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Cronaca Rimini

Addio a Nando Orfei, il Lallo di Amarcord. Giovedì il funerale

In foto: Nando Orfei (foto ansa)
Nando Orfei (foto ansa)
di Redazione   
Tempo di lettura lettura: 2 minuti
mar 7 ott 2014 22:19 ~ ultimo agg. 8 ott 13:19
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Scomparso all’età di 80 anni, dopo una lunga malattia, Nando Orfei, uno dei capostipiti della scuola circense in Italia. Era rivcoverato all’ospedale San Raffaele di milano. Con lui, la moglie, Anita Gambarutti, e i figli Ambra, Gioia e Paride, la sorella Liana e il fratello Rinaldo. Vicinissima a lui c’è anche la cugina Moira, alla quale Nando era molto legato. Era stato Lallo, il “pataca”, nel film Amarcord di Federico Fellini. Aveva fatto una parte anche ne “I clown”. Negli ultimi anni, insieme ai figli, aveva dato un nuovo stile al suo circo, proprio in memoria del regista riminese.

“Il circo è e sarà il più grande spettacolo del mondo”. Nando Orfei sarà ricordato per questa frase, la “sua” frase, e per quella giacca bordeaux, improbabile e forte come tutti i colori e i gusti legati al mondo circense.Forte come il desiderio e l’adrenalina che doveva pompargli nel corpo ogni volta che alle spalle gli si chiudeva la porta in ferro lasciandolo isolato dal mondo in compagnia di giganteschi felini. Uno dei padri del circo italiano se ne è andato oggi, a 80 oggi, a farlo arrendere è stata una lunga malattia. Nell’immaginario collettivo, gli Orfei sono stati e “sono” il circo italiano. Si è autorizzati a desiderare letterariamente che sarebbe stato giusto che a portarsi via “Nandino” fosse stata la zampata di un leone, il morso di una tigre dagli occhi di ghiaccio, poiché come un vero capitano affonda con la propria nave, così un uomo come Nando Orfei – che non sappiamo immaginare in altro luogo che sulla pista circolare di sabbia e terra – avrebbe dovuto morire nel suo circo, davanti al pubblico. Invece, il giocoliere prima e il domatore dopo, è morto in un letto dell’ospedale San Raffaele dove era ricoverato.  Il suo circo, idealmente stretto intorno a lui, è a Modena e da stasera, fino a tutto giovedì, quando si svolgeranno i funerali, lascerà i tendoni chiusi in segno di lutto. Gli animali con i loro odori forti riposeranno, gli acrobati non rischieranno l’osso del collo e i clown trasformeranno quella goccia che portano sempre disegnata sul viso in una vera lacrima. Con lui (e con altre famiglie) è nato il circo e con lui è declinato. Il presidente dell’Agis Carlo Fontana lo definisce “protagonista assoluto del circo e un grande dello spettacolo italiano”, ricordandone le qualità artistiche che gli consentirono di lavorare con Fellini e in televisione. Anche Antonio Buccioni, presidente dell’Enc, Ente Nazionale Circhi, ne ricorda la figura. Ma, intanto, lo scorso anno Nando lanciò un accorato appello a fine spettacolo a Cattolica, dalle sue parti (era nato in provincia di Ferrara), uscendo in scena sorreggendosi a un bastone: guardando le poche decine persone di spettatori ringraziò per la presenza, ma si lamentò di tutti gli altri spalti vuoti. Forse non aveva compreso o non aveva voluto comprendere che cellulari, paraboliche, tablet e tutto l’armamentario tecnologico che scandisce ogni ora della vita degli esseri umani è troppo rapido, troppo distante da una cavallerizza che fa capriole su dorsi di equini. Per un adolescente è coinvolgente più un frenetico videogioco in cui nessuno rischia la vita che una ragazza lanciatasi da 40 metri afferrata al volo a un polso da un compagno agganciato a un manubrio a dieci metri di altezza. Il circo, nonostante avesse “riconvertito” e modernizzato il suo spettacolo – senza più animali, con numeri internazionali e tendone più piccolo – non attirava più le folle di un tempo. Nandino aveva vissuto tutto ciò come una umiliazione.

(ansa)