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Amnesty. Aziende italiane ed europee coinvolte in business sulle torture

In foto: Alcune aziende di paesi europei, in particolare Germania e Repubblica ceca ma anche Italia, traggono profitto da un cono d'ombra giuridico che consente loro di vendere strumenti utilizzati per infliggere torture in almeno nove stati del mondo che utilizzano disumani metodi d'interrogatorio.
Alcune aziende di paesi europei, in particolare Germania e Repubblica ceca ma anche Italia, traggono profitto da un cono d'ombra giuridico che consente loro di vendere strumenti utilizzati per infliggere torture in almeno nove stati del mondo che utilizzano disumani metodi d'interrogatorio.
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mer 17 mar 2010 13:19 ~ ultimo agg. 00:00
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Lo denuncia un rapporto di Amnesty International, l’organizzazione per la difesa dei diritti dell’Uomo con sede a Londra. Fra questi “strumenti di tortura” figurano manette per appendere persone al muro, blocca-caviglie, batterie per somministrare scariche elettriche e “aerosol di prodotti chimici”, viene precisato in un’anticipazione del rapporto che sarà discusso dalla sottocommissione per i diritti dell’Uomo del Parlamento europeo. “Fornitori di attrezzature per l’applicazione della legge in Italia e Spagna” – afferma Amnesty senza indicare nomi almeno in nel testo di sintesi pubblicato sul suo sito internet – hanno promosso la vendita di “‘manette’ o ‘manicotti'” da elettroshock per tormentare detenuti con scariche anche da 50 mila volt. Questi scambi illeciti sono proseguiti anche dopo il varo, nel 2006, di un bando europeo del commercio internazionale di attrezzature progettate per la tortura e i maltrattamenti.

In Italia come in altri paesi il traffico avviene, almeno ufficialmente, all’insaputa del governo che, riferisce Amnesty, ha “dichiarato di non essere a conoscenza” di alcun produttore o esportatore attivo in questo campo. In Italia, Finlandia e Belgio però – sempre secondo l’organizzazione per la tutela dei diritti umani – alcune società hanno dichiarato apertamente in interviste sui media o attraverso i propri siti web di fornire articoli messi al bando ma spesso prodotti in altri paesi. (ANSA)

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