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Cronaca Rimini

Nuove accuse per Butungu. Gnassi: vergogna per le dichiarazioni a Matrix

In foto: Il padre dei due ragazzi marocchini intervistato a Matrix
Il padre dei due ragazzi marocchini intervistato a Matrix
di Simona Mulazzani   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
mer 13 set 2017 10:19 ~ ultimo agg. 14 set 12:31
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Non solo i due stupri e l’aggressione al fidanzato della ragazza polacca,  ma anche una rapina ai danni di due turisti bolognesi e un tentato stupro due settimane prima della terribile notte di Miramare. Sono i nuovi possibili capi di accusa che potrebbero essere contestati a Guerlin Butungu, il congolese accusato di essere a capo del branco che con tanta violenza colpì nella notte tra 25 e 26 agosto.

Quella stessa sera potrebbe essere stato sempre il gruppo l’autore di una rapina ai danni di due giovani turisti bolognesi, di 19 e 20 anni. Il telefonino sottratto al ragazzo è stato trovato a Butungu nel momento dell’arresto. La tentata violenza sessuale risale invece al 12 agosto, sempre a Miramare, e vede come vittima una giovane di Legnano. La ragazza era insieme al fidanzato, quando venne avvicinata da alcuni ragazzi. Uno di loro, forse Butungu, mentre gli altri rapinavano il ragazzo la aveva portata in un posto appartato, ma lei era riuscita a divincolarsi e attirare con le urla l’attenzione dei passanti, facendo fuggire l’uomo. I due minori marocchini, durante gli interrogatori, hanno affermano che la notte del 12 agosto non era con lui.

E ieri sera a Matrix sono andate in onda un’intervista al papà dei due ragazzi marocchini, nella loro abitazione, una casa popolare dove si trova agli arresti domiciliari e alla transessuale violentata dal branco.

Il padre ha mostrato all’inviata del programma Mediaset la stanza dei due figli. Il padre, saldatore, si trova in Italia da 30 anni e racconta di star scontando una pena per essere rientrato illegalmente dall’Italia dal Marocco e per un cumulo di altre pene. “Spero che i miei figli escano bene, puliti dal carcere, la compagnia non ci sarà più, che vada avanti la vita. Sono giovani ancora. Mi dispiace per la ragazza polacca, per la transessuale: è una cosa brutta, non si fa, ma è capitata, adesso sono ragazzini, due tre anni escono, vanno a lavorare, cambiano la vita, fanno figli, fanno la loro famiglia“.

Quelle frasi – commenta il sindaco di Rimini Andrea Gnassioltre a mettere in rilievo un preoccupante contesto famigliare, culturale, morale, sono inaccettabili innanzitutto per le tre persone oggetto di violenza bestiale e quindi per la comunità riminese, anch’essa in qualche modo costretta nella parte di vittima davanti ai fatti di quella notte agghiacciante. Sentire le parole del  padre significa non aver compreso per nulla la gravità e l’orrore delle violenze. Un fatto del genere non ‘capita’, non si risolve con un paio d’anni di soggiorno in carcere e poi si esce e si torna a fare la propria vita”.

il servizio di Matrix con l’intervista al padre dei due minorenni

Al processo – ha raccontato la transessuale alle telecamere – sarò in aula. Voglio guardarli in faccia tutti e quattro. Ho fatto tutto quello che potevo per aiutare la polizia. Ora aspetterò la sentenza e la pena più alta. Mi dispiace per i ragazzini perché sono stati manipolati dal più grande, il congolese. Finiscono in cella così piccoli, che brutto modo per iniziare una vita

il servizio di Matrix con l’intervista alla transessuale

 


La dichiarazione del sindaco in merito all’intervista rilasciata dal padre dei due minori marocchini.

“E’ molto difficile rimanere imperturbabili, ascoltando le parole del padre dei due minorenni arrestati per gli stupri del 26 agosto, riportate ieri sera dalla trasmissione televisiva ‘Matrix’. Quelle frasi, oltre a mettere in rilievo un preoccupante contesto famigliare, culturale, morale, sono inaccettabili innanzitutto per le tre persone oggetto di violenza bestiale e quindi per la comunità riminese, anch’essa in qualche modo costretta nella parte di vittima davanti ai fatti di quella notte agghiacciante.

Sentire dire da quel padre “…spiace per la ragazza polacca e per il trans, è una cosa brutta che non si fa, ma è capitata…spero che (i miei figli) escano bene, puliti, senza più quelle compagnie, perché sono giovani, sono ragazzini…due anni, tre, escano per lavorare, fare le loro vite, una famiglia…’ significa non aver compreso per nulla la gravità e l’orrore delle violenze. Un fatto del genere non ‘capita’, non si risolve con un paio d’anni di soggiorno in carcere e poi si esce e si torna a fare la propria vita. Da un punto di vista morale, tutto questo deve lasciare un segno profondo, non solo purtroppo nelle vittime ma soprattutto nei disumani carnefici, qualunque sia la loro età anagrafica. Da un punto di vista giuridico, questi accadimenti determinano responsabilità precise, rigorose, ferme che non possono e non devono risolversi in 24 o 36 mesi ‘lontani da casa’.

Avevo già, nei giorni scorsi, sottolineato le parole equivoche di quel padre, all’indomani dell’arresto dei due figli, quando dichiarò ‘passi se si ruba un telefonino ma la violenza sulle donne no’. Le parole fanno emergere un quadro e un contesto in cui, quantomeno, risalta una evidente incapacità di comprendere non tanto e non solo le conseguenze dei propri atti ma principalmente delle leggi, delle regole, dei doveri che regolano la convivenza tra persone. E il fatto che quella famiglia fosse comunque da anni seguita e sostenuta nel suo processo d’integrazione da parte di strutture territoriali lascia spazio ad ancora più domande. Qualunque sia la provenienza o il credo religioso, chiunque ambisca a fare parte di questo Paese è tenuto a rispettarne leggi e doveri.

Le parole di quel genitore a ‘Matrix’ rischiano di portare ancora più acqua a un mulino che ormai macina a pieno regime diffidenza, paura, rifiuto, strumentalizzazioni di ogni tipo. La responsabilità di ciò che si dice vale quanto quello che si fa in uno Stato di diritto come il nostro, governato da Costituzioni e leggi che producono effetti, conseguenze, responsabilità; il non capirlo, il non comprenderlo, dimostra quanto si è lontani prima di tutto dall’empatia con quelle persone cui è stata brutalmente rovinata la vita e verso le quali non è stata ancora pronunciata l’unica parola necessaria: perdono.

Il Comune di Rimini è oggi ancora più fermo e deciso, costituendosi anche parte civile contro i quattro criminali, nel chiedere la giusta pena, che non può essere che quella massima e senza alcuna attenuante stabilita dalla legge e dal codice. La Giustizia italiana sicuramente terrà conto della gravità, della ferocia, della totale, cieca, sanguinaria prevaricazione nei confronti di tre persone”.