto di altri, non è un furbo, è tecnicamente e moralmente un criminale.

Per questo dispiace rilevare come, a fronte di un’operazione condotta dalla Polizia di Stato insieme alla Procura e in sinergia con Comune di Rimini ed Acer per quanto di competenza, che ha portato a liberare in tempi rapidi l’occupazione abusiva di un alloggio in via Acquario da parte di un soggetto di comprovata caratura criminale, la richiesta di risarcimento avanzata da Acer per i danni arrecati al patrimonio pubblico (debitamente documentati) sia stata respinta dal Tribunale di Rimini per “tenuità del danno”.

E’ il non considerare il patrimonio pubblico in tutte le sue componenti per quello che è – un bene comune (nel caso dell’erp, ceduto temporaneamente ad un beneficiario che ha il dovere di averne cura)- a rendere più debole la coscienza civile e, in ultima istanza, a peggiorare la qualità dell’acqua in cui tutti noi nuotiamo.

Se consideriamo il secondo stadio del bilancio presentato, quello rappresentato dal monte canoni dei Comuni, la situazione non è pienamente omogenea.

Pesa, in alcuni casi, la necessità di fare fronte a esigenze sociali urgenti (attraverso l’individuazione di alloggi per l’emergenza abitativa) utilizzando questo canale di finanziamento.

I problemi riguardano principalmente il comune di Cattolica che sconta scelte del passato ed il comune di Riccione.

La stessa modalità fin qui seguita di gestire l’emergenza abitativa, di fatto attraverso scelte unilaterali dei Comuni che delegavano ad Acer il reperimento di alloggi, ha generato situazioni caotiche e distorte che è necessario superare.

Per portare un esempio concreto, trasferire unilateralmente un nucleo con minori in un piccolo comune, significa piazzare una potenziale bomba ad orologeria per il bilancio di quell’ente una volta che emergano possibili criticità di quella famiglia.

Già da oggi la procedura che si seguirà è quella di attivare collocazioni extraterritoriali solo previa intesa formalizzata tra i due comuni interessati.

Una modalità di buon senso che non nega solidarietà e collaborazioni tra comuni ma la subordina alla reciproca trasparenza e consapevolezza.

Ma la questione che permane irrisolta ed è tanto illogica quanto disturbante, riguarda il patrimonio Erp collocato nei sette comuni dell’Alta Valmarecchia.

Fin da subito questo CDA si è impegnato per ottenere dalla Regione Emilia Romagna l’attivarsi per la richiesta di un parere formale da parte del Consiglio di Stato.

Il parere è arrivato il 15 marzo e credo che non sia una forzatura polemica collocare idealmente gli estensori, ad honorem, nel girone dantesco degli ignavi.

Sostanzialmente il Consiglio di Stato ha interpretato la vicenda come conflitto tra due regioni aventi due ordinamenti diversi e non, come del tutto logico, come mancata attuazione di una legge dello Stato che prevedeva con il passaggio ad altra regione dei sette comuni il contestuale conferimento di infrastrutture, beni e servizi pubblici.

Il Consiglio di Stato, poi, conclude il proprio parere interlocutorio (o, per meglio dire, non parere) invitando la Regione Marche ad avanzare le proprie controdeduzioni che, per quanto risulta ad oggi, non sono mai state inviate.

La vicenda è resa ancora più assurda dall’evidenza che si tratta di alloggi realizzati non con risorse della Regione Marche ma con fondi dello Stato.

Di più, in presenza di due ordinamenti regionali radicalmente diversi, si genera una profonda deformazione del processo democratico: i sette comuni, infatti, dispongono dei pieni poteri di socio pubblico presso la Conferenza degli Enti e, in linea con la Concessione sottoscritta, dispongono di ampi poteri di controllo rispetto ad Acer; nessun potere è, invece, nella loro disponibilità presso la Regione Marche che gestisce il patrimonio delle case popolari attraverso la società unica Erap Marche.

Quindi, un potere pieno a cui corrisponde un interesse legittimo marginale (essendo la gran parte del patrimonio nella proprietà della Regione Marche) e un potere nullo laddove è prevalente l’interesse ad esercitarlo.

A rendere ancora più grottesca la situazione è constatare come in seguito alla rottura della convenzione che attribuiva ad Acer la gestione del patrimonio per conto di Erap ( peraltro sulla base di un accordo capestro che impegnava Acer a farsi carico anche della manutenzione straordinaria!), rottura concordata d’intesa con i sette comuni dell’Alta Valmarecchia, la società marchigiana deve gestire i canoni relativi agli immobili in conformità alla legislazione dell’Emilia Romagna.

Il tutto in un contesto che consente, in base alla propria legislazione regionale, ad Erap Marche di mettere in vendita liberamente il patrimonio erp.

E’ evidente come il rischio, più che concreto, sia un depauperamento pericoloso della disponibilità di case popolari nel territorio dell’Alta Valmarecchia e come questo, oltre ad essere di per sé iniquo, contrasti con l’impegno assunto dalla nostra Regione a garantire per gli abitanti di quel territorio la possibilità di condividere gli standard di infrastrutture e servizi dell’Emilia Romagna.

E’ per noi una ferita aperta, per sanare la quale abbiamo esperito tutte le soluzioni possibili (coinvolgimento della Prefettura, dei parlamentari, della Giunta regionale ecc.), tuttavia, in queste settimane abbiamo ottenuto la disponibilità de Prof. Vincenzo Cerulli Irelli, uno dei massimi esperti di diritto amministrativo, per sostenere nuovamente le nostre evidenti ragioni di fronte al Consiglio di Stato.

Infine, alcuni obiettivi su cui abbiamo lavorato in questo anno e su cui intendiamo proseguire con pazienza ma anche con grande convinzione.

In un contesto in cui le risorse per nuove costruzioni non si vedono all’orizzonte e i finanziamenti regionali disponibili (peraltro benvenuti) sono destinati all’efficientamento energetico, ci eravamo prefissi di esplorare la possibilità di accedere a finanziamenti a bando.

L’obiettivo è stato raggiunto: un progetto presentato sull’asse IV del POR-FESR, relativo all’edificio di via Bellini a Bellaria Igea Marina, è stato finanziato; così come la partecipazione al progetto europeo (Interreg -Med) Sherpa di cui capofila è il Dipartimento del territorio e sostenibilità del Governo della Catalogna apre la possibilità di accedere a finanziamenti per la ristrutturazione di edifici “energivori”.

E preme evidenziare come questi primi risultati siano stati ottenuti senza ricorrere a consulenze esterne e contando sull’impegno e la valorizzazione professionale delle risorse umane di cui l’azienda Acer dispone.

Per quanto riguarda la possibilità di espandere il raggio della nostra attività, senza perdere di vista la funzione primaria di Acer, si sta consolidando la relazione con l’Asp Valloni Marecchia con la quale è in via di definizione la stipula di una convenzione per l’affidamento di prestazioni tecniche ad Acer.

Acer, poi, lo scorso mese di novembre, ha partecipato quale partner del Comune di Rimini, unitamente all’Associazione Rompi il Silenzio ed all’Asp Valloni Marecchia, al progetto regionale “La Casa che Vorrei” per l’individuazione delle donne vittime di violenza pronte ad affrontare un percorso di autonomia sociale ed abitativa.

Un impegno particolare, poi, del CDA, del Collegio sindacale e dell’Azienda, è stato rivolto al miglioramento complessivo delle procedure di tutela della società in riferimento alle discipline che riguardano l’anticorruzione, la trasparenza e a quella definita nel “Codice di responsabilità degli Enti” (Dlgs 231/2001).

Per meglio rispondere ai principi declinati nel Dlgs 231/2001, Acer ha provveduto ad adottare un modello organizzativo adeguato.

Analoga attenzione è stata prestata all’implementazione di procedure più pertinenti in relazione all’assegnazione dei progetti di produttività ai dipendenti e su cui è stato sottoscritto l’accordo con i sindacati confederali.

Merita, poi, un accenno il sostegno che come Acer Rimini, assieme al Presidente del Tavolo Territoriale di Concertazione delle Politiche Abitative Gloria Lisi, abbiamo formalizzato alla proposta di emendamento di Federabitazione Emilia – Romagna al Progetto di legge “Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio” : la nuova legge regionale sull’urbanistica, in via d’approvazione in questi giorni.

L’emendamento all’art. 34 comma3 della Legge , che ci auguriamo approvato (in commissione è stato votato all’unanimità), intende recuperare un principio assente nel testo in discussione e riguarda il ripristino dello standard solidaristico in direzione dell’edilizia residenziale sociale (attraverso la cessione gratuita di aree o immobili da parte dei proprietari) da applicare negli ambiti di trasformazione commisurandolo al valore della stessa.

Si tratta, allo stato attuale delle cose, di salvaguardare una delle poche possibilità capaci di consentire l’ampliamento della dotazione di edilizia residenziale sociale.

Abbiamo utilizzato quattro parole-chiave per declinare i riferimenti programmatici che debbono caratterizzare un impegno comune che Acer può condurre assieme ai comuni soci: velocità come necessità posta dall’urgenza dei problemi a cui dobbiamo cercare di dare risposta ; comunità e inclusione come obiettivi condivisi a cui tendere ma anche come modalità di operare da parte della rete dei servizi; giovani come consapevolezza che continuare a non dare alcuna risposta a chi fatica perfino ad affacciarsi all’idea di vita adulta che abbiamo fino a qui conosciuto, significa mettere una pietra tombale sul futuro: di tutti.

Ci permettiamo di usarne un’altra, questa in negativo, per provare a sintetizzare il senso della difficile missione che ci vede impegnati a produrre miglioramenti nella sfera del sociale.

Il riferimento è ad un termine anglofono che sta diventando egemone : comfort zone.

E’ una definizione che nasce dalla psicologia comportamentale e corrisponde, grosso modo, ad uno spazio mentale rassicurante, capace di dare sicurezza, una sensazione di agio e di controllo di rischi e imprevisti.

Il termine poi si è trasferito in svariati ambiti: dallo sport allo stile di vita; dai prodotti che riguardano il benessere della persona ai locali d’intrattenimento pubblico.

E’ una delle tante risposte placebo alle insicurezze che dominano il nostro tempo.

Ecco: io credo che per quanto riguarda le politiche pubbliche e la nostra attività in quell’area di frontiera della società di cui oggi giocoforza parliamo, lo sforzo che dobbiamo compiere è quello di provare ad uscire dalla nostra comfort zone.

Abbiamo risorse scarse e problemi grandi da affrontare.

Il rischio, anche legittimo, è diventare schiavi di limiti oggettivi e di una routine dignitosissima che “arriva dove può”.

Mi chiedo se, invece, unendo le forze non si possa provare a sperimentare strade nuove prendendoci, consapevolmente, qualche rischio in più.

Penso, per portare un solo esempio, alla pratica della coabitazione sulla quale abbiamo sperimentato pochissimo e che, invece, può essere una soluzione capace di dare risposta a problematiche emergenti (anziani soli, giovani con lavoro precario ecc.).

E penso, ancor di più, all’utilità di un momento di condivisione libera e comune di pensiero in cui mettere insieme specialismi, esperienze istituzionali, esperienze del privato sociale e verificare la possibilità di praticare anche nuove vie a problemi con i quali non possiamo illuderci di non dover convivere ancora per un lungo tempo.