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La Diocesi "anticipa" Papa Francesco. Già partito progetto di accoglienza profughi in parrocchie

In foto: La Stampa. La marcia dei profughi siriani
La Stampa. La marcia dei profughi siriani
di Simona Mulazzani   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
lun 7 set 2015 15:15 ~ ultimo agg. 8 set 16:46
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In perfetta sintonia, anzi anticipando l’invito di Papa Francesco ad accogliere nelle parrocchie famiglie di profughi. La Diocesi di Rimini già un mese e mezzo fa ha lanciato una proposta molto concreta e ha chiesto alle parrocchie di attivarsi per l’accoglienza. Il progetto chiamato “Da famiglia a famiglia” è stato anche inserito nella lettera pastorale del vescovo di Rimini Mons. Francesco Lambiasi, in questi giorni in fase di stampa e che sarà pubblicata a giorni. Una lettera, quella di quest’anno, tutta incentrata sulla Missione, che coinvolgerà la diocesi proprio da questo anno pastorale.

Il progetto dovrebbe andare ad affiancare quello già avviato di accoglienza di profughi nelle case canoniche o in altre strutture ecclesiali messe a disposizione dalla Diocesi. L’obiettivo è che intere comunità parrocchiali si sentano coinvolte nell’accoglienza e nell’integrazione.

Si prevede l’accoglienza di piccoli nuclei di profughi, famiglie o comunque gruppi di 3-5 persone, perché a Rimini arrivano soprattutto uomini, soli. Le persone saranno ospitate in un appartamento preso in affitto o nella disponibilità delle parrocchie.

“Abbiamo verificato – spiega il vicario generale della Diocesi Monsignor Luigi Ricciforti resistenze, a volte violente reazioni, alla proposta di accogliere gruppi più o meno numerosi di profughi. Le motivazioni sono varie: alcune esprimono comprensibili preoccupazioni; ma altre sono sintomo grave di una mentalità di rifiuto preconcetto, per evidenti motivi ideologici e politici, anche se non espressamente dichiarati. Sono atteggiamenti assolutamente inaccettabili alla luce del Vangelo e dei continui richiami del Magistero: tanto più gravi perché presenti anche in persone che partecipano alla vita della chiesa, alla Messa domenicale.

Una risposta anche a chi pensa che questo tipo di sostegno tolga risorse alle famiglie del territorio: “Questo lo può dire o chi non conosce o chi ha preconcetti, perché basta chiedere ad ogni prete quante famiglie del territorio si aiutano. Se noi accogliamo una famiglia di profughi vuol dire che nella parrocchia almeno 20, 30, 50 famiglie, se non di più, sono state aiutate col pacco viveri, per le bollette, per l’affitto. Abbiamo fondato per questo il fondo per il lavoro, e almeno una sessantina di persone, in gran parte italiani, sono state aiutate”.

“La proposta – spiega la Diocesi – vuole dare una risposta dignitosa al bisogno di accoglienza e nello stesso tempo attivare un cambiamento di mentalità. Sarà il modo migliore per prevenire, sia da parte dei profughi che dei residenti, reazioni di rabbia, violenza, devianza, rifiuto, razzismo”.

E ancora: “Quando la proposta si fa concreta (disponibilità dell’appartamento, del gruppo di volontari, del nucleo di profughi indicato dalla prefettura) sarà opportuno un incontro pubblico per far conoscere alla comunità, soprattutto attraverso testimonianze, le ragioni dell’emigrazione e le esperienze di accoglienza già in atto”.

La proposta concreta

Si prende in locazione un appartamento al prezzo corrente, a nome dell’Associazione Madonna della Carità che gestisce tutta la parte burocratica, in sintonia con la Prefettura. Qui trova ospitalità un nucleo familiare o comunque un piccolo gruppo, possibilmente omogeneo per provenienza. L’Associazione che ha la Convenzione con la Provincia nominerà un tutor che seguirà, con incontri regolari, un certo numero di “famiglie”, coordinando anche la collaborazione di volontari della Caritas parrocchiale.

Tutor e volontari seguiranno l’iter per il riconoscimento dello status di rifugiato politico; aiuteranno i profughi nell’apprendimento della lingua italiana, nella gestione della casa e soprattutto creeranno occasioni di integrazione con la comunità (incontri, attività sportive o aggregative, lavori socialmente utili (magari nella prospettiva di un inserimento lavorativo).