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Riccione

Saharawi, un viaggio che lascia il segno. Il racconto dell'assessore Galasso

In foto: Lunedì pomeriggio è ritornato a Riccione l’Assessore all’Ambiente Mario Galasso impegnato per una settimana in una visita alle popolazione Saharawi. Pubblichiamo il resoconto del viaggio scritto dallo stesso Galasso:
Lunedì pomeriggio è ritornato a Riccione l’Assessore all’Ambiente Mario Galasso impegnato per una settimana in una visita alle popolazione Saharawi. Pubblichiamo il resoconto del viaggio scritto dallo stesso Galasso:
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mar 7 mar 2006 13:37 ~ ultimo agg. 00:00
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Abbattere il muro del silenzio: viaggio a Saharawi

Un viaggio intenso nei rapporti umani, nella solidarietà, nei colori, nella maratona.

La dignità di un popolo che da 30 anni vive in campi profughi nel deserto del Sahara ospite dell’Algeria.

Un muro di 2700 Km che divide il popolo di Saharawi difeso dal Marocco utilizzando anche mine anti uomo di fabbricazione italiana

Risoluzioni ONU disattese.

Nel 1990 l’Onu, che con la Missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO) ha tentato di garantire il rispetto dei diritti umani nella zona occupata, propose un piano di pace: un referendum (previsto per il gennaio 1992) avrebbe sancito la volontà della popolazione della regione che avrebbe scelto tra la sovranità marocchina e l’indipendenza.

Dal 1992 il popolo di Saharawi aspetta il referendum.

Il popolo Saharawi deriva dalla fusione di tribù berbere e beduine autoctone e di elementi arabo-yemeniti arrivati nel Magreb fino al 1300.

La lingua parlata è l’hassanya, dialetto arabo tipico di molte popolazioni del Magreb. Viene impartito anche l’insegnamento della lingua spagnola, a conferma di utilizzare positivamente l’eredità coloniale.
La religione del popolo saharawi è islamica, vissuta in maniera tollerante e ben lontana da ogni fondamentalismo.
La famiglia e la donna sono la vera struttura della società Saharawi. A causa della lunga assenza degli uomini impegnati in una sanguinosa lotta di liberazione che è durata quasi vent’anni, il ruolo della donna è cresciuto, non solo per quanto attiene alla maternità ma anche per la funzione di unica educatrice dei figli. Molte sono le donne inserite attivamente nell’amministrazione delle tendopoli.

Ma chi di noi conosce questa situazione? Devo ammettere che pur essendo informato della situazione durante questo viaggio mi si sono aperti gli occhi in un universo di cui ignoravo l’esistenza.

Siamo stati accolti in maniera eccezionale, abbiamo condiviso per una settimana la vita di due campi (wilayas): Smara e Dakhala.

Siamo stati ospiti nelle tende delle famiglie e con loro abbiamo mangiato, gradito le cerimonie del the, centellinato l’acqua, dato valore alla luce elettrica (chi può utilizza un pannello solare per ricaricare una batteria d’auto e la sera un neon illumina la tenda), apprezzato il bagno (qualcuno di noi era ospite in tende sprovviste).

Il 25/02/2006 abbiamo posto la prima pietra dell’ospedale che costruiremo con i fondi della SIS, presenti Omar Hammad, rappresentante del popolo saharawi in Italia, il rappresentante della ditta che costruirà l’opera e il progettista di Saharawi.

Il 26/02/2006 la corsa dei bimbi: molti bimbi correvano con le scarpe in mano per non rovinarle.

Il 27/02/2006 il giorno della maratona, più di 200 partecipanti da Italia, Spagna, Germania, … . Presente il campione mondiale di maratona (1999 Siviglia) Abel AntonChe che ha corso la 21 Km.

Ho camminato, sono stato l’unico, la 21 Km, un’esperienza incredibile: la bellezza cruda, selvaggia, affascinante del deserto rimarrà per parecchio tempo nel mio cuore.

Tantissimi gli incontri ufficiali, le visite ma, su tutti, l’incontro con le donne di Saharawi e con i bambini, con i tantissimi bambini, che ci correvano incontro chiedendoci caramelle e finivano per giocare con noi. I bambini e le donne primi testimoni di come la dignità di un popolo non si cancelli neanche dopo 30 anni passati nei campi profughi in condizioni di vita veramente minimali!!!

Con noi c’erano anche Alex e Checco, clowns e giocolieri, che con i loro spettacoli e i loro fuori programma hanno allietato la vita nei campi e in alcune scuole.

Abbiamo avuto modo di apprezzare l’organizzazione dei campi: si fa di tutto perché l’ozio non avanzi.

La scuola è obbligatoria per sette anni e, in ogni campo (wilayas), sono presenti più di una scuola, una per ogni località (dairas) in cui è suddito il campo. Gli studi, due anni più due anni, proseguono nelle scuole in Algeria gestite da Saharawi, poi, per chi dimostra capacità, l’università attraverso borse di studio in Italia, Spagna, Cuba, … . Particolare attenzione anche agli stage lavorativi all’estero per acquisire la professionalità necessaria.

Da due mesi è iniziata una straordinaria ondata di proteste pacifiche in tutti i Territori occupati per esprimere gli stessi sentimenti: libertà e autodeterminazione, basta con la repressione. Le forze di occupazione hanno immediatamente dato vita ad una violenta repressione nei confronti di manifestanti di ogni età, uomini e donne, che peraltro non ha fiaccato la loro volontà. Si segnalano torture e maltrattamenti sugli arrestati e dure condanne durante i primi processi sommari e la morte di alcuni Sahrawi.

L’invio di osservatori da alcuni paesi europei è sempre stato impedito dalle autorità marocchine che hanno respinto i delegati alla frontiera. Di fatto i Territori sono chiusi. Numerosi giornalisti sono stati espulsi. Questi fatti non isolati e non casuali, meritano una seria riflessione sull’atteggiamento che i governi, le istituzioni e tutti coloro che hanno a cuore la pace e il rispetto dei diritti fondamentali, ovunque nel mondo, devono coerentemente mantenere.

Ma c’è forte una preoccupazione: i giovani.

Dopo 30 anni di promesse disattese c’è la paura che qualcuno di loro possa reagire in maniera violenta.

Gli occhi dei bambini, l’uso delle poche risorse, il contegno, l’organizzazione di questo popolo che progetta e lotta in maniera pacifica e non violenta per l’autodeterminazione e per riottenere la propria terra mi hanno segnato nel profondo e nulla sarà più come prima.

Mario Galasso