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Le priorità per un nuovo welfare

di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 4 minuti
gio 18 feb 2016 08:20 ~ ultimo agg. 17 feb 15:26
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Welfare: non è questa la strada. L’Alleanza contro la Povertà in Italia, promossa da Caritas Italiana e Acli (di cui è stata costituita recentemente anche la sezione dell’Emilia Romagna), chiede una profonda revisione della delega presentata dal Governo sulle misure di contrasto alla povertà.

Dopo le scelte positive inserite nella Legge di stabilità, Il Ddl delega segna infatti un allontanamento dal percorso auspicato verso una misura nazionale rivolta a tutte le persone in povertà assoluta, e capace di promuoverne realmente l’inserimento sociale, come il Reddito d’Inclusione Sociale.

 

LA LEGGE DI STABILITÀ 2016: I PRIMI PASSI IN AVANTI

Con la recente Legge di stabilità il Governo Renzi ha varato il più significativo intervento mai deciso in Italia contro la povertà. È stato previsto, infatti, un nuovo stanziamento di 600 milioni di euro per il 2016 e di 1 miliardo a partire dal 2017, che – aggiungendosi ad altre risorse già disponibili – porta il finanziamento complessivo a circa 1,5 miliardi per ognuno dei prossimi anni.

Grazie a questa cifra si introdurrà un sostegno destinato ad alcune famiglie in povertà con figli, che dovrebbe comporsi di un contributo economico e di percorsi d’inserimento sociale e lavorativo.

Oggi, in Europa, solo il nostro paese, insieme alla Grecia, è privo di una misura nazionale universalistica – rivolta cioè a chiunque si trovi in tale condizione – per i 4,1 milioni di persone che versano in povertà assoluta. Una misura con queste caratteristiche, il Reddito d’Inclusione Sociale (Reis), è l’oggetto della proposta elaborata dall’Alleanza contro la Povertà in Italia.

A fronte del disinteresse mostrato dalla politica in passato, la Legge di stabilità rappresenta ciò che di meglio sia mai stato realizzato in Italia nella lotta all’esclusione sociale. Il nostro ritardo, però, è tale che per arrivare al Reis il cammino da compiere è ancora lungo.

 

IL DIETROFRONT DEL DISEGNO DI LEGGE DELEGA

Le risorse stanziate per quest’anno sono indirizzate al rafforzamento di prestazioni già previste mentre le azioni da compiere a partire dal 2017 – riguardanti il disegno degli interventi, gli utenti e i possibili finanziamenti ulteriori – sono rimandate ad una legge delega. Sarà nella delega, dunque, che si definirà la strategia della lotta alla povertà dei prossimi anni. Il relativo disegno di legge, presentato dal Governo il 28 gennaio, segna, però, l’allontanamento dal cammino verso l’introduzione del Reis, per tre ragioni.

Non è previsto il necessario incremento di finanziamenti. La delega esclude ulteriori stanziamenti per la lotta alla povertà, tranne quelli provenienti dal riordino complessivo delle prestazioni assistenziali. Il punto di fondo – seppure manchino stime precise – è chiaro: la delega non contiene alcuna ipotesi di finanziamento che renda possibile (e neppure avvicinabile) prima del prossimo decennio il reperimento dei 7 miliardi indispensabili per il Reis.

L’Alleanza richiede, invece, di prevedere un percorso di graduale incremento delle risorse che permetta di introdurre il Reis nella sua interezza entro il 2019.

Richiede, inoltre, di separare gli atti sulla lotta alla povertà da quelli sulla revisione dell’assistenza. Il riordino delle prestazioni assistenziali, pur necessario, deve essere vincolato ad una vera riforma del welfare, con l’obiettivo di ampliare e rendere più efficace il sistema di protezione sociale. Tuttavia, poiché il complesso della spesa assistenziale coinvolge ben più persone e interessi rispetto alla povertà, se le due problematiche non venissero scisse, la gran parte del dibattito sulla delega non riguarderebbe i poveri bensì la revisione della spesa.

L’Alleanza chiede, invece, che il tema della lotta alla povertà in Italia venga posto al centro dell’attenzione pubblica.

 

Ci si ferma a 3 poveri su 10. L’Alleanza propone di giungere al Reis attraverso un Piano in quattro annualità, dal 2016 al 2019, che incrementi via via le risorse sino a disporre, alla sua conclusione, dei 7 miliardi necessari a raggiungere tutti i 4,1 milioni di persone in povertà assoluta. Mentre per il 2016 i fondi previsti dal Governo sono simili a quelli ipotizzati dall’Alleanza, a partire dal 2017 le strade divergono perché, come detto, l’attuale testo della delega non ne contempla la progressiva crescita bensì la stabilizzazione a 1,5 miliardi annui. Le dichiarazioni governative indicano l’intenzione di erogare contributi monetari di importo piuttosto basso, in modo da allagare il più possibile l’utenza raggiungibile con soli 1,5 miliardi. Si arriverebbe così a coprire intorno al 30% delle persone povere (tra 1,2 e 1,3 milioni), quelle appartenenti ad alcune tra le famiglie indigenti con figli.

Anche l’Esecutivo intende avviare il proprio piano nazionale ma attribuisce a questo termine un significato diverso rispetto all’Alleanza.

In un caso s’intende la stabilizzazione di una misura per 3 poveri su 10, nell’altro la graduale costruzione di un sostegno rivolto a chiunque si trovi in povertà.

 

L’inclusione sociale rischia di rimanere solo un obiettivo dichiarato. La delega enfatizza la natura di inclusione attiva, e non assistenziale, delle nuove prestazioni, aspetto fortemente condiviso dall’Alleanza. Si tratta di elaborare – nei territori -progetti personalizzati d’inserimento sociale e di mettere in campo gli interventi necessari alla loro attuazione. Le politiche sociali italiane, d’altra parte, sono disseminate di norme con finalità apprezzabili, ma non accompagnate dagli strumenti per realizzarle. Il punto decisivo, dunque, è fornire ai soggetti del welfare locale, a partire dai Comuni, gli strumenti per poter concretamente lavorare per l’inclusione degli utenti.

L’attuale testo della delega suscita preoccupazione in proposito. Per i servizi territoriali chiamati in causa, si prevedono solo finanziamenti europei temporanei, che scompariranno all’inizio del prossimo decennio (la cifra di1,5 miliardi strutturali è destinata esclusivamente ai contributi economici); peraltro, le risorse disponibili per queste prime annualità (intorno a 150 milioni annui) sono senza dubbio inadeguate. Il carattere di provvisorietà dello stanziamento per i percorsi d’inclusione sociale fa cadere la possibilità che lo Stato definisca qualsiasi regola certa rispetto alla loro effettiva fruizione da parte dei cittadini, assente nella delega.

Analogamente, non si prevedono le necessarie modalità per rafforzare le competenze degli operatori impegnati nei territori, quali iniziative di accompagnamento e formazione, e neppure le attività di monitoraggio utili ad imparare dall’esperienza.

Complessivamente, dunque, si chiede alla realtà del welfare locale di costruire strategie per l’inclusione sociale dei propri cittadini poveri senza dotarle di strumenti adeguati allo scopo.

 

InformaCaritas