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La scuola ai tempi dei nativi digitali

di Redazione   
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sab 26 nov 2016 08:21 ~ ultimo agg. 28 nov 15:12
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Non è mai abbastanza. Parlare di certe tematiche non è mai abbastanza, soprattutto se non si riesce a imparare dai nostri errori. E sono i fatti di cronaca a ricordarcelo. Quando questo accade è segno che c’è ancora molto da imparare e insegnare. Per questo torniamo sul tema del cyberbullismo intevistando il professor Pier Cesare Rivoltella.

Professore, chi sono i nativi digitali?
“Questa definizione è stata introdotta da Marc Prensky, consulente statunitense nel campo dell’educazione e dell’apprendimento, in un articolo del 2001. Già allora si provava a spiegare il disagio degli adulti di fronte alla destrezza con cui i ragazzi utilizzavano le nuove tecnologie. Il nativo viene descritto come un «madrelingua» di strumenti digitali. I ragazzi sono nati dentro una cultura tecnologica e sviluppano facilmente la loro destrezza, invece l’adulto è come un migrante e le tecnologie sono come la lingua del Paese d’arrivo, tutta da imparare”.

Una bella provocazione per gli adulti e in particolare per il mondo della scuola.
“Oggi sappiamo che il problema vero non è il divario digitale fra le generazioni. Alcune ricerche ci parlano di un consumo mediale medio degli insegnanti molto vicino a quello degli alunni. Il busillis nasce quando queste attività diventano risorse didattiche, quando il web varca la soglia della classe. Non è un problema di divario digitale, ma di capacità. È inutile rifiutare in toto le nuove macchine ed è altrettanto inutile utilizzarne di nuove adottando vecchie pratiche. Quello che serve è una solida motivazione educativa. Ci sono poche risorse a disposizione? Può bastare un telefonino. L’insegnante saggio sa dosare la tecnologia al di là delle proprie competenze tecniche. Prensky ha in seguito aggiornato il proprio pensiero individuando nuove figure.

 

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