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Cronaca Rimini

Vittima di un'assurda corsa tra Porsche: dieci anni fa moriva Pauli Hirvi

In foto: Dieci anni fa Rimini visse una tragedia che scosse l'opinione pubblica per la vittima, un giovane impegnato nel sociale, e la dinamica, una gara clandestina di auto sul lungomare. Dieci anni dopo, di quella tragedia è rimasto poco, se non il ricordo dei familiari e degli amici. E soprattutto è mancata la giustizia.
Dieci anni fa Rimini visse una tragedia che scosse l'opinione pubblica per la vittima, un giovane impegnato nel sociale, e la dinamica, una gara clandestina di auto sul lungomare. Dieci anni dopo, di quella tragedia è rimasto poco, se non il ricordo dei familiari e degli amici. E soprattutto è mancata la giustizia.
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mar 21 giu 2011 19:34 ~ ultimo agg. 00:00
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Quella piccola targa in piazzale Gondar, posta nel 2002, un anno dopo la tragedia, oggi suonava ancora più surreale in mezzo ai preparativi per Gradisca, la festa di inizio estate. Un’amara coincidenza: proprio all’inizio dell’estate 2001 Rimini fu funestata da un’assurda tragedia. Pauli Jaakko Hirvi, 33enne di madre finlandese trapiantata a Rimini, stava attraversando il piazzale sul suo scooter quando fu centrato da una Porsche lanciata in una folle corsa.
Pauli, restauratore stimato per il suo lavoro e l’impegno per il disagio sociale, morì sul colpo. Il pirata killer scappò. Poi, due settimane dopo, si autodenunciò con una lettera: era il 28enne Omer Halilovic, bosniaco con passaporto olandese. Quella sera, aveva intrapreso una gara di velocità con un’altra auto della stessa marca condotta 22enne olandese di origine bosniaca Sejdic Sefkija, che si costituì un mese e mezzo dopo. Halilovic fu accusato di omicidio colposo e omissione di soccorso. Ma era subito tornato in Olanda: la politica locale chiese giustizia e impegno per l’estradizione, ci fu anche un’interrogazione di Gambini in Parlamento. Nel 2006 fu condannato a 3 anni e 10 mesi, poco dopo la Polizia olandese fece sapere di averlo arrestato ai fini dell’estradizione. Ma da quella volta, non si è saputo più niente. Thea, la madre, ormai ha poca fiducia: anche dagli ambienti giudiziari le hanno fatto capire che chiedere cosa ne è stato dell’omicida di suo figlio è una battaglia persa. “Non è una questione di odio”, ci ha spiegato oggi, commossa al ricordo della vicenda. “ma perché si dovrebbe avere il diritto di sapere. E’ successo e ormai è finita così. Ma c’è una giustizia superiore”, commenta laconica. Un senso di impotenza che si aggiunge al dolore di una perdita incolmabile. Oggi a Thea non resta che il ricordo, da vivere oggi, nel decimo anniversario, nell’intimità della famiglia. Pensando a quel ragazzo che, il 21 giugno 2001, ha avuto la sola colpa di finire sulla traiettoria di un pazzo criminale.

(Newsrimini.it)