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Rimini

Testimoni di giustizia. Uno di loro: siamo cittadini 'usa e getta'

In foto: In anteprima al dibattito di domani sera in occasione del passaggio della carovana antimafie, pubblichiamo la lettera della testimone di giustizia che interverrà nel dibattito.questa persona divenne testimone di giustizia insieme alla sua famiglia agli inizi degli anni 90 per una sanguinosa faida di ‘ndrangheta nel crotonese che aveva provocato circa 80 morti ammazzati in 10 anni, tra cui due dei suoi fratelli.
In anteprima al dibattito di domani sera in occasione del passaggio della carovana antimafie, pubblichiamo la lettera della testimone di giustizia che interverrà nel dibattito.questa persona divenne testimone di giustizia insieme alla sua famiglia agli inizi degli anni 90 per  una sanguinosa faida di ‘ndrangheta nel crotonese che aveva provocato circa 80 morti ammazzati in 10 anni, tra cui due dei suoi fratelli.
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lun 18 apr 2011 17:14 ~ ultimo agg. 00:00
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I testimoni di giustizia sono normali ed onesti cittadini, estranei alle organizzazioni criminali, che, denunciando gli uomini della mafia ed esponendosi al rischio della vendetta, sono costretti ad entrare in un programma di protezione. Il programma comprende il trasferimento in un comune diverso da quello di residenza, il cambiamento delle generalità, ogni possibile forma di tutela personale. Fu agli inizi degli anni 90 che diventai testimone di giustizia insieme alla mia famiglia. Una sanguinosa faida di ‘ndrangheta nel crotonese aveva provocato circa 80 morti ammazzati in 10 anni, tra cui due dei mie fratelli. Noi sapevamo, eravamo a conoscenza di molti fatti, avevamo visto. In paese tutti sapevano, vedevano, perché i mafiosi sparavano a volto scoperto, di giorno , per le strade del centro. Ma subivano, tacevano, era meglio farsi i fatti propri. Noi abbiamo scelto una strada diversa, mossi da un senso di giustizia, la denuncia, la verità di quei delitti. Iniziarono i processi, durarono circa 7 anni. Si conclusero con condanne a svariati anni di reclusione e il carcere a vita per il killer di mio fratello. Eravamo diventati soggetti a rischio. Nessuno ci avvicinava, gli amici i parenti si scordarono di noi, ci tolsero, anche il saluto. Partimmo di notte, scortati. Avremmo dovuto iniziare una nuova vita, tranquilla, con una nuova identità e un’autonomia economica. Non avremmo più rivisto il nostro paese. Non andò così. Anche lo Stato , presto di scordò di noi.Il tempo di concludere i processi e la commissione ministero interni firmò un decreto di sfratto in cui ci invitava a ritornare nel paese da dove eravamo fuggiti, perché “ soggetti non più a rischio”. Scaduti i tempi, scaduto il rischio. E soprattutto costavamo troppo. Eravamo solo una voce di bilancio. Eppure il cambiamento in quei territori da dove siamo fuggiti, c’è stato, la cultura della mafiosità, dell’omertà sono state sradicate. Il sacrificio, la sensibilità istituzionale, il senso del dovere civico, sono stati premiati per i risultati raggiunti, perché i mie coetanei, i giovani del mio paese, non si sparano più. Abbiamo portato pace. Quella guerra, oggi è solo un brutto ricordo. Intanto la nostra casa veniva devastata dai parenti dei mafiosi, i terreni occupati abusivamente. Abbiamo perso tutto. I funzionari del ministero ci comunicarono che potevamo vivere tranquillamente a Crotone, perché la ‘ndrangheta dimentica presto. Anche, lo Stato si dimenticò presto di noi. SIAMO DIVENTATI CITTADINI USA E GETTA, usati quando eravamo utili, spazzatura quando nn serviamo più.Nel 2001 dopo varie interrogazioni parlamentari, 2 inchieste presso la commissione parlamentare antimafia, il sottosegretario Mantovano ci convoca in commissione. Ci prega di firmare la fuoruscita dal programma in cambio di una liquidazione di 250 mila euro e il contratto di un lavoro presso la segreteria del capo della polizia. L’ennesima beffa. Dovevano essere incarichi di livello alla Pubblica sicurezza e, invece, erano seggiole da scaldare, anzi un lavoro finto che non esisteva, non esisteva la mansione, non ci pagavano mensilmente. Potevamo lavorare anche da casa, così ci fu riferito. Un’umiliazione che non potevamo accettare. Stato, istituzioni, politica devono capire che la ‘ndrangheta non è solo un sistema criminale, è anche un sistema culturale, con una specifica mentalità, con codici di comportamento, combatterla significa non limitarsi alla sola azione repressiva, ma cambiare quei modelli mafiosi. Noi, testimoni ci abbiamo provato, ci siamo riusciti. Abbiamo costruito un piccolo pezzo d’Italia, mentre la politica, istituzioni, stato, si sono arresi.

M. C. (testimone di giustizia)