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Abbandono dello sport: per combatterlo, sportiva tutta la famiglia

L'abbandono dello sport intrapreso riguarda molti bambini riminesi

Serve una famiglia sportiva per combattere il “drop out“. Studi effettuati dalla Facoltà di Scienze Motorie di Rimini hanno evidenziato che i bambini riminesi abbandonano lo sport a soli 11 anni-11 anni e mezzo. Nel modenese e nel reggiano il “drop out” (l’abbandono delle attività) è posticipato di tre anni rispetto alla Riviera, assestandosi tra i 14 anni e i 14 anni e mezzo. Un dato che fa riflettere sul diverso modo di vivere lo sport degli adolescenti riminesi rispetto ai pari età emiliani.

Fra i principali motivi di abbandono, a livello nazionale, vengono indicati l’eccessivo impegno richiesto dallo studio (56,5%) e la “noia” nello svolgimento dell’attività sportiva e nel rapporto con allenatori e compagni (65,4%). Ma anche la disillusione derivante dalla presa di coscienza di non essere destinato a diventare un campione.

Come combattere il “drop out”?

“Occorre un lavoro sociale importante in aiuto alle associazioni sportive per penetrare maggiormente nel tessuto sociale, interessando i bambini ad attività diverse e facendoli gioire di un risultato – attacca Nicola Guastamacchia, direttore di Garden Sporting Center e Steven Sporting Club -. I bambini fanno sport perché vogliono vincere, avere gratificazioni. Una volta in tutti i parchi della città vedevi i bambini che facevano attività sportiva. Adesso questo succede molto meno, i bambini sono tutti social. Qui a Rimini hanno poi stimoli e interessi differenti per gestire il tempo libero. Dobbiamo pensare a questi bambini che hanno un’esperienza motoria differente rispetto a quella dei bambini di tanti anni fa. Altrimenti poi è inutile lamentarsi se hanno problematiche fisiche e sociali (non imparano, per esempio, a combattere il più forte e a comprendere il più debole)”.

Alle società sportive viene da sempre affidata anche una funzione educativa. Nel mondo moderno questa tendenza è ancora più accentuata. “I genitori sono molto presi dal lavoro e affidano i bambini alle società sportive – continua Guastamacchia -. In questo c’è un aspetto sociale importante. Finché un bambino pratica attività sportiva non si avvicina a droghe e alcol, difficilmente cadrà in questi meccanismi”.

Ma il modello di riferimento per i più giovani rimangono i loro genitori.

“Non c’è esempio migliore di quello dei genitori – è sempre Guastamacchia a parlare – perché i figli vedono nel padre e nella madre la rotta. Se sei un genitore sportivo difficilmente tuo figlio non sarà a sua volta uno sportivo. Ci vogliono meno parole e più fatti. Bisogna portare il bambino a fare una passeggiata nel parco, a giocare a beach tennis o a nuotare insieme. I genitori devono investire un po’ della propria vita nel praticare attività sportiva con i figli. Posso garantire che sarà questo il migliore “investimento”, perché lo sport ti forma alla vita e quando si presenteranno delle difficoltà sarà più facile per il giovane affrontarle se ha già dovuto gestire problematiche nello sport”.

I dati Istat sullo Sport in Italia del 2015 (i più recenti a disposizione) lo confermano. Quattro figli (tra 3 e 24 anni) su cinque praticano sport se entrambi i genitori sono sportivi (83%). Se solo uno dei genitori pratica sport la percentuale scende al 68%. Se invece nessuno dei due genitori è sportivo la percentuale di giovani che praticano sport si riduce al 44%.

Importante anche la scelta dello sport, seguendo non solo i desideri e i gusti del bambino ma anche le sue attitudini naturali.
“Il bambino va capito, bisogna che provi piacere nel fare un’attività sportiva. Deve godere della fatica e del risultato. E questo deve avvenire anche se non è un campione”.