Indietro
menu
Rimini Rimini Social

Rom Italiani, discriminati a vista

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
lun 22 feb 2016 09:40 ~ ultimo agg. 24 feb 08:46
Facebook Whatsapp Telegram Twitter
Print Friendly, PDF & Email
Tempo di lettura 2 min
Facebook Twitter
Print Friendly, PDF & Email

“Per colpa del mio cognome non riesco a trovare lavoro”, racconta Jeremy, 18enne che vive con la famiglia in un residence sul mare dopo lo sfratto da una casa del Comune di Rimini. Da anni cerca lavoro, ma niente.“Quando mi danno appuntamento per telefono sono gentili. Poi dal vivo, quando si rendono conto dei miei lineamenti, cambiano espressione e dicono che non hanno più bisogno di personale.
Poi però vedo che assumono altri al mio posto. Mi capita di continuo”. E aggiunge: “Io capisco la loro paura. Ci sono zingari che fanno cose sbagliate, ma credo anche che non si debba giudicare il libro dalla copertina. Chiedo che mi sia data la possibilità di dimostrare la mia buona volontà”.
Jeremy non sta nella pelle dalla felicità quando ricorda la sua unica esperienza lavorativa dello scorso Natale alla pista di pattinaggio di piazza Cavour. “È stato indimenticabile! La mia prima esperienza nel mondo del lavoro, il mio primo guadagno! Ho conosciuto persone meravigliose che mi hanno insegnato cosa fare. La mattina non vedevo l’ora di finire la colazione per uscire di casa. Ero felice come un bambino”.
Un lavoro ottenuto grazie ad un incontro fortuito niente meno che col sindaco Andrea Gnassi. “L’ho visto in piazza un giorno, gli ho chiesto di fare una foto assieme e gli ho raccontato la mia situazione. Il giorno dopo mi hanno chiamato dal Comune per fare un colloquio. Non ci potevo credere”. Così è diventato guardiano per qualche settimana al Rimini Christmas Square: un mestiere umile per molti, la cosa più bella del mondo per un diciottenne lasciato ai margini, figlio dello stigma sociale. “Non potete capire la felicità di svegliarsi la mattina con un obiettivo. Non capisco chi si lamenta del proprio lavoro, io ero pazzo di gioia”. Gli facciamo notare come dal suo racconto sembri un ragazzo in gamba, ma replica che “non sono io in gamba, ma le persone che mi hanno reso così: i miei genitori”.

 

Mirco Paganelli

Continua a leggere su Il Ponte