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Lo sport come farmaco: la medicina educazionale migliora la vita

In foto: Alcuni praticanti della medicina educazionale al Garden
Alcuni praticanti della medicina educazionale al Garden
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mar 20 set 2016 09:38 ~ ultimo agg. 4 ott 10:15
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Il 18 giugno 2015 Garden Sporting Center e Poliambulatorio Valturio presentarono il loro progetto integrato di Medicina Sociale. Dopo il lavoro legato alla formulazione dei protocolli specifici di accesso e di trattamento dei pazienti, dal gennaio 2016 il progetto è diventato operativo al Garden e allo Steven, con un gruppo di istruttori appositamente formati per somministrare un’attività fisica adattata sotto la guida di Matteo Fabrizi e la supervisione del Poliambulatorio medico Esculapio. Ed i risultati per i “pazienti-sportivi” seguiti sono già di rilievo.

“La Medicina Educazionale interessa qualsiasi tipo di patologia: problematiche neurologiche, cardiovascolari (come l’ipertensione), metaboliche (come l’obesità e il diabete), psicologiche (come l’ansia e la depressione), muscolo-scheletriche o di natura ortopedica” spiega Matteo Fabrizi, responsabile della Sala Fitness del Garden Sporting Center. Per Fabrizi un curriculum di tutto rispetto: diploma Isef conseguito presso l’Università degli Studi di Urbino, laurea in Fisioterapia all’Università Politecnica delle Marche, una serie di studi di ricerca sul rapporto tra attività fisica e malattia e un’esperienza sul campo ultradecennale.

“Non facciamo una riabilitazione – continua Fabrizi –, ma le persone che vogliono fare attività fisica e che hanno problematiche di tipo ortopedico le gestiamo diversamente. Non è solo un discorso di cura, noi cerchiamo anche di prevenire. Quindi laddove c’è una familiarità o ci sono fattori di rischio, agiamo a scopo preventivo. Si parla di prevenzione primaria, partendo dai bambini, e di prevenzione secondaria: prevenire ricadute o peggioramenti dei parametri psicologichi legati a quella problematica”.

La Medicina Educazionale non è una novità assoluta, ma perlomeno in Italia alla teoria spesso non è seguita la pratica.
“I protocolli non ce li siamo inventati noi – è sempre Fabrizi a parlare –. Le linee guida sono internazionali ed esistono da almeno 15 anni. Il primo ente a dettarle è stato l’American College of Sport Medicinic, poi sono arrivate quelle di American Diabetes Association e American Heart Association. Queste sono le linee guida seguite dai nostri medici. Noi però da qualche mese le abbiamo messe in pratica”.

Quali sono le peculiarità del trattamento?
“I pazienti svolgono un’attività che è uguale a quella di una persona del tutto sana: entrano nella palestra e fanno attività fisica. Non è il tipo di esercizio che cambia, ma la somministrazione. Sono le valutazioni, che vengono fatte prima, durante e dopo, che ci permettono di agire in sicurezza e dosando l’attività fisica come un farmaco, in modo tale da produrre benefici”.

teo_3138Come si articola il percorso del paziente?
“Il primo passo è una valutazione – continua Fabrizi -. Un colloquio preliminare, nel quale prendiamo atto delle complicanze, del passato sportivo e dell’anamnesi della persona, considerando quelli che sono i suoi obiettivi, legati alla salute ma anche estetici. Dopodiché vengono svolti dei test a seconda della problematica: valutazione posturale, nutrizionistica, pressione sanguigna, prelievo capillare di colesterolo, trigliceridi e glucosio. E viene effettuata un’analisi della composizione corporea. Andiamo a valutare la saturazione del sangue (quanto ossigeno scorre nel sangue) ed effettuiamo una valutazione chinesiologica (ovvero la capacità di movimento del soggetto). Viene poi effettuata una valutazione sul campo, inserendo i pazienti in un gruppo di lavoro. Così possiamo valutare la risposta all’esercizio, l’impatto che l’attività ha sui parametri che vogliamo andare a migliorare. Tutti i test vengono ripetuti nel tempo per vedere se i risultati sono stati raggiunti o se va corretto il tiro”.

Spesso il primo approccio avviene in acqua. Perché?
“L’acqua ha delle proprietà che ci permettono di inserire persone che hanno problematiche che a terra sarebbe più difficile gestire. È un approccio più soft, meno rischioso. È importante poi uscire dall’acqua perché il lavoro in acqua e quello a terra sono due cose differenti. Unirle ha un effetto esponenziale su quelli che sono i benefici”.

Fondamentale è anche la nutrizione.
“I pazienti seguono anche un programma alimentare, senza il quale sarebbe impensabile avere risultati”.

E quali sono i risultati?
“Li possiamo definire eclatanti – risponde Matteo Fabrizi. Persone ultrasettantenni obese dimagriscono, riducono l’uso di farmaci, fanno le scale più agevolmente, si sentono più in forma, socializzano, condividono un percorso… Tutti i valori che erano fuori dalla norma prima della valutazione, man mano che vanno avanti nel percorso migliorano sempre più. L’aspetto psicologico di questo progetto è fondamentale perché nel momento in cui i pazienti entrano a far parte di un gruppo si automotivano a vicenda, si divertono, vengono molto volentieri in palestra e anche questo aspetto permette loro di migliorare la qualità della vita. E al contempo diventano sempre più autonomi nell’attività sportiva”.

Una volta ultimato il percorso continuano a fare attività fisica?
“Continuano, e lo fanno per due motivi: in primo luogo vedono i benefici, poi spesso e volentieri hanno creato un gruppo con il quale fare attività sia qui al Garden che fuori: vengono a nuotare, vanno in bicicletta, fanno passeggiate…”

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