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Volontari per un giorno

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
mar 1 mar 2016 07:20 ~ ultimo agg. 2 mar 12:14
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Una festa di Sant’Apollonia “alternativa” per una decina di parrocchiani di Igea Marina, in “trasferta” alla Caritas diocesana. Lo scorso 9 febbraio hanno approfittato del giorno di vacanza in onore della festa della santa Patrona per vivere il Giubileo della Misericordia con una giornata di preghiera e servizio alla sede della Caritas di via Madonna della Scala.

 

Ecco il loro racconto.

“Faccio servizio alla Caritas interparrocchiale di Bellaria da diversi anni – spiega Alberta – e quando ho saputo che il nostro Vescovo, in occasione del Giubileo, aveva aperto una Porta Santa anche alla Caritas diocesana non ho resistito.

Ho proposto ad alcuni amici della mia parrocchia, con i quali già condivido il cammino di fede, di attraversare con me quella Porta per fare un’esperienza di condivisione. Ho chiesto loro di scendere in prima linea, di “sporcarsi le mani” con me, vedere con i propri occhi, sentire con le orecchie e il cuore quanta umanità c’è in quelle persone più fragili che Gesù tanto predilige, e per le quali ci chiede di fare altrettanto.

Splendido il momento di preghiera prima di immergerci in questa nuova esperienza, per sottolineare la motivazione che ci aveva portato lì: l’amore senza condizioni per ciascuno dei nostri fratelli e l’impegno a voler rendere più leggero il carico di ciascuno di loro. Mi sono proposta di aiutare in cucina. A testa bassa su una montagna di verdure da pulire, al fianco di Lella, sotto le direttive dello chef Dominique, il tempo è volato.

Una visita di Don Renzo e il passaggio di tanti altri amici: la sensazione è stata quella di una grande famiglia dove ognuno mette un pezzetto di sé senza avere la sensazione di sentirsi privato di qualcosa, anzi il cuore deve dilatarsi per accogliere tutta “la Grazia di ritorno”.

Al termine, ci siamo accorti che non avevamo varcato la Porta santa (l’ingresso della Caritas) perché eravamo passati dall’entrata di servizio.

Ma, forse, quelle porte, sono più sante di altre…”.

 

“Sono grata per aver condiviso l’esperienza della mensa Caritas assieme a tante persone della comunità di Igea – aggiunge Maria -. Mi hanno colpito il mettere al primo posto la dignità della persona accolta e il clima semplice, sereno in cui si muovono gli operatori. Sono stata a contatto soprattutto con i giovani che prestano il servizio civile, Giulia e Andrea. Mi è piaciuto il loro stile nel darsi da fare, scattanti e consapevoli del servizio impegnativo”.

“Al centro d’ascolto ho visto diversi modi in cui viene vissuta la povertà – afferma Marina -: c’è chi la vive con rabbia e con la pretesa di ricevere ciò di cui manca ma anche chi cerca disperatamente di risollevarsi dalla situazione e recuperare la dignità attraverso il lavoro per poter mantenere la propria famiglia. Bello anche il confronto con l’operatrice, una volontaria che opera anche in Unitalsi e che mi ha fatto conoscere tutti i servizi della Caritas.

Mi sono sentita impotente: queste esperienze mi suscitano il desiderio istintivo di risolvere tutti i casi, ma mi sono resa conto che solo queste persone possono risollevarsi e salvarsi. Noi possiamo fornire loro gli strumenti per realizzare i loro sogni e le loro speranze”.

 

“L’esperienza di servizio alla Caritas è servita per scoprirmi ancora di più” commenta Antonella. “Accogliere e servire tante persone (più di quello che mi aspettavo) e regalare loro un sorriso, un buongiorno o un buon appetito e sentirmi ricambiare con uno sguardo negli occhi, con un grazie, mi ha riempito il cuore di gioia. Questa esperienza ha varcato la porta del nostro cuore”.

“Una fede con i piedi per terra, che spinge al movimento, al donarsi. Che chiede di uscire, andare verso coloro che sono rimasti incastrati negli ingranaggi della vita. Una fede che non si accontenta di riti e devozioni ma chiede di incarnarsi: questo è quello che ho sperimentato nel mio primo servizio alla Caritas” dice Angela.

 

“Mi sono trovata catapultata in un’oasi di misericordia, con la consapevolezza che, per quanto possa avere sofferto, per quante povertà e disgrazie possa aver sopportato, ogni persona contiene una fecondità che non si lascia mai totalmente estinguere dalle sofferenze e dalle privazioni subite. Li ho guardati uno ad uno, quegli occhi, ho visto sofferenza ma anche grande dignità. Ho visto sorrisi che rispondevano ad un sorriso, ho sentito voci e parole che tentavano di uccidere la solitudine e la paura.

Musulmani, atei, miscredenti… Non importa.

C’era Gesù, con loro, Gesù con la Sua carne e la Sua sofferenza. Ma soprattuttoc’era la misericordia di Dio, col Suo abbraccio di Padre buono che accoglie e protegge, libera e salva. E, come nel dipinto di Rembrandt, tutti questi fratelli, che lo sapessero o no, entrando erano accolti sotto il Suo mantello , abbracciati, consolati e chiamati figli prediletti. Ed io ho sentito il bisogno di amarli tutti, perché solo amandoli avrei potuto trovare me stessa stretta nel Suo abbraccio”.

 

Monica invece ha avuto l’incarico di portare da mangiare ai nonni nelle loro case. “Il bello è stato l’essere accolti con entusiasmo, non tanto per il cibo, quanto per il bisogno di un po’ di compagnia. Ho incontrato chi aveva bisogno di una carezza, di una parola, di un sorriso, di un abbraccio. Ho avvertito quanto queste persone si sentono sole, quanto lo sono realmente. È stato difficile chiudere quelle porte, salutarli.

Stesso compito anche per Franca. Già dalla prima consegna è nata in me una grande emozione. Incontrare persone anziane che vivono sole, che ti aspettano, ti fanno entrare nella loro casa accogliendoti con gioia, mi ha fatto riflettere sul senso della solitudine. Continuando il giro mi rendevo conto di quanto per loro fosse prezioso quel breve incontro che spezzava la giornata. Un’esperienza come questa riempie il cuore!

 

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