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Radici a scuola

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 5 minuti
ven 19 feb 2016 07:49 ~ ultimo agg. 22 feb 11:06
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Cosa sappiamo dell’immigrazione in Italia? Che immagine abbiamo delle persone che condividono i nostri spazi e il nostro tempo? Che idea abbiamo dei nostri vicini e dei bimbi che condividono il banco con i nostri figli?

Oltre l’immagine dei barconi disperati, oltre ogni pregiudizio, oltre ogni paura o cattiva abitudine “soffriamo” l’ignoranza diffusa, il non conoscere le realtà dei Paesi dove hanno vissuto questi nuovi concittadini.

“E’ per questo motivo che da cinque edizioni portiamo nelle televisioni degli italiani Radici”. A parlare è Davide Demichelis, autore e giornalista Rai che dal 2011 è in onda su Rai Tre con un ciclo di documentari dal titolo Radici, appunto. Si tratta di un viaggio al contrario, con gli stranieri che vivono da anni in Italia che accompagnano il giornalista nel loro paese d’origine. Oggi Radici, diventa Radiciascuola, un progetto per far conoscere queste realtà agli studenti italiani. Il viaggio di Demichelis, sarà nei prossimi mesi, un viaggio tra i ragazzi per far conoscere loro un’altra faccia dell’immigrazione, fatta dalle facce di persone dalle vite normali.

 

©Photo Alessandro Rocca

 

Davide, perché nasce Radiciascuola?

Il progetto di Radici nelle scuole nasce perché abbiamo conosciuto un sacco di persone, girato un sacco di Paesi, e abbiamo parecchio materiale: immagini, foto che ha senso sfruttare anche al di fuori della televisione, dell’elettrodomestico. Soprattutto ha senso sfruttarlo con i ragazzi. Ma prima di tutto, ancor più che immagini, foto e storie abbiamo delle persone. Persone in carne ed ossa che – secondo me – ha senso che i ragazzi incontrino in prima persona e non solo attraverso il video. Andare nelle scuole vuol dire far conoscere in prima persona ai ragazzi questa immigrazione che noi raccontiamo con Radici, cioè l’immigrazione regolare.

 

Radiciascuola parte dal programma televisivo, puoi raccontarci qualcosa di questa esperienza?

Radici è un viaggio che facciamo alla scoperta di un paese, ma soprattutto alla scoperta delle radici di persone che sono i nostri vicini di casa. In Italia abbiamo più di cinque milioni di immigrati regolari che vivono – chi da 30 o 40 anni; o chi da solo pochi anni – nel nostro Paese. Molti di questi hanno anche la cittadinanza italiana, sono a tutti gli effetti dei cittadini italiani; e l’idea di Radici è conoscerli andando a fare un viaggio insieme a loro, nel loro paese d’origine. Viaggio in cui loro ci conducono e ci portano a conoscere, appunto, le loro radici.

 

Non poteva essere un semplice documentario che parlasse di quel Paese, perché questa scelta?

Perché quelle che ci accompagnano sono persone che vivono qui e possono raccontare il loro paese in prima persona perché parlano la nostra lingua; perché si sono sentiti fare cento volte domande del tipo: <Ma, in Senegal come vivete>, oppure <Ma,  in Ecuador come si mangia>, etc.. etc…nel viaggio ci rispondono prima di tutto a quelle domande, che sono le stesse domande che magari si fa il pubblico a casa, guardando questo tipo di documentario e di viaggio.

 

Quanti e quali viaggi avete realizzato sino a questo momento?

Abbiamo fatto 15 viaggi in 5 edizioni, in 15 paesi diversi che vanno dalla Bolivia, al Burkina Faso, passando per Albania, Cina e Senegal. Solo per citarne alcuni.

 

Cosa dice il pubblico di Radici?
È capitato tante volte che le persone mi abbiano inviato dei feedback per dirmi che dopo aver visto una puntata hanno capito meglio il Paese in questione. Mi è capitato molte volte di leggere i commenti sui social, sulla pagina facebook di Radici. Ma è capitato soprattutto negli incontri con le persone. Perché noi stiamo già girando l’Italia da tempo a presentare le puntate, ancor prima che si sviluppasse questo progetto”.

 

Sta nascendo una nuova coscienza?

Negli incontri con le persone questa nuova coscienza, se così possiamo definirla, è ancora più palese. L’obiettivo – anche se è banale a dirlo ma, vi assicuro è difficile da tradurre nella pratica di un racconto – è quello di raccontare la normalità e il fatto che c’è una normalità di vita in questi Paesi così come nel nostro.

 

Racconti una normalità…

Sì, purtroppo però la normalità non fa ascolto. Quello che emerge da queste puntate è che le famiglie, la realtà, le radici di queste persone non sono tanto diverse dalle nostre.

 

È un modo per avvicinarci…

Assolutamente si.

 

Torniamo a Radiciascuola, come saranno strutturati gli incontri nelle scuole?

Gli incontri nelle scuole prenderanno spunto dai viaggi fatti. Quindi, andremo a mostrare una puntata del programma. Mostreremo puntate diverse, spostandoci in diverse città italiane. Sicuramente nelle città dove vivono gli immigrati che ci hanno portato a conoscere il loro Paese. Presentiamo una puntata ma soprattutto affianco alla puntata abbiamo il protagonista o la protagonista di quella puntata. Per esempio, siamo andati in Albania con Sonila che vive a Bergamo, ebbene Sonila sarà in prima persona nelle scuole in cui sarà proiettata la sua puntata. I ragazzi avranno la possibilità non solo di vedere un filmato – che potrebbero già aver visto in tv, su youtube o chissà dove – ma di parlare direttamente con la persona che per un’ora li ha accompagnati in un viaggio particolare.

 

Ci sono altri strumenti a disposizione dei ragazzi?

C’è una preparazione all’incontro che è fatta attraverso un sito web e una mostra che verrà portata nelle scuole interessate e ci sarà anche un dopo. Nel senso che i ragazzi verranno invitati a fare dei commenti scritti, a fare dei video, dei filmati della giornata in cui Radici sarà nella loro scuola, che verranno postati sui social e sul sito di radiciascuola.it.

 

Un grande progetto, con chi lo condividi?

In primo luogo con BottegaVideo, la società di videoproduzione riminese che mi ha accompagnato in tutte le edizioni e che ha girato, insieme ad Alessandro Rocca, le 15 puntate. Stiamo elaborando insieme a loro la mostra ma anche tutti i contenuti multimediali che saranno presenti sul sito. È in atto, poi, la collaborazione con il Ministero dell’interno che ha finanziato l’ultima edizione del programma – mettendo a disposizione dei fondi della Comunità Europea – e che ci ha chiesto di portare questa esperienza nelle scuole italiane.

 

Adesso facci sognare, raccontaci dei tuoi viaggi. Sono curiosa di sapere qual è il paese che hai sentito più lontano rispetto alla tua cultura?

Il più lontano è stato il paese di cui non riuscivo a capire nulla della lingua: la Cina.  Perché il cinese è una lingua incomprensibile ed è veramente difficile… perché oltre al fatto della lingua c’è anche l’espressività delle persone. Gli asiatici, infatti, tendono a non esprimere le emozioni con le espressioni del viso. Lì ho avuto molte difficoltà, bisogna entrare in un altro modo di relazionarsi, anche fisicamente. Non voglio dire che i cinesi siano incomprensibili, ma ci vuole del tempo. Non è possibile fare tutto in breve tempo, come facciamo noi.

 

A proposito, quanto durano, di norma i vostri viaggi?

I nostri viaggi durano una decina di giorni. Ci vuole ben altro tempo per entrare nelle logiche di in una paese che qualche secolo fa ha costruito la muraglia più lunga del mondo.

Con Radici vogliamo dare un contributo al superamento di queste incomprensioni.

 

Angela De Rubeis