Indietro
menu
Rimini Social

La disabilità di tutti

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 3 minuti
sab 3 dic 2016 09:19 ~ ultimo agg. 5 dic 10:04
Facebook Whatsapp Telegram Twitter
Print Friendly, PDF & Email
Tempo di lettura 3 min
Facebook Twitter
Print Friendly, PDF & Email

La disabilità è una condizione che riguarda tutti, perché prima o poi tutti ci imbattiamo in una menomazione che ci limita o che limita qualcuno a noi vicino, mettendoci nella posizione di persona che si prende cura. Non solo, ma se la pensiamo in termini di diversità di funzionamento tra le persone, è una condizione che riguarda tutto il genere umano. Nonostante ciò spesso nella nostra esperienza quotidiana ci difendiamo dalla paura della disabilità attraverso una dissociazione che attuiamo nei confronti delle persone che presentano un deficit. Da un lato riconosciamo la dimensione dell’assistenza all’individuo, dall’altro non ci accorgiamo dell’esclusione che mettiamo in atto in una società paradossalmente sempre più accessibile grazie alle tecnologie.

 

Si tratta di una tendenza difensiva che in circostanze normali permettere di non farsi sopraffare di fronte a vissuti troppo intensi e che non si riescono a fronteggiare diversamente, ma che diventa patologica se rimane l’unica chiave di lettura della realtà. In questo modo la disabilità, spesso anche disgiunta dalla persona in una sorta di duplice dissociazione, o viene curata e assistita secondo un modello di impostazione medica o viene messa da parte perché non desiderabile secondo i canoni della nostra cultura e compatita in senso pietistico, assicurandoci così la distanza da essa. Al limite viene concesso alla persona con disabilità di inserirsi nella società, ma solo in particolari nicchie.

 

Nel corso degli anni, in realtà, l’inserimento è diventato integrazione e poi inclusione in una logica di sempre maggiore parità, ma anche l’inclusione implica un includente e un incluso a lui in qualche maniera subordinato. La sfida è quindi superare l’idea stessa di inclusione, innanzitutto dal punto di vista umano, ma anche culturale e politico. L’umanizzazione, come chiave di lettura per questa e tante altre estraneità, consiste nel ritrovare se stessi nella mente altrui e diventa possibile solo quando si entra in relazione con l’altro. A quel punto emergono i pensieri, i sentimenti e le intenzionalità, emerge la persona. Se anche esistesse qualcuno che possa vagamente pensare che certe caratteristiche come una malattia genetica, una malformazione fisica o un disturbo mentale possano essere socialmente indesiderabili, più difficilmente penserà che Stephen Hawking, Henri Toulouse Lautrec o Vincent Van Gogh, che hanno queste disabilità, siano persone indesiderabili. Si sono umanizzati quando abbiamo conosciuto la loro mente attraverso le opere e grazie ad esse abbiamo riscoperto la nostra umanità. Non ci domandiamo della loro disabilità, ma della loro arte o scienza, tutt’al più giudichiamo il loro lavoro o le loro azioni, magari anche le loro bassezze, ma in ogni caso ciò significa andare oltre il pietismo. Andare verso una autentica compassione, quella della comprensione emotiva, della partecipazione al sentimento altrui, del rispetto reciproco anche di principi e regole.

 

Dal punto di vista culturale e scientifico si tratta di passare da un modello medico che individua la malattia nella persona, a uno bio-psico-sociale che rileva che la condizione di disabilità non deriva da qualità oggettive delle persone, ma dalla relazione tra le caratteristiche di ognuno e le proprietà del contesto in cui vive. In particolare il deficit dipende dalle modalità attraverso cui la società organizza l’accesso e il godimento dei diritti. Di qui l’aspetto politico, perché a volte la cultura e l’umanità non bastano, si tratta appunto di diritti. E’ un cambio di prospettiva. E’ il contesto discriminante che porta la disabilità impedendo la piena partecipazione alla società: nel mondo del lavoro, nella mobilità, nella possibilità di beneficiare di beni e servizi.

E’ un cambio di prospettiva recepito anche in sede ONU con la Convenzione Internazionale sui Diritti delle Persone con Disabilità ratificata anche dall’Italia. Da quel momento le persone con disabilità non devono più chiedere il riconoscimento dei loro diritti, bensì sollecitare la loro applicazione sulla base del rispetto dei diritti umani in una condizione di effettiva uguaglianza di godimento degli stessi. Il livello di applicazione è però ancora lontano dall’aver garantito una condizione di opportunità e non discriminazione, ma le linee di intervento esistono. Parole chiave contenute nella convenzione sono: Abilitazione a partire da chi necessita di maggior sostegno; Formazione ai diritti umani, nel senso di accrescimento della consapevolezza rispetto ai diritti stessi. Enpowerment, come miglioramento di capacità, ma anche ripresa di potere sulla propria vita; Accessibilità all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione, ai servizi.

Difficile dire cosa sia prioritario tra la necessità di cambiamento culturale, l’impegno a livello politico o la riscoperta e l’educazione della nostra umanità, ma siccome la disabilità come ci siamo sforzati di dire, riguarda tutti, ciascuno è chiamato nel proprio quotidiano a trasformare la visione culturale, sociale e professionale sulle persone con disabilità.
Dott. Wiliam Zavoli

Servizio di Psicologia e Psicoterapia “Liberamente”

Cooperativa Sociale Il Millepiedi