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A scuola di integrazione

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
mer 30 nov 2016 16:03 ~ ultimo agg. 4 dic 10:32
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Un mio vecchio professore di latino amava dire che per insegnare il latino a Pierino bisognava conoscere sia il latino che Pierino. Dello stesso avviso è Valentina che di professione fa l’insegnante di italiano a immigrati, profughi e rifugiati. Valentina ha iniziato questo “mestiere” come volontaria alla Caritas e alla Casa della Pace fino a quando ha capito che questa era la sua professione. Così ha lasciato la scuola superiore privata nella quale insegnava per diventare la “prof” dei ragazzi accolti dalla Caritas.
L’abbiamo incontrata al termine di una lezione nella quale ha spiegato, a un gruppo di ragazzi, il significato di maschile e femminile e dei concetti sopra/sotto.

Valentina in che cosa consiste il tuo lavoro?
“Innanzitutto bisogna precisare che i miei alunni si dividono in due categorie: quelli che provengono dall’emergenza sbarchi (arrivano dalla Sicilia, Lampedusa, etc) che stanno qui qualche mese; e coloro che sono inseriti nel progetto SPRAR (richiedenti asilo). Con tutti il primo lavoro è quello di alfabetizzazione, ma mentre con i primi si cerca di insegnare l’italiano come strumento base per il dialogo, la comunicazione, la relazione, con i ragazzi dello SPRAR, che rimangono più a lungo, oltre alla lingua si cerca di far conoscere la nostra cultura”.

In questo caso cosa insegni oltre alla lingua?
“Con loro si fanno laboratori di scrittura, di poesia; si raccolgono le loro storie
(sempre drammatiche); si discute di attualità, di terrorismo, di immigrazione. Con i ragazzi del corso precedente abbiamo realizzato anche un video nel quale loro facevano interviste ai passanti e una cena nella quale ognuno aveva preparato un piatto tipico del Paese originario. Il successo è stato che tutti i 20 ragazzi sono stati inseriti nella scuola media pubblica”.

Qual è il segreto del tuo lavoro e di questo successo?
“Senz’altro la chiave che apre tutte le porte è il legame che si riesce a costruire con i ragazzi. Se riesci a costruire buone relazioni ti seguono e cadono tutti i muri di diffidenza, di paura, di razza, di religione e di sesso”.

Attualmente quanti alunni hai?
“Ventitre, divisi in due corsi; lavorando con i ragazzi dell’emergenza profughi ci sono continuamente nuovi arrivi e continui ricambi; quindi devi differenziare i livelli. Con tutti l’obiettivo è una prima alfabetizzazione di base”.

Quali sono le maggiori difficoltà?
“Gli ostacoli vengono innanzitutto da una diffidenza di partenza; poi dal fatto che conoscono poco l’inglese o il francese e molti di loro sanno solo l’arabo se non addirittura solo il dialetto del loro Paese di origine. Rispetto alla lingua le difficoltà più grosse vengono dalla grammatica: i verbi, gli articoli, le preposizioni e soprattutto le eccezioni, cosa assolutamente inconcepibile in quanto assente nelle altre culture”.

 

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